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di Gabriella Mecucci
Foto ©Andrea Veroni

Il Festival dei Due Mondi è iniziato con Hadrian, un’opera che mescola la grande cultura europea, e cioè il  linguaggio classico della lirica, con la musica angloamericana contemporanea di Rufus Wainwright e le  raffinate e audaci fotografie di Mapplethorpe. Su tutto torreggia il capolavoro di Marguerite Yourcenar, “Le Memorie di Adriano”.  Ne nasce uno spettacolo che trasporta la lirica nel terzo Millennio.

DUE MONDI, SI CHIUDE UN CICLO CON L’EDIZIONE PIù BEALLA DI VEAUTE

La storia della vita e della morte del grande imperatore viene letta con due lenti: la principale è l’amore omosessuale e il sacrificio del bellissimo Antinoo, la seconda la firma dell’editto contro gli ebrei, un atto contro il monoteismo che minacciava la cultura pagana, caposaldo di Roma. 

Le foto di Mapplethorpe sono molto più di uno sfondo ma vere protagoniste della storia di eros, di passione, di dolore e di inganno dell’opera. Una poetica quella del grande fotografo che esprime le tensioni interiori dei personaggi: un vero spettacolo nello spettacolo. Il messaggio finale di questo complesso incontro di culture è semplice: il vero immortale non è l’impero e la sua grandezza, ma l’amore. Adriano in punto di morte ricorda Antinoo, soffre per la sua perdita e si arrovella sul perché di questa: vuol sapere le ragioni della scomparsa dell’adorato giovane. E alla fine scoprirà che essa è frutto del tradimento e dell’assassinio. 

Wainwright con questa composizione in 4 atti, della durata di tre ore vuole riportare la lirica al suo ruolo più tradizionale rendendola accessibile, amata, popolare, riavvicinandola alla melodia, alle emozioni, alla coralità, abbandonate dalle inclinazioni disarmoniche della musica contemporanea. Il tutto avviene però senza che l’autore rinunci al suo stile che è profondamente contemporaneo: basti ripensare all’insieme delle sue creazioni e delle sue collaborazioni. Un tentativo ambizioso e difficile quello di Wainwright – un mix di culture, di mondi, di epoche diverse – completato dalla scelta del tema. La lirica ha infatti sempre rappresentato grandi storie d’ amore, ma questa volta affronta il grande amore omosessuale.

L’opera si divide in quattro atti. Il primo si apre con l’ultimo giorno di vita di Adriano nella sua villa di Tivoli. Plotina, moglie di Traiano che lo adottò e lo fece così imperatore, è venuto a trovarlo per chiedergli di fronteggiare la crescente minaccia del monoteismo (ebrei e cristiani) che minano le fondamenta culturali dell’impero. Adriano rifiuta questo approccio e continua ad invocare solo Antinoo.

Il secondo atto torna indietro nel tempo e racconta il viaggio in Grecia di Adriano e della corte. E’ allora che conosce Antinoo e nasce il loro amore. Entra in scena la figura della moglie dell’imperatore, Sabina, che sente risvegliare in sé l’antico sentimento per lui, proprio mentre Adriano rivolge altrove le sue attenzioni.

Nel terzo atto che è il cuore dell’opera, la scena si sposta in Egitto. Adriano sta vivendo il suo intenso amore per Antinoo, ma è anche malato. Turbo, suo collaboratore e amico, teme che sia distolto dai suoi compiti e convince Sabina ad eliminare il giovane amante. Questa – secondo il piano di Turbo – deve fingersi una Sibilla e vaticinare che l’imperatore tornerà in salute se Antinoo si sacrificherà per lui. Dopo aver inscenato l’inganno, Sabina si pente e cerca di evitare la tragedia, ma ormai è troppo tardi. 

Nel quarto atto – il più bello – Adriano morente firma l’editto per inviare le truppe in Giudea contro gli ebrei e fa confessare a Turbo l’assassinio di Antinoo. Turbo gli spiega che è stato fatto per preservare la sua eredità, ma l’imperatore replica che la sua eredità sarà solo l’amore che ha vissuto. E muore. Il coro chiude gridando: “Alla guerra, alla guerra” contro la religione che frantuma l’impero. Il finale è potentissimo anche musicalmente

Uno spettacolo difficile, carico di messaggi culturali e persino politici. Una musica che cresce nella seconda parte. Un pubblico attento che alla fine applaude anche a scena aperta. La buona prova dell’orchestra, del coro e dei cantanti.