Salta al contenuto principale

di Lucio Caporizzi
©Fabrizio Troccoli

Come ogni anno, la presentazione del Rapporto di Banca d’Italia sull’economia regionale rappresenta un’occasione di grande rilievo per ragionare sul sistema produttivo dell’Umbria.

Oltre alla qualità dei dati ed all’accuratezza delle analisi, il Rapporto esprime altresì il valore aggiunto di coniugare la presentazione dei dati congiunturali con uno sguardo lungo sull’economia regionale, presentando un’analisi strutturale di lungo periodo che aiuta a comprendere le dinamiche ben più delle variazioni trimestrali o semestrali, che pure tanto attirano l’attenzione di politici e giornalisti.

Di particolare interesse sono altresì i focus su tematiche specifiche, quali il possibile impatto dell’Intelligenza Artificiale sul mercato del lavoro regionale, la qualità delle istituzioni pubbliche, l’Economia sociale e il grado di digitalizzazione dell’economia regionale.

L’analisi di lungo periodo, svolta dal 2008 al 2023 (ultimo anno per cui si dispone dei dati economici riferiti alle singole regioni) mostra per l’Umbria un andamento molto peggiore rispetto a quello italiano che, a sua volta, è andato peggio della media europea. Fatto pari a 100 il valore aggiunto nel 2007, nel 2023 per l’Umbria siamo ancora a 90, mentre il corrispondente dato italiano aveva superato il valore del 2007. Questa debolezza delle attività produttive regionali dipende per buona parte dallo sfavorevole andamento del valore aggiunto industriale, che nel periodo in esame ha registrato una flessione di quasi il 33%, mentre a livello nazionale abbiamo un – 9,6 %. 

Delle 3 componenti della dinamica del valore aggiunto, cioè produttività, demografia e quantità di lavoro, è la produttività che fornisce il contributo peggiore, con un calo del valore aggiunto per ora lavorata del 6,7% nel periodo in esame, il dato peggiore fra le regioni italiane, mentre a livello nazionale si è registrato un seppur contenuto aumento. La demografia a sua volta non ha aiutato, dato il calo e l’invecchiamento della popolazione, mentre le ore lavorate per addetto sono diminuite di circa il 3%, da cui un effetto negativo sulla quantità di lavoro, quasi interamente compensato, però, dall’aumento del tasso di occupazione.

La particolare debolezza della produttività del lavoro non dipende tanto dall’intensità di capitale, che anzi è leggermente aumentata, ma dal pessimo andamento della PTF (Produttività Totale dei Fattori), valore questo che riflette il grado di efficienza del sistema complessivo e, quindi, come vengono utilizzati i fattori produttivi. Insomma, gli investimenti in macchinari e tecnologie ci sono – anche grazie agli incentivi pubblici – ma il loro utilizzo non avviene nel modo più efficiente.  

Spostandosi sul breve periodo, nel Rapporto si stima un aumento del Pil regionale di +0,7% nel 2024, in linea con l’andamento nazionale. Fiacco l’andamento dei consumi e degli investimenti privati, mentre quelli pubblici traggono giovamento dall’attuazione degli investimenti finanziati dal PNRR.  Questi ultimi assommano per l’Umbria ad un totale di 2,1 mld di euro (ben lontani, dunque, dalle cifre che venivano comunicate nella recente campagna elettorale), con un livello di attuazione simile a quanto riscontrabile nel resto del Paese.

Positivo l’andamento dell’export, con un aumento in valore del 5,3%, trainato soprattutto da agroalimentare e abbigliamento, mentre il comparto della meccanica ha segnato il passo.

In crescita le esportazioni verso i mercati extra UE, con una esposizione crescente verso gli USA – superiore al dato nazionale – il che desta qualche preoccupazione alla luce del recente orientamento protezionista della politica commerciale di quel Paese.

Si diceva di alcuni focus interessanti.

Come è noto lo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale (IA) produce e produrrà effetti di gran rilievo sul mercato del lavoro, effetti variabili a seconda del grado di esposizione di un dato sistema economico, sia in termini di effetti di sostituzione che di complementarietà. In Umbria, secondo il Rapporto, oltre la metà dell’occupazione (esattamente il 51,3%) sarebbe riferibile a professioni con alta esposizione all’IA. Si tratta di un dato elevato, seppur comunque più o meno in linea con quello riscontrabile a livello nazionale, che pone serie sfide alle politiche attive del lavoro condotte dalla Regione.

La Qualità dell’Azione Pubblica (QAP) rappresenta un fattore fondamentale per lo sviluppo economico, oltre che, in generale, per la qualità della vita dei cittadini. Questo importante aspetto viene analizzato nel Rapporto, scomponendolo in efficienza della PA, integrità delle istituzioni, funzionamento della giustizia, qualità dei servizi ai cittadini. Il QAP umbro nel complesso si colloca su valori leggermente superiori al dato nazionale, con una maggior debolezza nella giustizia (in particolare civile) e un punto di forza nella efficienza delle pubbliche amministrazioni. Per quanto riguarda i servizi pubblici, il giudizio migliore riguarda il Trasporto Pubblico Locale, servizio questo che, invece, verrebbe visto come poco soddisfacente nella percezione di molti cittadini umbri, i quali, in effetti, risultano tra coloro che meno se ne avvalgono in Italia.

In Umbria l’Economia sociale riveste da tempo un peso considerevole, con 7.500 organizzazioni ed un numero di occupati pari ad oltre il 7% del totale, percentuale questa più elevata di quella registrata nell’Unione Europea e superata in Italia solo da regioni con una consolidata tradizione in tale settore, come il Trentino e l’Emilia Romagna. In particolare in Umbria, nell’ambito delle organizzazioni dell’economia sociale risultano attive oltre 7.000 Istituzioni no Profit, con 12.400 addetti e 89.000 volontari. Insomma, un ruolo notevole, che attesta dell’alto livello di dotazione di capitale sociale in Umbria.

Notoriamente la Transizione digitale rappresenta una delle principali direttrici di sviluppo, individuata come tale anche dalla programmazione europea. Sulla base di un apposito indicatore composito elaborato dalla Commissione europea – articolato in quattro componenti – il grado di digitalizzazione dell’Umbria, che già prima della pandemia era inferiore a quello dell’Italia e del Centro, è ulteriormente peggiorato, in particolare per effetto dell’arretramento dell’integrazione digitale delle imprese. È infatti tale componente che fa registrare la peggior performance, mentre la dotazione di infrastrutture digitali ed i servizi pubblici digitali mostrano un certo miglioramento, rispetto al periodo ante pandemia, pur mostrando ancora una notevole distanza dal dato medio nazionale. Solo la componente relativa alle competenze digitali della popolazione si spinge a quasi raggiungere il dato medio nazionale. 

Tornando all’analisi di lungo periodo, che è quella che meglio rende conto delle criticità strutturali dell’economia regionale ed in particolare al calo della produttività, come spiegazione emerge una volta di più la scarsa capacità di innovazione del tessuto produttivo regionale. La spesa in Ricerca e Sviluppo delle imprese umbre, seppur in lieve crescita in rapporto al Pil, resta ancora la metà del corrispondente valore nazionale e, addirittura, un terzo di quella registrata in un apposito cluster di confronto, formato da regioni europee per vari aspetti paragonabili all’Umbria.

Questa situazione chiama in causa, tra gli altri fattori, le politiche regionali di promozione dello sviluppo e dell’innovazione, dal punto di vista della loro efficacia ed appropriatezza, in particolare in termini della effettiva pertinenza della strumentazione usata con riferimento agli obiettivi enunciati.

È un discorso complesso, con tanti fattori ed aspetti da considerare e valutare. 

Certamente, però, finchè quello di puntare sullo sviluppo della conoscenza e della ricerca resta una enunciazione buona per far bella figura nei convegni, mentre, poi, nella pratica, si continuano a seguire modelli di intervento e strumentazioni obsoleti la cui efficacia non viene dimostrata, sarà difficile attendersi sostanziosi risultati dalle politiche pubbliche di incentivazione.