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di Sud
Foto ©Mario Biondi

Alla fama di Ottiero Ottieri ha forse nuociuto l’ultima parte della sua vita e della sua carriera letteraria; quella dedicata al racconto, tormentato, del suo disagio psichico. Ma fino agli anni ’60 Ottieri è stato, a nostro parere, il migliore esponente della cosiddetta “letteratura industriale”; specialmente per la sua capacità di raccontare la fabbrica e i suoi meccanismi anche sotto il profilo psicologico.

L’apice della narrativa di Ottieri coincide con la sua assunzione presso l’Olivetti di Pozzuoli. A dispetto di ogni legge di mercato, Adriano Olivetti volle costruire la sua fabbrica «di fronte al golfo più singolare del mondo» (così disse inaugurandola). Una fabbrica vetrata, aperta sul verde e sul mare, «concepita alla misura dell’uomo perché questi trovasse nel suo ordinato posto di lavoro uno strumento di riscatto e non un congegno di sofferenza».

Tra gli “strumenti di riscatto”, oltre a una celebre biblioteca, Olivetti volle anche istituire una nuova figura professionale, capace di parlare con tutti i 40.000 aspiranti operai (anche con quelli che non sarebbero stati assunti). L’incarico fu affidato a Ottiero Ottieri, e da questa esperienza nacque un grande romanzo-reportage, Donnarumma all’assalto (1959), ma anche una delle parti più intense del suo diario, La linea gotica (1963).

Tra i ricordi c’è quello delle «raccoglitrici di fagiolini», che dormono tutte insieme, mangiano pane e fagiolini a pranzo e a cena, e vengono licenziate quando crolla il prezzo degli ortaggi sul mercato. La raccolta dei fagiolini si fa tra giugno e agosto; ma a settembre ce n’è ancora qualcuno sulla pianta. Un po’ legnosi e col “fagiolo”, si prestano bene a una ricetta del nord della Germania, cotti a lungo in padella con acqua e burro, e saltati con pere e speck.