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Dopo la giornata di mobilitazione contro il documento “Nuove Indicazioni” del ministro Valditara, Maria Elisabetta Mascio ci ha inviato questo articolo. Passaggi   lo pubblica volentieri anche per stimolare la riapertura di un dibattito, anche a livello locale, sulla scuola. Una ripresa del confronto è auspicabile e la mobilitazione del 18 ottobre sembra dimostrare che insegnanti e studenti la richiedano. La nostra rivista sarebbe disponibile a ospitare questa discussione senza pregiudizi sui contenuti.

di Maria Elisabetta Mascio

A difesa della scuola pubblica democratica inclusiva e della Costituzione, un movimento di associazioni, sindacati, realtà del terzo settore, sostenuto dall’adesione delle forze politiche di opposizione si è mobilitato in tutto il Paese contro l’approvazione e l’adozione delle Nuove Indicazioni per il primo ciclo di istruzione volute dal ministro Valditara.

Il Tavolo Nazionale Interassociativo per la scuola democratica ha invitato tutte le reti aderenti a scendere in piazza il 18 ottobre. Anche a Terni e a Perugia docenti, studenti, genitori, cittadini democratici hanno manifestato in piazza a difesa della scuola pubblica, con interventi, musiche, letture e momenti di partecipazione dei presenti.

Dalla scorsa primavera, da quando cioè è stata pubblicata la bozza del documento “Nuove Indicazioni”, tante associazioni culturali, professionali e di genitori, illustri linguisti, storici, matematici, pedagogisti, docenti hanno esposto inascoltati le osservazioni al documento, con la forza dell’argomentazione sostenuta da solidi presupposti scientifici e pedagogici e dalla fiducia nel valore della partecipazione democratica a processi. La fase della consultazione è stata scarna e insufficiente e, soprattutto, non ha prodotto modifiche al testo.

La mobilitazione ha visto numerosi momenti di riflessione molto partecipati in tutta Italia e anche in Umbria. L’adesione di tante associazioni e dei partiti di opposizione è il segno di una società viva e cosciente del valore della scuola pubblica, bene comune, presidio di uguaglianza e democrazia. A Terni si è costituita la rete “Scuola cultura libertà” a cui hanno aderito 24 realtà.

Il testo delle NI (Nuove Indicazioni) è perfettamente coerente con il disegno autoritario e regressivo sul piano culturale e pedagogico che ispira questo ed altri interventi del Governo. 

Ha il preciso intento di ribaltare la natura delle Indicazioni Nazionali del 2012  fondando l’innovazione della scuola su una radicale discontinuità culturale e pedagogica rispetto ad esse. Non tiene conto della ricerca pedagogica, delle esperienze di innovazione messe in atto negli ultimi decenni, dimentica che la scuola disegnata dalla Costituzione è democratica ed inclusiva.

Mette indietro l’orologio della storia ancorando la scuola al passato, senza un reale ascolto del mondo scientifico e professionale, privandola di connessioni con il presente, spingendola in una prospettiva etnocentrica ed eurocentrica (“Solo l’Occidente conosce la storia”); ribalta la prospettiva pedagogica mettendo in primo piano il Magister e non lo studente, poiché quello che conta, il merito, deriva dal talento naturale di ciascuno e non dalle opportunità che il contesto scolastico offre.

La scuola disegnata nelle NI è una scuola che esclude e non promuove, dimentica dell’art.3 della Costituzione, estranea a valori come il rispetto, l’intercultura, la complessità, la partecipazione, la sostenibilità, l’uguaglianza di genere.

Non è la scuola che vogliamo perché non risponde ai bisogni dei giovani, non si avvicina al dettato costituzionale, è lesiva anche della libertà di insegnamento e di autonomia scolastica in quanto è prescrittiva, paternalistica, identitaria.

Nella limitatezza di prospettiva storica, nella banalizzazione delle indicazioni storiche e ‘letterarie’, nella estraneità ai principi e alle ragioni della sostenibilità ambientale e sociale chiude gli orizzonti e offre agli studenti il paradigma della semplificazione ignorando la crescente complessità del mondo in cui vivono e vivranno.

Critiche autorevoli al documento sono state espresse da organi istituzionali. Il Consiglio Superiore della Pubblica istruzione non ha espresso parere favorevole, il Consiglio di Stato ha addirittura sospeso la formulazione del parere che obbligatoriamente l’atto deve ricevere prima di poter essere emanato, per gravi lacune strutturali  relative al quadro normativo vigente, compresa la Costituzione, e la compatibilità con la legislazione europea, relativamente alle coperture finanziarie, alle motivazioni e all’analisi dell’impatto, al contenuto didattico,  fino a richiedere correzioni formali e linguistiche.

E ancora, in questi giorni altri attacchi alle libertà costituzionali di espressione e di insegnamento, all’autonomia scolastica sono contenuti nel disegno di legge Gasparri, nel ddl sul consenso informato del ministro Valditara, ulteriormente peggiorato dall’emendamento Sasso e poi le assurde affermazioni della ministra Eugenia Roccella che riducono i viaggi della memoria a “gite” ad Auschwitz. In cantiere, quasi in dirittura d’arrivo, le Indicazioni del secondo ciclo, con il timore che siano allo stesso modo prescrittive, paternalistiche ed identitarie.

Tutto questo delinea una prospettiva in cui spirito critico, libertà di pensiero e di manifestazione, consapevolezza della complessità di oggi e di domani e autonomia nelle scelte sono scoraggiati e contrastati.

Ulteriore segnale chiaro viene dalla legge di bilancio 2026 inviata al Senato nei giorni scorsi: la scuola, per questo Governo, non è un asset fondamentale per lo sviluppo del Paese, è un capitolo di spesa da tagliare (meno 600 ml di euro in un triennio, sottratti all’edilizia scolastica, nessuna risorsa per il contratto di lavoro, riduzione del personale).

Non c’è traccia delle misure relative al caro libri, al diritto allo studio, sebbene annunciate.

Non c’è nessuna prospettiva di contrasto alla povertà educativa, anzi, la crisi demografica viene utilizzata per ridurre plessi e costi e non il numero di alunni per classe o incrementare le opportunità formative.

Le ragioni della mobilitazione sono veramente molte e grande è la preoccupazione per il futuro.

È importante che cresca nella società, tra i genitori, tra i docenti, la consapevolezza del ruolo altissimo che la Costituzione assegna alla scuola. Bisogna sollecitare l’opinione pubblica e gli attori scolastici a superare il silenzio, l’indifferenza o peggio ancora la riduzione di significato del portato legislativo che spalanca la porta a cambiamenti regressivi per la tradizione pedagogica della scuola italiana, incrementando così i divari nel paese.

Nel caso della mobilitazione culminata nelle piazze del 18 ottobre, è stato importante che tanti soggetti, associazioni, sindacato e partiti, si siano uniti per contrastare la deriva autoritaria e per proporre prospettive e soluzioni. Dobbiamo lavorare in simbiosi collaborativa pur nell’autonomia dei singoli, senza cedere alla stanchezza e alle difficoltà per dare forza all’azione parlamentare di opposizione, per fare argine al disegno distruttivo del Governo, per progettare insieme una vera alternativa. 

A cominciare dalla scuola. 

Come era scritto sulle vele delle barchette che hanno navigato in un mare arcobaleno nel corso della manifestazione a Terni:

Che la scuola pubblica resti vento forte di libertà, democrazia, pluralità e giustizia!

*Presidente di “Proteo Fare e Sapere -Terni” Associazione Professionale

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