In vista del venti giugno, Fabio Ciuffini ricostruisce in tre puntate la storia di ciò che accadde prima, durante e dopo quel terribile giorno del 1859, quando le truppe papaline entrarono a Perugia e la riconquistarono facendo strage degli insorti. In questo primo articolo è un personaggio inventato a raccontare in prima persona, con l’esattezza però di uno storico, ciò che accadde il 14 giugno, quando ci fu l’insurrezione che costrinse il legato apostolico ad abdicare, regalando alla città sei giorni di libertà.
di Fabio Ciuffini
In questi giorni, dopo i massacri, ho sentito di tutto!
Ho sentito il Papa dichiarare “immaginarie e menzognere” le notizie sulle stragi di Perugia, invitandoci a meditare “sulle nostre colpe e sul nostro accecamento”
Ho letto sull’Osservatore del Trasimeno ciò che hanno scritto gli scagnozzi di Schmidt: che noi eravamo “un pugno di faziosi privi di un vero sostegno popolare” E sulla Civiltà Cattolica, peggio! I moti del ’59 “furono provocati da bande di armati venuti dalla vicina Toscana ed unitesi ad alcuni rivoluzionari di Perugia alla cui testa era Maria Bonaparte di Canino, vedova Valentini e cugina di Napoleone III”
E poi preti e frati a dirci in coro che avevamo voluto “il sovvertimento dell’ordine secolare, che tanto bene aveva portato a Perugia nei secoli”.
E l’altro coro dei pavidi “benpensanti”, zavorra d’Italia e del mondo, che hanno definito l’insurrezione un atto improprio “inascoltato proprio da Vittorio Emanuele e dall’avventuriere Cavour”, un suicidio politico condensato in quattro parole: “ve la siete cercata!”.
Per non parlare degli sghignazzi dei folignati lieti dell’umiliazione degli storici rivali ….
Un resoconto dei fatti, una visione oggettiva …
Allora ho deciso di scrivere una contro-versione mia, un resoconto oggettivo per ristabilire la verità e, magari, raccontare anche le poche cose che ho fatto io. Anche se sono forse stato più bravo e fortunato a scappare che a combattere .. .
In ogni caso la storia la scrivono anzi la ri-scrivono i vincitori, no? Allora, voglio dire che noi, i “perdenti”, o almeno una parte dei perdenti, in silenzio dovremo impedire ogni tentativo di manipolazione. Così, in una decina, ci siamo messi d’accordo in segreto per buttar giù ognuno i suoi personali ricordi: quello che in quei giorni di giugno ognuno di noi ha fatto, detto, visto con i propri occhi! Poi qualcuno (Luigi Bonazzi forse?) li rimetterà insieme e ne farà un testo che sarà il salvamento di un glorioso pezzo di storia! Ed il mio capitolo sarà corredato da litografie fatte dal mio caro amico Aimo. In ogni caso questo che state leggendo resta come testimonianza per i miei figli e nipoti, di quando – per un attimo, un solo attimo – sono stato un protagonista della storia di questa città. Ed è una versione appena corretta con l’aggiunta di note da me poste dopo la riconquista di Perugia del XX Giugno 1860.
Condizioni politico-sociali degli Stati Pontifici prima del ‘59
Però fatemi soffermare un istante su com’era Perugia sotto la dominazione papalina. In confronto chi gemeva sotto la dominazione austriaca in altre parti d’Italia godeva, in cambio della soppressa libertà, di una sufficiente prosperità materiale.
Qui da noi miseria, carestie, degrado, corruzione, ingiustizia, favoritismi, usura. Il tutto avvolto da una “religiosità cieca ed abbrutente, che finiva per essere superstizione e di un sentimento di rassegnazione, un torpido fatalismo, nemico ad ogni aspirazione di cambiamento”
E gli infelici coltivatori delle campagne e le plebi industriali della città erano esclusi dal beneficio dell’istruzione, “perché fu sempre canone del governo teocratico di usare l’ignoranza per mantenere in soggezione la parte più povera e fragile della società!” Pensate che nell’intero Comune di Perugia vi erano solo TRE maestri! In compenso c’erano centinaia di preti, frati, monache in decine di Chiese e Conventi che costellavano la città. Natural conseguenza di tale oppressione fu l’odio feroce con cui i sudditi ricambiavano il malgoverno ed il dispotismo teocratico. Di talché un Cardinal Legato ebbe a dire “tolti i vecchi, le donne, i fanciulli, il resto della popolazione, dai diciotto anni in sopra è tutto, per massima, ostile al governo, compresi molti impiegati governativi e non pochi addetti al sacerdozio”
Insomma, al di là delle legittime aspirazioni a far parte di un nuovo grande Stato Unitario, la condizione sociale di Perugia, dopo quattro secoli che il Papa aveva soffocato la nostra indipendenza e le nostre antiche glorie, rendeva necessario, direi di più, imperativo, liberarsi da quell’antico giogo.
Le ragioni dell’insurrezione
I cuori di tutti erano aperti alla speranza. La vittoria di Magenta – 4 Giugno 1859 – era sembrata veramente la rivincita di Novara, la “fatal Novara” come l’aveva definita Cavour nel 1850. Dunque la seconda guerra d’indipendenza appariva iniziata sotto i migliori auspici. E i moti non furono, almeno all’inizio, contro il Papa. Si chiedeva che – così come era accaduto nella prima guerra di indipendenza lo Stato Pontificio si schierasse contro gli austriaci.
E non c’era nulla di antireligioso nella nostra letizia, tanto che alla notizia della vittoria di Magenta fu chiesto e ottenuto un Te Deum a S. Domenico, la chiesa più grande di Perugia. Ed era piena! Chi sapeva mentre si celebrava quel Te Deum che quella vittoria l’avremmo pagata con il sangue?
Ed invece le autorità papaline di Perugia comunicarono il rifiuto di Pio IX di schierarsi contro l’austriaco nella guerra di liberazione. E fu dunque solo questo che portò all’insurrezione ed alla formazione della Giunta. Fra l’altro dopo che la migliore gioventù perugina. – 800 giovani – si era già arruolata nell’esercito franco – piemontese.
… migliaia di perugini si erano riversati nel Corso e nella Platea Magna …
E il passaggio avvenne in modo assolutamente pacifico! Erano migliaia i perugini che si erano riversati per il Corso e nella Platea Magna – tutti i con la coccarda tricolore e da lì fino a Porta Sole a sentire l’arringa della Napoleona.
La Napoleona …. ci sembrò bellissima.
Una vecchia carampana, che però ci sembrò bellissima. L’entusiasmo ci trascinava. Eravamo tanti. Eravamo convinti! E vi assicuro che nessuno veniva dalla Toscana!
Poi la liberazione di Bologna, il 12 giugno. C’ero anch’io quando il telegrafista venne fuori e ci lesse dalla sua striscetta di carta che Bologna era libera!
… ci lesse dalla sua striscetta di carta che Bologna era libera ..
Quel 12 giugno, quando il telegrafista venne fuori a leggere la sua striscetta noi tutti ad applaudire e poi a incitare il Bruschi a prendere il comando di una insurrezione. Prevalse comunque l’idea di attendere ancora finché una volta acquisito che il Legato Pontificio non si sarebbe opposto con le armi ci fu il passaggio di consegne alla Giunta e si formò il Governo Provvisorio che offrì la dittatura al Re di Piemonte. Era il 14 giugno ed ero anch’io lì a Palazzo dei Priori. Ed il Legato Apostolico, il Giordani, abdicò e ci passò i poteri. Lui ed i suoi sodali erano convinti che non potessero opporsi con le armi ad una così vasta volontà popolare! Così, a sera, dopo quel lungo 14 Giugno, il Giordani se ne partì da Perugia, con la sua carrozza che fendeva la folla e che lo lasciò passare in un silenzio rispettoso!
La protestazione del Popolo Perugino conferita al Delegato Apostolico il XIV Giugno ’59 –Affresco di A. Brugnoli
La reazione del Governo Pontificio
Però, quella di Perugia fu la goccia che fece traboccare il vaso a Roma. Il Cardinale Antonelli, anima nera di Pio IX, e reazionario dichiarato chiese formalmente a Napoleone III di inviare un reggimento francese per sedare la rivolta. Napoleone III rifiutò. Forse anche per l’intervento di Maria Bonaparte che telegrafò al cugino ragguagliandolo del pronunciamento di Perugia esponendo il pericolo di una repressione sanguinosa sulla povera città armata soltanto del suo coraggio. Ma poi il “cugino” restò inerte difronte alla decisione del Papa e dell’Antonelli di reprimere l’insurrezione con la forza. E non fu il Napoleone vittorioso di Magenta ma quello pavido ed ambiguo di Villafranca che negò l’appoggio a Perugia, lasciandola alla sua sorte. Temeva anche una deriva mazziniana, con i repubblicani francesi pronti a rialzare la testa.
Intanto si pensava a Perugia che se c’era un pericolo da fuori non era alle porte. Semmai c’era il pericolo incombente della Rocca Paolina. Che avrebbero fatto i papalini asserragliati lì dentro?
… tutti cominciarono a fare barricate un po’ a casaccio …
Ma non c’era e non ci fu mai un coordinamento militare: e si cominciò a fare barricate un po’ a casaccio nelle strettoie dei vicoli della città medievale. Io stesso partecipai a farne una per bloccare la Maestà delle Volte.
E intanto qualcuno faceva la spia fuori. Credo con qualche eliografo su qualche campanile. Noi alla fine restammo isolati mentre fuori sapevano tutto. Magari che era stato ordito il tradimento, dove e come!
… intanto qualcuno faceva la spia fuori … con qualche eliografo su qualche campanile …
La questione dell’armamento
Ero disarmato come tutti e questo pose subito il problema di come difendersi! Tutto l’armamento di famiglia era uno schioppetto da caccia calibro 20. L’avrei potuto caricare a palla e forse ferire qualcuno a bruciapelo. A patto che la canna fosse in discesa! E non c’era quasi nient’altro in giro. Pochi fucili a pietra focaia, un cannone ridicolo e tanti fucili da caccia poco migliori del mio. E non credo che gli Svizzeri fossero disposti a fare la parte dei tordi! Però ottenemmo alcune casse di vecchi fucili che ci furono mandate da Firenze od Arezzo non ricordo bene. Quattrocento fucili! Era già qualcosa. Ma erano immersi nel sego e per utilizzarli bisognava prima scioglierlo.
… erano immersi nel sego e per utilizzarli bisognava prima scioglierlo.
Ci mettemmo alla Sala dei Notari con dei grandi pentoloni a far bollire il sego mentre una serie di donne confezionavano cartucce. E tante altre donne cucivano fasce tricolori come unico capo di vestiario uniforme. Almeno non ci saremmo sparati tra noi! Nonostante i nostri sforzi però, non riuscimmo a liberarne più di 280.
Però voglio dirlo: in tutti noi c’era la speranza che fosse possibile aprire trattative e arrivare a qualche accomodamento.
Ed eravamo tutti convinti che la nostra resistenza ad oltranza sarebbe stata una cosa lunga. Tanto ne eravamo sicuri che, mentre si andavano raccogliendo duemila firme per chiedere a Vittorio Emanuele un intervento, spedimmo Danzetta a Torino per portargliele.
Come ci sbagliavamo!
Avevamo sottovalutato del tutto il nemico. Intanto la velocità con cui arrivò. Quattro giorni, a tappe forzate. E non ci fu intimazione di resa. Non ci fu assedio, ci fu solo una sola spallata, secca, in un solo punto. In un solo giorno!
Dietro quella velocità c’era sicuramente il timore dell’intervento dei Piemontesi E forse c’era anche il tradimento. Anzi la certezza del tradimento e che dunque gli assalitori non avrebbero rischiato troppo.
Ma a questo non pensava nessuno! Nulla impedì alla gioia popolare di esplodere quel 14 giugno. Eravamo liberi liberissimi, pure di morire, e ci facevamo coraggio gridando “Viva l’Italia, Viva Perugia libera. Viva la guerra!” E agitavamo i nostri fucili che puzzavano di sego ….