di Tommy Simmons
L’attenzione dell’opinione pubblica europea gradualmente si sta distraendo dal quotidiano del conflitto in Ucraina, preoccupandosi soprattutto dei suoi potenziali risvolti per la propria sicurezza energetica e tenore di vita nel medio periodo, ed è in gran parte presa da questioni di politica interna dei singoli stati, dagli effetti del clima torrido (omettendo di riflettere ed agire sulle sue cause) e dal periodo di vacanze e la logistica dei trasporti verso le mete prescelte. Nonostante la Russia di Vladimir Putin continui imperterrita nel raggiungimento dei suoi obiettivi di conquista del legittimo ed indipendente stato Ucraino e continui a tenere dalla parte del manico il coltello energetico fissato nel corpo delle economie e dei tenori di vita europei, nell’Europa che letteralmente brucia anche a causa dei propri consumi, l’aria condizionata continua ad essere tenuta a palla, il piede destro viene tenuto saldamente premuto sugli acceleratori di milioni di automobili e aeroporti e linee aeree non riescono a gestire la domanda dei viaggiatori stanchi del tran tran quotidiano degli ultimi mesi. Si può solo supporre che quando al rientro delle ferie i nodi energetici ed inflazionari verranno al pettine la medesima opinione pubblica europea sarà pronta ad abbandonare le sensate linee di principio che negli ultimi mesi hanno permesso all’Ucraina di difendersi e al mondo occidentale di tracciare nette “linee rosse” che stati con prepotenti ambizioni imperiali non devono sognare di oltrepassare.
Ma non bisogna dimenticare che queste “linee rosse” sono state tracciate non solo per arginare le ambizioni della Russia – che continua a rivendicare una patria potestà su altri territori ucraini, sui paesi baltici, sulla Moldavia, mettendo ulteriormente a repentaglio la sicurezza e stabilità europea – ma anche per mandare segnali chiari alla Cina imperiale di Xi Jinping riguardo il possesso che rivendica sulla quasi totalità del Mare Cinese Meridionale (e Orientale) e sull’isola di Taiwan.
Diversamente dalle pretese accampate dalla Russia per giustificare la sua invasione dell’Ucraina, la posizione di Pechino riguardo a Taiwan ha – sulla carta – motivazioni storiche più fondate in quanto l’arcipelago che compone lo stato di Taiwan è appartenuto ed è stato colonizzato dalla Cina per numerosi secoli e sin dalla proclamazione della sua indipendenza nel 1949 non è mai stata riconosciuta come stato indipendente dalla gran parte della “comunità internazionale”. Questa mancanza di riconoscimento naturalmente non impedisce ai suoi 23 milioni di abitanti di rivendicare la propria autonomia e il diritto alla propria sovranità ma dinanzi alle posizioni della sempre più potente Repubblica Popolare Cinese, da oltre 70 anni nei fatti Taiwan esiste in un limbo incerto sfruttato da ogni parte per convenienza politica e strategica a seconda del momento storico. Vista la presa di controllo totale che la Cina ha ottenuto in breve tempo sul territorio di Hong Kong – violando senza esitazioni gli accordi formali presi con i Britannici al momento del passaggio di consegne – e viste le dichiarazioni sempre più frequenti e chiare di Pechino riguardo al “recupero” di questa provincia smarrita, sembra molto difficile prevedere passi indietro su questo tema.
Le rivendicazioni cinesi sul Mare Cinese Meridionale sono invece del tutto pretestuose e senza fondamento storico o legale. Malesia, Vietnam, Indonesia, Filippine e Brunei – che nell’ottica cinese dovrebbero rinunciare addirittura ad ampie zone delle proprie acque territoriali – le contestano con vari gradi di forza ma fino ad ora nessuno ha avuto la volontà o capacità di opporsi fermamente, tanto che la Cina vi ha occupato e militarizzato le isole Paracelso e Spratly. Nel Mare Cinese Orientale Pechino ha inoltre con contenzioso secolare col Giappone rispetto al controllo delle isole Diaoyu/Senkatu. Oltre al possesso degli ingenti giacimenti petroliferi e di gas già identificati nel sottosuolo di questi importanti angoli dell’Oceano Pacifico, l’obiettivo di Pechino sembra essere anche il controllo delle rotte navali della zona, dalle quali dipende una parte rilevante del commercio mondiale. Per di più, nel corso delle ultime settimane il Ministro degli Esteri cinese ha visitato bel 8 stati insulari del Pacifico – una serie di visite senza precedenti e mirata alla creazione di rapporti più stretti e se possibile basi logistiche nell’oceano più geograficamente vicino all’Oceania.
Grazie alla straordinaria crescita economica che la Cina ha ottenuto negli ultimi decenni, Pechino è sempre più in grado di sostenere le rivendicazioni di principio e gli sforzi diplomatici con la dimostrazione della sua forza militare. Negli ultimi mesi le incursioni di aerei militari cinesi nell’area di difesa di identificazione di Taiwan – incursioni mirate a ribadire le posizioni di Pechino e a saggiare le difese dell’arcipelago – sono aumentate di frequenza e di entità; le manovre militari congiunte delle marine cinesi e russe intorno al Giappone sono più che raddoppiate sin dall’inizio del conflitto ucraino (nei primi 4 mesi del conflitto il Giappone ha registrato ben 90 “episodi” di attività navale ed aeronautica russo-cinese attorno alle sue acque); e a fine giugno la Cina ha varato la sua terza e di gran lunga più moderna portaerei, consolidando il primato della marina militare più grande del mondo – numericamente superiore anche a quella degli Stati Uniti, seppur, a dir degli esperti, tecnologicamente inferiore. Tutti i fatti sembrano confermare tutte le parole.
Diversamente dalla complessiva incredulità ed impreparatezza Occidentale dinanzi alla concentrazione di decina di migliaia di soldati russi alla frontiera ucraina all’inizio di quest’anno, le intenzioni cinesi vengono però viste con crescente preoccupazione dalle capitali europee e nord- americane, tanto che il 5 luglio Christopher Wray e il Generale Ken MacKallum – direttori dell’FBI e del MI5 (il controspionaggio britannico) – hanno tenuto un’inedita conferenza congiunta durante la quale hanno evidenziato la “grave minaccia economica” rappresentata dalla Cina e i suoi sforzi per “rubare proprietà intellettuali e influenzare la politica dei paesi occidentali” e sottolineato come la Cina si sia già attivata per rendere la propria economia impermeabile alle sanzioni che potrebbe aspettarsi dall’occidente se invadesse Taiwan. Oltre al rafforzamento della così detta Quad alliance tra Stati uniti, India, Giappone e Australia – e la disponibilità USA a fornire all’Australia la tecnologia necessaria per costruire avanzati sommergibili nucleari, già dallo scorso novembre il Giappone ha approvato un incremento di spese militari di $ 6,8 miliardi – portando il bilancio della sua difesa a livelli che non raggiungeva dagli anni ’50. Più di recente, anche l’Unione Europea ha deciso di portare ad un nuovo livello la sua strategia difensiva nell’area Indo-pacifica, in risposta alla crescente presenza cinese e sottolineandone l’importanza.
Le “linee rosse” tracciate dalle democrazie occidentali spaziano dunque l’intero globo e qualsiasi passo indietro rispetto ad una ferma garanzia della tutela delle norme internazionali sviluppate, condivise e sancite nel corso degli ultimi 70 anni avrebbe conseguenze per generazioni a venire. La crisi Ucraina ha già portato molte nazioni a fare compromessi su altre “linee rosse” ben definite – sulla tutela dell’ambiente, sui diritti umani – e lo sfuocamento di questi confini avrà già conseguenze importanti. Immaginare compromessi sulla sicurezza globale per soddisfare i bisogni percepiti a breve di un elettorato scontento potrebbe avere conseguenze disastrose. Se si vuol sperare di contenere Pechino non si può permettere a Mosca di farla franca.