di Guido Perosino
L’ Umbria, fulcro geografico del centro Italia, si trova suo malgrado anche al centro di un paradosso ferroviario che solleva interrogativi profondi sulla strategia di sviluppo infrastrutturale del Paese. A far scoppiare il caso più recente, che ha riacceso le polemiche mai sopite sul trasporto pubblico regionale, è stata una richiesta, a dir poco, surreale: quella di Trenitalia alla Regione Umbria di farsi carico dei costi per i servizi sostitutivi su gomma. Questi servizi, essenziali per garantire la mobilità dei cittadini, sono stati resi necessari dai lavori di ammodernamento e potenziamento della rete ferroviaria, finanziati con i fondi del PNRR e gestiti da Rete Ferroviaria Italiana (RFI).
La richiesta di Trenitalia è di per sè un’assurdità contabile oltrechè politica, ha il sapore di un cortocircuito logico e istituzionale. Da un lato, RFI, società del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, pianifica e realizza i lavori di manutenzione straordinaria, che, per loro natura, comportano l’interruzione del servizio ferroviario. Dall’altro, Trenitalia, anch’essa parte del medesimo gruppo, è il gestore del servizio di trasporto passeggeri e, di conseguenza, dovrebbe farsi carico dei costi derivanti dalla sua interruzione, offrendo soluzioni alternative come i bus sostitutivi. Il fatto che l’azienda di trasporto richieda alla Regione di farsi carico di queste spese – che non sono certo marginali, nell’ordine del milione di euro – rappresenta non solo uno scarico di responsabilità inaccettabile, ma anche una beffa per i contribuenti umbri. La Regione Umbria ha già un contratto di servizio con Trenitalia, che stabilisce le condizioni e i costi per l’erogazione del servizio ferroviario. Aggiungere un onere imprevisto e non concordato per una situazione causata da lavori infrastrutturali di competenza di un’altra società del gruppo FS, appare come un tentativo di far pagare due volte lo stesso servizio, o meglio, le conseguenze della sua interruzione.
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Questa situazione è il sintomo di una visione miope, che non tiene conto delle reali esigenze dei cittadini e delle difficoltà logistiche ed economiche che un servizio ferroviario penalizzato comporta. Si parla di un investimento strategico come il PNRR, che dovrebbe tradursi in benefici tangibili per le comunità, e invece si manifesta, almeno nel breve periodo, con disagi e costi aggiuntivi.
La richiesta di Trenitalia non è che l’ultimo capitolo di una storia di marginalizzazione ferroviaria che l’Umbria vive da decenni. I collegamenti della regione con il resto d’Italia, in particolare con Roma e Firenze, sono spesso percepiti come lenti, obsoleti e inadeguati alle esigenze di pendolari, studenti e turisti. La linea ferroviaria storica che collega Perugia, Assisi e Foligno a Roma, pur essendo vitale, sconta ritardi cronici, treni datati e una frequenza insufficiente. Se si confrontano i tempi di percorrenza e la qualità del servizio con quelli di altre regioni, l’Umbria sembra muoversi in una dimensione temporale diversa.
I miglioramenti promessi da RFI, che hanno generato i disagi attuali, sono certo un passo nella giusta direzione, ma sono solo la punta dell’iceberg e con le richieste “risarcitorie” rischiano di trasformarsi in un vero e proprio boomerang. L’Umbria necessita di una strategia di sviluppo ferroviario integrata, che la connetta in modo rapido ed efficiente non solo con la Capitale, ma anche con il nord e il resto del centro Italia. Il mancato potenziamento delle infrastrutture ferroviarie non penalizza solo gli umbri, ma l’intero sistema economico e turistico del Centro Italia. Un’Umbria meglio collegata significherebbe una maggiore facilità di accesso per turisti, una migliore connettività per le imprese e una reale integrazione nel tessuto produttivo nazionale; quante volte l’abbiamo sentito dire e scrivere senza vedere un piano serio di uscita da questa realtà certamente non efficiente e tanto meno di successo.
La forte tensione creatasi tra la Regione Umbria e Trenitalia, rischia infine di avere pesanti ripercussioni sui pendolari umbri. Le proposte della Regione, che appaiono del tutto giustificate al fine di alleviare i disagi verso i pendolari, sono state di fatto respinte dall’azienda ferroviaria. La Regione aveva proposto un meccanismo di agevolazioni tariffarie, finanziato in parte anche dalla stessa Regione, per compensare i disagi dovuti alla consistente riduzione dell’offerta ferroviaria. In particolare, si era richiesto di permettere ai pendolari di utilizzare i loro abbonamenti anche su convogli di classe superiore o non inclusi nei loro abbonamenti, senza costi aggiuntivi. La risposta di Trenitalia, però, è stata netta: nessuna disponibilità a partecipare finanziariamente alle agevolazioni e nessun accesso a convogli di classe superiore. L’unica “concessione” è stata l’accettazione dei pendolari su percorsi più lunghi, come quello via Terontola per andare da Perugia a Roma, senza aggravio di costi. Una sorta di insulto.
Per concludere non si può certo dimenticare che il dibattito sull’alta velocità e l’Umbria è un altro esempio lampante di come la regione sia stata trattata come un’area di serie B. Per anni si è discusso della possibilità di un accesso umbro all’alta velocità, un’infrastruttura che avrebbe potuto davvero cambiare il volto della regione, portandola a pochi minuti dalle grandi città italiane. Un sogno mai realizzato, che si è trasformato in una soluzione di ripiego, non certo soddisfacente.
La più recente scelta di realizzare un nodo umbro-toscano a Rigutino, nel comune di Castiglion Fiorentino (AR), anziché nella contestata Creti, potrebbe rappresentare un passo avanti o un’ulteriore penalizzazione se il progetto non dovesse contestualmente e immediatamente offrire un collegamento su ferro, che dovrebbe coprire solo poche centinaia di metri, per unirsi direttamente alla tratta che porta a Perugia, Assisi e Foligno. Se così non fosse (come invece promesso recentemente anche dal Presidente della Regione Toscana), il testimone che passa da Creti a Rigutino sarebbe una scelta che, anziché realizzare i diritti di una vasta popolazione e la modernizzazione del trasporto ferroviario nel Centro Italia, finirebbe per rispondere più a logiche di compromesso che a reali esigenze di mobilità, salvo appunto concretizzare, integrandola, la realizzazione del breve tratto sopra ricordato.
La vicenda dei costi dei servizi sostitutivi, l’isolamento ferroviario e la gestione insoddisfacente del nodo alta velocità, sono tutti segnali di una inaccettabile scarsa attenzione verso l’Umbria da parte del governo e del gruppo Ferrovie dello Stato. I cittadini umbri hanno il diritto di sentirsi parte integrante del Paese, non una provincia dimenticata. L’attuale gestione dei trasporti non solo crea disagi, ma alimenta un senso di ingiustizia e abbandono.
È giunto il momento di superare una visione settoriale e contabile e di adottare una strategia di sviluppo integrata e a lungo termine. Investire sull’Umbria non significa solo migliorare la vita dei suoi abitanti, ma sbloccare il potenziale di un’intera area del centro Italia, creando un effetto domino positivo sull’economia e sul turismo. Le Ferrovie dello Stato, con il supporto del Governo, hanno il dovere di dimostrare che la modernizzazione del Paese non lascerà indietro nessuno, tanto meno il suo cuore verde.
*Guido Perosino, ex amministratore delegato di Quadrilatero Marche-Umbria e di Anas international