di Walter Patalocco
“Oggi qui, domani là” cantava qualche anno fa Patty Pravo. Il remake lo stanno facendo, dal 2018 in poi, i componenti del consiglio comunale di Terni: sono 32, e – finora – in 31 hanno cambiato casacca aderendo a formazioni politiche diverse da quelli in cui furono candidati ed eletti. Non che proprio tutti tutti abbiano trasferito la propria sedia da un punto all’altro dell’emiciclo, ma a fronte di pochi fedelissimi, c’è chi ha applicato senza freni il “motto” della canzone. E così, già al primo colpo d’occhio, l’assemblea di Palazzo Spada, a quattro anni dalle elezioni del 2018, appare profondamente diversa da quella di volti in qualche caso sconosciuti che compare su una fotografia rimasta sul sito del Comune di Terni. Una fotografia che ha assunto ormai valore di documento storico, da tenereb gelosamente da parte.
Tanto per avere un’idea: Fratelli d’Italia che vide eletti due consiglieri ne conta ora sei; la Lega è scesa da da 13 a 8. Variazioni dovute a dimissioni per incarichi in giunta o in altre Istituzioni, dimissioni definitive anche dal partito, scelta di far parte di un altro gruppo consiliare, “ma sempre della maggioranza” ha fatto notare il presidente del Consiglio comunale Francesco Maria Ferranti. Lui è di Forza Italia e c’è rimasto, almeno finora. Ma anche il suo gruppo non è che sia variato di poco: un consigliere di Forza Italia (Federico Brizi) passò alla Lega ed ora ne è capogruppo, due si dimisero per entrare nella giunta Latini (la prima, perché poi ne sono seguite diverse altre), un altro, Raffaello Federighi, fu dichiarato ineleggibile in base alla legge Severino. In seguito la sua elezione fu convalidata dopo un ricorso alla magistratura, ma Federighi non fu riammesso in consiglio. La cosa, si disse, avrebbe creato confusione dato che nel frattempo era subentarata a lui Valeria D’Acunzo. La quale, entrata in ritardo in consiglio, se ne è andata in anticipo: s’è dimessa la scorsa settimana anche dal partito. Che in ogni modo non era più Forza Italia perché dopo una subitanea adesione al gruppo misto, perché – disse – non voleva usurpare il posto di Federighi, abbracciò la Lega. Dimissioni dalla Lega, quindi. Ma al suo posto in consiglio entrerà il quinto dei non eletti del partito di Berlusconi, un medico che ebbe 150 preferenze.
Con lui, invece, nel gruppo Lega, dovrebbe arrivare il decimo dei non eletti, Marco Gubbiotti, che però è indeciso e forse rinuncerà a favore dell’undicesimo, Stefano Antonietti (“detto Toni”, come recitava l’elenco dei candidati). Però attenzione: questa surroga è collegata ad altre dimissioni, anch’esse recentissime: quelle di Anna Maria Leonelli: un passato sui banchi di Palazzo Spada nelle file di An, nel 2018 Leonelli fu eletta con la Lega. Ora ha deciso di abbandonare defintivamente il seggio. Il gruppo Lega lo aveva invece salutato già da parecchio quando ne uscì aderendo ad un gruppo nuovo: Upt, che non significava unione poste e telegrafi,come dissero i soliti buontemponi, ma Uniti per Terni. Lo avevano costituito altri due transfughi leghisti, Emanuele Fiorini e Paola Pincardini, insieme a Valdimiro Orsini uscito dal Pd.
Uniti per Terni però si è sfaldato. Orsini, ha annunciato ora di essere di Azione, Pincardini è transitata in Fratelli d’Italia, Leonelli aveva anunciato la sua adesione a “Cambiamo”, mentre Emanuele Fiorini è – praticamente – del gruppo “Fiorini io me”. Strana storia quella di Fiorini. Recordman di preferenze nella Lega (a pari merito con Enrico Melasecche che dopo un riconteggio poté fregiarsi del titolo di “primo” per un paio di voti) Fiorini rimase ignorato dal suo partito, cosicché aderì a Fratelli d’Italia. Ma anche lì non andò bene, così fu confondatore di Upt, con l’esito che si è detto.
Tra una surroga e l’altra, se le cose vanno avanti di questo passo c’è il rischio che la Lega esaurisca la lista. Un dato : dei tredici “consiglieri doc” eletti nel 2018 in consiglio ne resta solo uno (Devid Maggiora), gli altri sono provenienti da altri gruppi (compreso, appunto, il capogruppo Federico Brizi) o sono entrati per surroga ad altri subentrati, alcuni dei quali però si sono dimessi per prendere un incarico assessorile.
Non corre questo rischio il Partito Democratico: col “trasferimento di Orsini è passato da tre a due consiglieri. Due consiglieri ha perso il Movimento Cinque Stelle, con defezioni di quelle “maiuscole”, non per i personaggi, ma per il passaggio senza alcun imbarazzo alla maggioranza mediante l’adesione di uno, Marco Cozza, alla Lega e dell’altro, Patrizia Braghiroli, ai Fratelli d’Italia. Un altro cambiamento nell’M5S è stato “fisiologico” quando Thomas De Luca – candidato sindaco battuto al ballottaggio da Leonardo Latini – fu eletto in consiglio regionale, lasciando il suo scranno a Comunardo Tobia primo dei non eletti.
Un andirivieni che mette a dura prova la memoria degli elettori (e dei cornisti), alimentata anche dalle numerose variazioni della giunta Latini: alcuni componenti promossi ad altri incarichi (Enrico Melasecche, Valeria Alessandrini), ed alcuni che invece, dimessisi dal consiglio per diventare assessori, si sono poi ritrovati con una scarpa e una ciabatta: Marco Cecconi (dei Fratelli d’Italia), Sara Francescangeli e Leonardo Bordoni della Lega, Sonia Bertocco di Forza Italia, il vicesindaco “indipendente” Andrea Giuli. Oltre a Fausto Dominici – se qualcuno se lo ricorda – un commercialista di Rimini, esperto di finanza incaricato dalla Lega per affrontare le difficoltà di un Comune in dissesto: lui fu il primo a prendere la strada di casa.
Più tranquilli, all’apparenza, gli eletti nelle liste civiche: loro sono uno solo per gruppo e tengono duro, ma stando ad alcuni pettegolezzi, i cambi di casacca non sono finiti. Ce ne potrebbero essere persino di clamorosi. Perché la musica continua a risuonare nell’androne di Palazzo Spada: “Oggi qui, domani là, dopodomani chissà…”.
Tra una surroga e l’altra, se le cose vanno avanti di questo passo c’è il rischio che la Lega finisca i propri candidati del 2018. Basta un dato : dei tredici “consiglieri doc” eletti nel 2018 in consiglio ne resta solo uno (Devid Maggiora), gli altri sono provenienti da altri gruppi (compreso, appunto, il capogruppo Federico Brizi) o sono entrati per surroga ad altri subentrati, alcuni dei quali però si sono dimessi per prendere un incarico assessorile.