di Gabriella Mecucci
“Avevo 18 anni quando lessi che cosa faceva Danilo Dolci (ndr. sociologo non violento) in Sicilia, e decisi di andarlo a conoscere. Quando tornai incontrai per la prima volta Aldo Capitini che mi chiese di raccontargli quanto accadeva a Partinico. Ci vedemmo nel suo studio nella torre campanara di Palazzo dei Priori e, prima di iniziare la conversazione, lui notò un ragno sul davanzale della finestra. Non lo uccise. Prese un foglio di carta, ce lo fece salire e lo spostò fuori. Una nonviolenza totale la sua anche verso gli animali più disprezzati”. Così Goffredo Fofi raccontava la nascita del suo lungo, straordinario rapporto col filosofo pacifista (aggettivo che non amerebbe).
Fofi è morto all’età di 88 anni. Eugubino di nascita, ha raggiunto la ragguardevole età di 88 anni vivendo una vita da intellettuale raffinatissimo e impegnato, sempre originale mai conformista. Ci ha regalato tanti saggi e tante riviste fuori dal coro. Del suo multiforme impegno fanno parte momenti indimenticabili.
Il suo rapporto con Aldo Capitini è stato il primo. Entrambi amici e ammiratori di Danilo Dolci, di cui apprezzavano le denunce anti mafia e le proteste nonviolente contro la miseria della Sicilia, collaborarono intensamente. Goffredo Fofi fu uno degli animatori della prima marcia della pace del 1961, quella che convolse gente come Italo Calvino, Norberto Bobbio, Ernesto Rossi, solo per fare qualche nome. Fu quella l’iniziativa che meglio rispecchiava la nonviolenza capitiniana e il suo legame col pensiero di Bertrand Russell, di Gandhi, di Francesco d’Assisi. Il rapporto fra i due non cessò nemmeno con la morte del filosofo. Di recente, ormai vecchio e malato, Fofi è tornato alla Sala dei Notari per ricordare il compagno di tante battaglie.
L’impegno nonviolento fu uno dei tanti fili rossi che ha percorso la sua vita. Il secondo, straordinariamente rilevante è quello di critico cinematografico fra i più grandi e profondi che l’Italia abbia avuto. Monumentale la sua riscoperta di Totò che valorizzò il grande attore sino ad allora considerato poco più di una macchietta. I film del principe De Curtis hanno due vite: quella prima dei saggi di Fofi, quando venivano considerati una sorta di sotto prodotti del grande cinema italiano, e la seconda dopo questi, quando ricevettero un apprezzamento pressoché unanime, tanto da diventare uno dei pezzi forti a livello di massa. Grazie a lui passarono dalla marginalità alla centralità cinematografica e televisiva. Una grande operazione culturale – la più conosciuta – che rompeva lo stantio conformismo di certa critica di sinistra.
Goffredo Fofi non sfuggì all’impegno politico: vicino a Lotta Continua e amico personale di Adriano Sofri partecipò attivamente al ’68 e alle vicende che seguirono. Le guardò sempre però con un occhio capace di coglierne anche ciò che non andava. Mai fanatizzato, sempre pronto alla critica acuta e non priva di ironia. Non cessava però di sottolineare l’importanza che hanno nella storia e nella politica i piccoli gruppi colti e coraggiosi. Avevano avuto un ruolo basilare nella lotta al fascismo e in tutto il periodo successivo. E questo è un suo fondamentale messaggio, particolarmente rilevante ai nostri giorni, quando per dimostrare che si ha ragione, invece di usare argomenti seri, si preferisce citare i sondaggi che danno ragione. Un’epoca in cui il populismo fa premio su tutto e le minoranze, anziché essere ascoltate e rispettate, vengono tacitate a suon di percentuali. Non è certo la prima volta che accade e Goffredo Fofi insegna che è bene tenere gli occhi ben aperti e saper stare “fuori dal coro”. Il tempo spesso è galantuomo e anche quando non lo è, vale sempre la pena esercitare la libertà di pensiero.