di Tommy Simmons
In apertura del 20° Congresso del Partito Comunista Cinese, in Presidente uscente (e si presume rientrante) Xi Jinping ha sottolineato quelli che percepisce come i principali successi degli ultimi anni del suo regime: la politica di “zero Covid”, che continua a mirare a contenere la diffusione del virus nel paese con rigide chiusure dei territori dove periodicamente riappare; la coerenza nazionalistica della politica cinese rispetto all’attuale indipendenza di Taiwan, nei cui riguardi Pechino “non prometterà mai di rinunciare alla forza” per assicurare che “la completa riunificazione del paese debba essere e sia raggiunta”; la riuscita della trasformazione della situazione a Hong Kong “dal caos alla governabilità”; e la “rimozione di gravi pericoli celati all’interno del Partito”.
Dato che il Partito Comunista è il Partito Unico della Cina e che i 2.300 delegati presenti ai lavori, che rappresentano al Congresso i suoi 96 milioni di membri, di fatto governano questo paese di 1,45 miliardi di abitanti, naturalmente la sua coesione e stabilità sono percepiti (dal neo-Timoniere) elementi determinanti per il futuro. Il crescente potere di Xi Jinping su tutta la Cina è dovuto infatti soprattutto al suo controllo ideologico e organizzativo del Partito, un controllo ottenuto con anni di epurazioni dei suoi principali rivali, con un crescendo di campagne contro la corruzione e con la graduale affermazione del suo “pensiero”, che è stato addirittura adottato nell’ambito della costituzione del paese; ma il suo successo è dovuto anche alla sostenuta crescita economica che la Cina ha vissuto durante il primo decennio della sua Presidenza, alle ramificazioni commerciali e politiche instaurate con la creazione della “Nuova Via della Seta”, al concreto rafforzamento della potenza militare del paese, al prestigio più marcato di cui gode la Cina nel mondo e alla concreta possibilità che la Cina possa trasformare le regole di un ordine mondiale costruito quando il potere economico e militare dell’Occidente gli permetteva di dettar legge.
Al dì là degli oggettivi successi che il paese ha ottenuto – a livello di nazione ma anche rispetto alla qualità della vita dei suoi abitanti – oggi la Cina di Xi Jinping è anche una nazione che dopo decenni di crescita e di flessibilità anche ideologica dovuta all’apertura verso un mondo “globalizzato” si sta richiudendo su stessa, in parte con la serrata delle frontiere per impedire l’accesso al virus del Covid (paradossalmente originato nella stessa Cina), ma soprattutto per barricarsi contro l’accesso di idee contrarie agli orientamenti del Partito e garantire una coesione nazionale che permetta appunto al Partito di determinare la natura del paese negli anni a venire, senza fastidiosi contrasti o discussioni. Non a caso lo Scudo Dorato (o Grande Muraglia) che isola la rete web dei cinesi dal resto del mondo e la censura statale che controlla tutti i contenuti online a cui può avere accesso la popolazione sono elementi centrali dell’isolamento della Cina dal resto del mondo. E così come il grande esperimento della Globalizzazione è in ritirata un po’ ovunque anche l’idea di un reale World Wide Web appartiene ad un passato che diverse parti del mondo (dominate da autocrazie) hanno deciso che non fa per loro.
Dopo la cerimonia pubblica (e i discorsi) di apertura, il Congresso del Partito Comunista Cinese proseguirà a porte chiuse, deliberando nuove politiche per il prossimo quinquennio, scegliendo i candidati per le principali cariche politiche del paese ed eleggendo i 200 membri del nuovo Comitato Centrale – e un nuovo (o vecchio) Presidente. Secondo tutti gli osservatori tutte le principali decisioni sono già state prese nel corso degli ultimi mesi e la rielezione di Xi Jinping viene data per scontata (salvo inediti sconvolgimenti dell’ultima ora). Le uniche, molto significative, incognite riguardano chi saranno i 25 candidati che Xi Jinping avrebbe scelto per entrare a far parte del Politburo, quali tra gli attuali leader verrà pensionato o estromesso, e quali messaggi politici il rieletto, e rafforzato, presidente vorrà dare nel suo messaggio di chiusura dei lavori.
Il Congresso dovrà (se gli sarà permesso) affrontare le questioni che hanno reso particolarmente difficili gli ultimi mesi di Xi Jinping (questioni che lui ha però ignorato nel suo discorso di apertura): il crescente scontento della popolazione nei riguardi dei “lock-downs” radicali per contenere il Covid (di recente i residenti di un grattacielo che volevano abbandonare l’edificio durante un terremoto vi sono stati chiusi dentro da guardie eccessivamente ligie alle direttive centrali!); la preoccupazione generale per il rallentamento dell’economia globale e dunque della crescita economica del paese; il crollo della fiducia dei consumatori nel modello economico centralizzato del governo, soprattutto a causa del tracollo del settore edilizio, del fallimento delle sue aziende leader e, per un numero imprecisato ma enorme di famiglie, la perdita degli anticipi versati per appartamenti in costruzione che forse non saranno mai finiti; il rischio di “default” di numerosi paesi in via di sviluppo ai quali la Cina ha prestato miliardi di dollari; i limiti posti dagli Stati Uniti sull’esportazione di prodotti strategici di alta tecnologia verso il rivale asiatico…
Il Presidente Xi Jinping viene generalmente considerato “enigmatico” e i meccanismi della politica cinese un arcano che si scioglie solo a posteriori ma sembrerebbe che nei prossimi anni il paese proseguirà lungo la strada che Xi Jinping ha delineato nel corso dei suoi primi mandati: la coesione ed il ruolo del Partito Comunista nella gestione della cosa pubblica cinese continueranno ad essere rafforzati; le contraddizioni di un paese a guida comunista ma cresciuto grazie al capitalismo internazionale continueranno ad essere appianate con una maggiore ridistribuzione dei profitti alle fasce più deboli; il ruolo tentacolare dello Stato nell’economia assumerà un peso maggiore; l’ideologia del partito e la visione di Xi Jinping sul ruolo storico della Cina nel mondo saranno diffusi con maggior forza nel paese (e all’estero); gli investimenti nelle forze armate continueranno ad essere massicci; l’occupazione militare (ed illegale) del Mare della Cina Meridionale verrà consolidata; e le pressioni su Taiwan verranno intensificate.
La risposta Occidentale alla crescita economica e strategica cinese ha iniziato a delinearsi sotto la presidenza USA di Donald Trump e con un fronte compatto contrario ad un ruolo troppo centrale dell’azienda Huawai nel settore delle telecomunicazioni, per poi assumere un carattere più variegato con la “scoperta” della dipendenza su filiere di produzione strategiche troppo accentrate nella Cina. La risposta alla crescita militare cinese si sta delineando con nuove alleanze, con il trasferimento di nuove tecnologie belliche ad alcuni alleati, con una presenza più vicina e visibile al fianco di Taiwan. La maggior parte delle iniziative mirate a contenere o ostacolare la Cina si svolgono ancora a livello diplomatico ma molti osservatori si chiedono non se ma quando Stati Uniti e Cina rischiano di entrare in conflitto armato. Molto dipenderà dall’esito di questo Congresso del Partito Comunista Cinese e da quanto Xi Jinping riuscirà a far affermare la sua visione per il futuro del suo paese.