di Wladimiro Boccali
Questo testo è un invito ai giornalisti a tenere viva la loro etica professionale di libertà, premessa di quelle indagini e manifestazioni che fanno continuare il giornalismo di inchiesta. Offre ai giornalisti contemporanei un modello per trovare nella storia della loro professione un ruolo costruttivo da svolgere” (l. Weinberg).
Già questo basterebbe per rendere interessante e utile il libro “La vergogna delle città” di Lincoln Steffens, a cura di Raffaele Rauty, edito da “Derive Approdi”, con una postfazione di Sergio Rizzo. Tanto più in un momento in cui l’attacco al giornalismo di inchiesta ci viene squadernato con forza e violenza dalle bombe collocate nell’auto di Sigfrido Ranucci.
Questo testo è una raccolta di articoli pubblicati originariamente sulla rivista McClure’s Magazine, tra il 1902 e il 1904. Lincoln Steffens, uno dei più noti “muckrakers” dell’epoca progressista americana, documenta in modo diretto e senza orpelli, la corruzione politica e amministrativa diffusa nelle principali città degli Stati Uniti: St. Louis, Minneapolis, Pittsburgh, Chicago, Philadelphia, e New York.
Joseph Lincoln Steffens nasce a San Francisco nel 1866, e scompare a Carmel by the Sea il 9 agosto 1936. La sua intera carriera professionale si è concentrata su pubblicazioni americane come giornali, riviste e libri, con l’obiettivo di raccontare ciò che stava accadendo nelle città, e all’interno di ogni comunità. Sostenendo il peso e misurandosi con la libertà di un giornalismo d’inchiesta senza pregiudizio, tesi precostituite o “parti” da sostenere.
Insieme a John Reed, raccontò la rivoluzione messicana, dalla quale rimase fortemente impressionato. Arrivò infatti a considerare la rivoluzione il metodo migliore per attuare le riforme sociali. Riforme necessarie soprattutto nelle aree urbane.
Successivamente si trasferì in Europa per fare un viaggio in quel clima incandescente di intense rivoluzioni che caratterizzò i primi decenni del ‘900. A partire dall’Unione Sovietica, dove incontrò ed intervistò Lenin. Rimase affascinato dal comunismo (“ho visto il futuro e funziona” ebbe modo di dire). Poi, trasferitosi in Italia nel 1919 conobbe la politica di Benito Mussolini, del quale fu entusiasta sostenitore. “Come Lenin questi nuovi leader rivoluzionari leggono la storia, non come i docenti per amore di sviluppo della conoscenza, né come scienziati che cercano leggi al governo degli eventi, ma come uomini di azione, che leggono un registro della sperimentazione umana per trovare cosa fare e come”.
Lo stesso Steffens nell’introduzione sottolinea che: “questo non è un libro, è una raccolta di articoli. Scritti come articoli rivista”.
Steffens adotta uno stile asciutto, incalzante, spesso ironico. Non è neutrale: è indignato, ma razionale. Usa il giornalismo come strumento per provocare un risveglio civile. Non cerca solo lo scandalo, ma la consapevolezza: “Non è un problema di politici cattivi,” scrive, “ma di cittadini cattivi che li tollerano.”
Nonostante richieda un impegno maggiore di quello di un romanzo, questo libro offre una narrazione coinvolgente per chi è affascinato dalle dinamiche storiche, politiche e dal ruolo dei media
“La vergogna delle città” è un classico del giornalismo investigativo ed è una lettura fondamentale per chi vuole capire il rapporto tra corruzione e democrazia. Oltre ad essere una denuncia, invita all’impegno civile e, pur essendo una lettura complessa, offre spunti di riflessione cruciali.
Ciascun capitolo è dedicato a una città diversa. Vengono riportati nomi, fatti, connessioni tra politici corrotti, affaristi e criminalità organizzata. Ma Steffens non si limita a denunciare i politici: punta il dito anche contro l’indifferenza dei cittadini, la complicità della stampa e l’influenza distruttiva del denaro nelle istituzioni democratiche. “La gente non è innocente…. Siamo un popolo libero e sovrano, governiamo noi stessi e il governo è nostro. Ma questo è il punto. Responsabili siamo noi, non i nostri leader dato che li seguiamo. Permettiamo che distolgano la nostra lealtà dagli Stati per qualche “partito”, permettiamo che siano loro a comandare il partito trasformando le nostre democrazie in autocrazie e la nostra nazione repubblicana in una plutocrazia”.
Sebben sia stato pubblicato nel 1904, la situazione che descrive riferita a quel periodo storico, sia decisamente e drammaticamente ancora attuale.
Questa è la ragione per cui questo testo non esaurisce la sua utilità alla categoria dei giornalisti d’inchiesta, dei nuovi “muckrakers” contemporanei, ma trova una sua dimensione nell’animazione di un dibattito pubblico, riguardante l’editoria, la libertà di stampa, la coscienza civile, e l’impegno politico.
Anche a distanza di oltre un secolo, “La vergogna delle città” rimane sorprendentemente attuale. Le dinamiche di potere, i giochi di corruzione, il rapporto distorto tra denaro e politica sono questioni universali e immutabili. In un’epoca di sfiducia verso le istituzioni, fake news e crisi della rappresentanza, Steffens ci ricorda che la democrazia richiede partecipazione, vigilanza e responsabilità civica.
Dalla lettura dei diversi articoli incentrati su sette diverse città statunitensi, se ne ricava un quadro sullo sviluppo urbano che, oltre a spiegarci molto di quelle realtà sia in chiave storica che contemporanea, ci apre anche a una riflessione sulla condizione in cui si trovano i nostri centri urbani. Con uno sviluppo che troppo spesso è sottratto a una politica di sviluppo, in grado di proiettarsi sul lungo periodo, e ha delegato al mercato e alla finanza. Ne sono un esempio tangibile i casi di Milano e la sua crescita “infinita”, o Roma e Firenze con la massificazione del turismo.
La lettura di Steffens ci porta con forza a riflettere sulla questione della libertà di stampa nelle democrazie liberali, sul rapporto del Potere in questi Paesi con il giornalismo di inchiesta, e sul tema degli Editori “impuri”, che detengono organi di informazione non certo con l’unico obiettivo di riportare la realtà dei fatti senza un secondo fine.
Esempio noto è il caso del plurimiliardario Jeff Bezos, proprietario di quel Washington Post. Una testata che è passata dall’aver provocato le dimissioni del Presidente Nixon per il caso Watergate, al censurare una vignetta del premio Pulitzer Ann Telnaes perché sgradita al Presidente e, probabilmente, all’editore stesso. Per rimanere a casa nostra, oltre alla irrisolvibile questione del servizio pubblico, rappresentato dalla RAI, sempre sotto scacco dei Partiti della maggioranza del momento, il caso preoccupante è quello dell’Editore di diversi quotidiani, che è attualmente parlamentare, di un Partito della attuale maggioranza di Governo, oltre ad essere un imprenditore della Sanità privata, con stretti legami nel Sistema Sanitario Nazionale.
In questo quadro e con la dominazione dei social network e dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, è e sarà sempre più difficile per i giornalisti liberi dare notizie reali, e dall’altro lato per l’opinione pubblica ricevere verità. Verità talvolta di parte, nel senso in grado di esprimere un’opinione da parte del giornalista, ma almeno nella possibilità di esprimere il proprio punto di vista in libertà, senza rischi di ritorsioni.
Alla luce di queste riflessioni, per usare le parole di Sergio Rizzo contenute nella post-fazione: “in una situazione così complessa e condizionata da cambiamenti repentini e drastici, capaci di mettere a repentaglio il bene più prezioso per una democrazia, il compito di vigilare per chi svolge questo mestiere è ancora più importante e decisivo.
Seguire l’esempio di Lincoln Steffens dovrebbe essere per tutti i giornalisti l’imperativo categorico.”
Buona lettura!
Wladimiro Boccali
Wladimiro Boccali