di Andrea Delli Guanti
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Un anno di lotta e di costruzione. Con questa espressione si potrebbe riassumere il 2025 di Terni. Un episodio su tutti; la mobilitazione per dire “Basta a Bandecchi” nella quale i cittadini e le forze alternative sia al governo comunale, indegno della storia di Terni, che alla destra, si sono ritrovati per immaginare un’altra storia per la città.
Dentro questo scenario, però, serve un passo ulteriore. Concentrarsi sulla urgente necessità di aprire una stagione di confronto ampio con la città e lavorare su quella che rimane l’esigenza primaria per tutti coloro che hanno a cuore i destini della nostra regione; ovvero una piattaforma programmatica e politica esclusivamente a servizio di una inedita e non più rimandabile visione per l’Umbria e, di rimando, per la città e la provincia di Terni.
Tutto questo ancor più oggi che l’Umbria continua a scivolare sempre di più nel meridione d’Italia e nella quale il mercato del lavoro attraversa una trasformazione/involuzione profonda che spesso passa indisturbata sopra le nostre teste.
In fondo l’estensione della ZES a Marche e Umbria non è stata solo una mossa elettorale ma riflette il progressivo declino di queste regioni, oramai simili al Mezzogiorno.
Alcuni dati rendono bene l’idea di quello che sta accadendo o è già accaduto.
In Umbria, su 231mila lavoratori dipendenti, oltre il 30% percepisce non più di 10mila euro lordi l’anno; un dato che fa emergere, quindi, un lavoro che nei 5 anni di governo regionale del centro-destra è cresciuto quantitativamente, ma solo in forma discontinua, precaria, sottopagata, deregolata e con un impatto disastroso in termini di tenuta sociale.
A questo dato è interessante aggiungere ciò che emerge dal Clean Industrial Deal (Patto per l’Industria Pulita), la nuova strategia dell’Unione Europea per decarbonizzare l’industria, rafforzarne la competitività e l’autonomia strategica, combinando obiettivi climatici e crescita economica.
La mappa, divisa per regioni europee, della variazione del Pil pro capite nel contesto europeo dal 1995 al 2023, mostra come tutte le regioni italiane perdano posizioni e, soprattutto, come l’Umbria risulti la peggiore nel nostro paese, scivolando di oltre 73 posizioni.
Negli ultimi anni l’area meridionale del paese, in termine di sviluppo, si è inesorabilmente estesa creando un quadro con dieci regioni con un Pil superiore alla media UE e altre dieci al di sotto.
Lazio e Toscana in fase di assimilazione nell’area settentrionale, Marche e Umbria alle porte di una nuova geografia del Mezzogiorno e il Centro Italia, inteso non solo geograficamente ma come tessuto produttivo in grado di porsi in relazione a un contesto economico globale, che rischia di andare in frantumi.
A questi dati ne potrebbero essere aggiunti molti altri ma quello che emerge con chiarezza è che oggi ne veniamo fuori solo se prendiamo atto di questo scenario e delle sue implicazioni, comprendiamo quanto sia complesso governare la Regione in una fase straordinaria e ci rendiamo conto di come il consenso non possa essere una meta, ma un punto di partenza sul quale costruire radicamento e visione.
Si avverte l’urgenza di una nuova elaborazione culturale e occorre che la politica batta un colpo.
Oltre alle istituzioni, servono soggetti politici e coalizioni che non siano solo portatori di voti ma che, uscendo definitivamente dalle dinamiche elettorali, si interroghino su come si rinnova ed evolve un’alleanza, sviluppando un’analisi profonda anche per capire quali sono le ragioni dello stare insieme.
Su questo scenario si innestano, poi, le questioni e le prospettive della città di Terni e, non di meno, di Narni, Amelia, Orvieto e del resto della Provincia.
Serve chiarezza, responsabilità e serve una nuova narrazione che metta ordine nel caos generato da Stefano Bandecchi e dalla sua giunta.
A dimostrazione, basti considerare il tema clinica-stadio che rischia di essere più importante della battaglia per nuovo ospedale ternano.
La discussione su un “new generation hospital” adeguato alla seconda città dell’Umbria, va guidata, spogliata di ogni preconcetto, demagogia e corporativismo e condotta di pari passo con un ragionamento serrato su servizi, attrezzature, personale altamente formato e sul tema della distribuzione dei servizi in relazione alle altre strutture ospedaliere.
Oltre che portare con se’ il tema urbanistico, di connessione con la città e di un serio piano urbano di recupero e valorizzazione di Colle Obito, qualora venga individuato un nuovo sito, come quartiere dei servizi territoriali socio-sanitari, di assistenza e di medicina preventiva, di ricerca e di sviluppo tecnologico e alta formazione in sanità.
A ciò va aggiunto, portandolo alla contemporaneità, il tema di Terni Città Universitaria come cardine della nostra idea di città; la condizione indispensabile per la tenuta e l’espansione dell’ateneo (che deve smettere di asserragliarsi nell’acropoli perugina), ma anche per una nuova fase di sviluppo a più alto contenuto di cultura e per una politica di formazione e rafforzamento delle classi dirigenti ternane e umbre.
Questo è ciò che interessa alla meno rumorosa ma sicuramente più ampia maggioranza dei cittadini, unita ad una ritrovata qualità sociale della città. Terni deve tornare ad essere la comunità accogliente e sicura che è stata per più di un secolo; va di nuovo intrapreso un ragionamento su patti territoriali per la sicurezza, opportunamente aggiornati, che coordinino tutti i soggetti pubblici territoriali, nazionali e locali, in un’ottica di prossimità, senza le pericolose scorciatoie delle ronde private o dei sindaci-sceriffo che hanno solo inquinato pozzi e peggiorato drammaticamente la situazione con la loro assenza e la loro violenza verbale.
Ritengo, dunque, che il vero terreno di confronto sarà attorno alla visione e alle modalità attraverso le quali tentare seriamente di restituire alla città di Terni una guida autorevole e responsabile, per poi cominciare seriamente a lavorare a quell’ Umbria per e non contro, della quale parla spesso la Presidente Stefania Proietti, soprattutto per provare a tenerla insieme l’Umbria, oltre ad alcuni oggettivi squilibri e a pericolose percezioni che si stanno cementando.
Questo è un punto nodale, perchè diventa impossibile discutere di sviluppo dell’Umbria senza averne a monte un’idea condivisa ed equilibrata, ancor più in una fase di affievolimento e indebolimento del senso di appartenenza e del legame unitario fra gli umbri.
Le città dell’Umbria del sud, i suoi territori, le aree interne vanno concepite come cardine di un’area vasta capace di dialogare funzionalmente con tutto il centro Italia (Toscana, Alto Lazio, Marche) e nel quale Terni funga da vera città cerniera con Roma, non come semplice città dormitorio ma dentro una logica di sinergie e interscambio di servizi.
Una prova di aggregazione territoriale basata più su obiettivi comuni e integrabili che su legami amministrativi come lo fu, in passato, l’incompiuto progetto CIVITER promosso dall’ex sindaco di Terni, Leopoldo Di Girolamo.
Solo in una logica di estensione funzionale dei confini regionali, infatti, potremmo porre le basi per ragionare compiutamente anche sulla nostra dimensione industriale.
Il vuoto delle politiche industriali nazionali è drammatico ma su questo nodo si gioca il futuro di Terni, dell’Umbria e anche del paese: il nostro compito è una proposta politica aperta che guardi al futuro e che sia un punto di riferimento per le forze economiche sane e propositive del territorio.
Serve la consapevolezza che l’industria e il manifatturiero resteranno l’asse su cui giocare il futuro di un’Umbria che non può essere vista esclusivamente come verde e sacra, e soprattutto serve la cognizione di come connettere le nostre città a filiere ad alto tasso di conoscenza e innovazione sia cruciale per riaprire il dialogo con il Centro Italia come cardine e orizzonte di riferimento.
Si pensi alla nuova stagione che si sta aprendo per le Acciaierie di Terni, dopo la firma dell’Accordo di Programma, e al concretizzarsi degli investimenti necessari a incrementare e ampliare le produzioni e a compiere la riconversione energetica dello stabilimento.
Una ex company-town paradigma dell’industria classica che sta ripensando concretamente se’ stessa per raggiungere obiettivi concreti di profitto e responsabilità sociale ma che, allo stesso tempo, impegna l’intero territorio, le istituzioni e le forze sociali in termini di risorse e strategie per un futuro industriale.
Solo dentro tale contesto potremo ragionare di sviluppo, di sostenibilità ma anche del grande e sempiterno tema dei collegamenti, della logistica, dell’assetto energetico-industriale, dell’autonomia dei servizi e, più in generale, delle capacità attrattive del nostro territorio.
Il nodo irrisolto del collegamento con i porti di Civitavecchia e Ancona è strategico per tutta l’Umbria e vitale per Terni, così come la rivendicazione del raddoppio della linea ferroviaria Orte-Falconara.
Un tempo non troppo lontano, ma che sembra scomparso, la provincia di Terni era la seconda in Italia per numero di multinazionale operanti sul territorio, dopo Milano.
Oggi serve riannodare i fili, ricomporre la maglia di un territorio che è stato sempre caratterizzato da un alto tasso di modernità, dinamismo e innovazione.
Un territorio atipico rispetto al resto dell’Umbria, ma prezioso per l’intera regione, che oggi è a un bivio determinante sul quale tutti siamo chiamati a responsabilità.
Terni e la sua provincia non hanno un ruolo da rivendicare o da vedersi riconosciuto: questo ruolo è nei fatti.
Un ruolo e una funzione che la rendono decisiva, non solo negli appuntamenti elettorali, e che la prefigurano, in un’ottica di riequilibrio e autonomia, come portatrice di un protagonismo politico essenziale per un’Umbria futura capace di stare nel novero delle regioni europee avanzate e dinamiche e di rammagliare un tessuto identitario forte e contemporaneo.
Tanti, in questo anno, sono stati i passaggi critici ma indubbia è stata la capacità del PD, e del segretario comunale uscente Pierluigi Spinelli, di ritrovare un dialogo con la città. Un dialogo, da tempo interrotto, che va oltre i pur significativi passaggi elettorali (con il PD primo partito in città alle elezioni regionali) ma che porta ad una nuova, concreta connessione tra ciò che è stato quel grande partito, ciò che è oggi e ciò che dovrà e vorrà essere per l’intero schieramento progressista, facendolo magari da capofila, mettendo in discussione principi e regole della attuale governance cittadina.



