di Giampiero Rasimelli
Non è mai semplice, né facile, interpretare la politica umbra e le sue dinamiche. Non lo era 30/40 anni fa in un contesto storico-politico del tutto differente, non lo è oggi in un quadro più frammentato e fragile. In questi ultimi 20 anni la nostra regione è arretrata molto e la politica non è riuscita ad indicare una strada per bloccare questo scarto negativo e tentare il rilancio, l’innovazione della struttura economica e sociale dei nostri territori. Questa è anche la ragione che ha portato alla sconfitta la destra che ha governato la Regione, Perugia, Terni e tanta parte dell’Umbria.
Oggi in una situazione molto grave per l’Europa, per il nostro Paese e per l’Umbria si imporrebbe e si impone un forte principio di responsabilità delle classi dirigenti politiche, che dovrebbero essere capaci di intercettare le preoccupazioni profonde dei cittadini, l’ansia che emerge dalle cronache internazionali e nazionali, che muove le coscienze e l’opinione pubblica e che ha bisogno di essere trasformata in partecipazione, lotta, progetti di cambiamento e di rinascita, in modo che il cittadino non resti solo e possa alimentare le sue speranze. Invece assistiamo anche in un Umbria a una rissa continua che sfibra le istituzioni e impoverisce il confronto politico, una rissa tra partiti e nei partiti. Una rissa nella quale si è distinta in questa fase particolarmente la destra, ma che oggi sembra attanagliare di nuovo il Partito Democratico, di gran lunga il principale partito della coalizione di governo in Umbria.
Uno dei fattori essenziali della vittoria del centrosinistra nelle elezioni del 2024 (a Perugia e in Umbria) è stata la capacità di presentare al voto una nuova classe dirigente, in grado, agli occhi dell’elettorato, di rompere col passato e di garantire un’energia nuova nell’esercizio del governo. Ci si è affidati a personalità fresche, di prestigio e carisma capaci di mobilitare l’elettorato e di indicare le priorità dell’agire politico e di governo, di dare una speranza agli elettori in una condizione di seria difficoltà. Il PD è stato considerato dall’elettorato il contenitore più credibile di questo movimento e anche il più determinato costruttore dell’alleanza politica di centrosinistra che poi è risultata vincente. Per questo è sorprendente trovarlo oggi attanagliato da una crisi interna difficile da spiegare, un paradosso “alla Tafazzi”, un misto di autolesionismo e di resa alla logica divisiva che per anni lo ha pervaso.
Le campagne elettorali sono state un momento di grande, ritrovata unità per il PD, che si è sentito ed è stato protagonista di quella grande cavalcata politica che ha portato al successo il centrosinistra. Poi però il rigurgito divisivo si è manifestato di nuovo e non tanto sull’individuazione dei posti di governo, un classico della vita dei partiti, ma sulla guida del partito. È tornata la preoccupazione che un allargamento e rinnovamento della guida politica del partito potesse incidere sui rapporti di potere interni. Il congresso tenutosi nell’estate ha riservato molte sorprese, il principale candidato alla segreteria regionale si è dovuto ritirare (cosa che gli fa onore) a causa del riavvio di un procedimento giudiziario dal quale pensava di essere uscito e un buon 40% dei votanti hanno manifestato le loro preoccupazioni di fronte a una gestione troppo chiusa ed esclusiva della vita interna. Alla fine è stato eletto segretario Damiano Bernardini, Sindaco di Baschi, espressione della maggioranza, ma votato anche dalla robusta minoranza di Casa Democratica. Bernardini era nel contempo candidato alla segreteria provinciale di Terni, contrapposto al Segretario cittadino di Terni Pierluigi Spinelli. Ritiratosi dalla disputa ternana Bernardini, perché nominato segretario regionale, è sembrato naturale che venisse nominato Spinelli Segretario Provinciale e risulta che questo percorso fosse stato concordato passo dopo passo con Roma, con la Direzione nazionale del PD. Ma al momento dell’elezione di Spinelli gran parte della componente Passione Democratica dell’assemblea provinciale (quella che è risultata maggioranza nel congresso regionale) non si è presentata in assemblea e poi a elezione avvenuta ha presentato ricorso alla Commissione di Garanzia per l’annullamento del voto in quanto Spinelli non avrebbe raggiunto il quorum richiesto. La Commissione ha dato da pochi giorni ragione ai ricorrenti e ora c’è da aspettarsi un contro-ricorso, già annunciato, da parte dei sostenitori di Spinelli alla commissione di Garanzia Nazionale.
Bandecchi e i conflitti d’interesse: Ternana e stadio-clinica
Se questa ricostruzione è esatta emerge con chiarezza che si è tornati alla pratica dei patti sanciti e non rispettati, alla guerra del cavillo statutario su un corpo normativo quantomeno discutibile nell’interpretazione e soprattutto ad uno scontro nel quale la prima vittima è l’interesse del partito, la sua immagine di fronte alla società regionale. E va tenuto conto che Spinelli ha ottenuto oltre il 70% dei consensi a Terni città nella quale si andrà al voto tra meno di due anni in una elezione che sarà importantissima per i destini politici dell’Umbria, ma anche che Bernardini in questi due mesi ha mandato importanti segnali della volontà di gestione unitaria del partito, perché eletto unitariamente e perché convinto di dover tirare fuori il partito dalle secche della esasperata conflittualità interna.
E’ qui che si manifesta il massimo del “Tafazzismo”: questo rigurgito di conflittualità può indebolire infatti il Pd a Terni proprio in un momento in cui si manifestano i tanti conflitti di interesse di Bandecchi e la sua pochezza. E può indebolire l’azione di un Segretario Regionale il cui compito imperativo è ricostruire l’unità politica del suo partito e il rilancio del progetto di governo, ora che l’Umbria ha bisogno di scelte complicate e urgenti.
Tutto questo è incomprensibile inoltre per chi ha frequentato la Festa dell’Unità a Terni e, fino a pochi giorni fa, ha visto l’impegno unitario dei militanti e del Segretario Spinelli in prima persona, il successo dei dibattiti e della partecipazione della città. Perchè si è deciso di inasprire un conflitto che pareva in via di composizione?
In una gestione divisiva ed esclusiva del PD non c’è né innovazione né futuro, ma quanto di più vecchio e frusto è occorso negli ultimi decenni. I dirigenti del PD che stanno nelle istituzioni farebbero bene ad occuparsi dei grandi problemi dell’Umbria e non di come fomentare o guidare le conflittualità di partito, perché da questo, come la storia recente dimostra, ne può venire solo discredito, un calo di consensi e la paralisi dell’azione politica.
Bernardini è sembrato avere contezza di questo rischio ed è sperabile che compia con speditezza i passi giusti per restituire piena agibilità politica al principale partito di governo dell’Umbria … altrimenti si andrà incontro a seri rischi, che la nostra regione non può permettersi.