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di Antonella Valoroso

A influenzare la vita delle donne nel Medioevo erano molti fattori, tra cui il ceto sociale, il luogo di residenza e il contesto culturale e religioso. La maggior parte di loro si dedicava alle attività domestiche come cucinare, filare, tessere e prendersi cura dei figli.

UMBRIA E DONNE/1 LA LUNGA STORIA DEL POTERE AL FEMMINILE INIZIA CON LE ETRUSCHE 

Per le donne di ceto elevato il matrimonio era spesso un’alleanza politica o economica. Le ragazze si sposavano giovani e non avevano molta voce in capitolo nella scelta del coniuge. La maternità era una questione centrale per tutte, e molte donne trascorrevano gran parte della loro vita adulta come madri.

Nelle campagne le donne lavoravano duramente accanto agli uomini e gestivano anche le attività domestiche. Nelle città, invece, erano abbastanza numerose quelle coinvolte in attività artigianali o commerciali, spesso nelle botteghe di padri e mariti.

La vita media delle donne era breve, con un’aspettativa di vita che si fermava ai 38 anni, spesso a causa di complicazioni legate alla gravidanza o alle malattie. Vestivano in modo semplice, adeguato al loro ceto e, sebbene la moda cambiasse nel tempo, erano la scelta dei tessuti e la ricercatezza degli ornamenti a denotare inequivocabilmente lo status sociale.  

Le nobili godevano di alcuni privilegi, ma vivevano spesso relegate nei castelli dove gestivano il personale domestico e talvolta, in assenza del marito, amministravano le proprietà. I diritti legali erano pochi o nulli per tutte, giacché le feminae venivano generalmente considerate subordinate al padre, al marito o ai fratelli. Un esempio tanto emblematico quanto realistico della condizione femminile nel Medioevo è offerto dalla tragica novella di «Lisabetta da Messina» e dalle tante storie di donne che affollano il Decameron di Giovanni Boccaccio. 

La partecipazione delle donne in politica e in società era decisamente marginale, sebbene non manchino alcune eccezioni, come quella di Eleonora d’Aquitania, duchessa del territorio più vasto del XII secolo, due volte regina, protagonista di una crociata, mecenate, politica e instancabile viaggiatrice. Ma si tratta appunto di casi rari, isolati e decisamente distanti dalla norma. 

L’accesso all’istruzione era riservato a pochissime, principalmente religiose o appartenenti a famiglie nobili e ‘illuminate’. Erano soprattutto le monache a possedere spesso un’istruzione superiore alla media, grazie alla quale contribuivano alla stesura di testi, alla trascrizione di manoscritti e alla cura dei malati. Quest’ultima pratica era tuttavia tra le più rischiose – come ha raccontato e documentato Simona Lo Iacono nel romanzo Virdimura (Guanda, 2024) – perché per una donna dedita alla medicina o alla fitoterapia l’eventualità di essere tacciata di stregoneria rappresentava una minaccia costante. Anche per questo i monasteri femminili erano forse gli unici luoghi in cui le donne potevano dedicarsi alla cultura e alla scienza, oltre che alla carità. Soltanto grazie alla protezione che il claustrum e l’abito che indossavano garantivano loro, alcune delle menti femminili più brillanti del Medioevo sono riuscite a trascorrere una vita più serena e autonoma, al riparo da minacce, vendette e matrimoni indesiderati.

La realtà umbra è perfettamente in linea con queste tendenze generali. Tuttavia, considerata la scarsa densità di popolazione dovuta alla natura prevalentemente montuosa (53%) e collinare (41%) del territorio, non può non sorprendere la massiccia presenza di santi – da Benedetto da Norcia a Francesco d’Assisi – e di sante o beate, con le cui vite e storie bisognerà necessariamente fare i conti.

Le beate e le sante umbre del Medioevo: donne di fede e cultura 

Nutrice e culla di spiritualità – forse perché le sue colline, negando agli occhi la possibilità di perdersi nella contemplazione di un orizzonte uniforme, costringono a volgere lo sguardo direttamente al cielo – l’Umbria ha dato i natali ad alcune delle più grandi figure femminili della storia religiosa medievale. La Chiesa cattolica le ha canonizzate – e quindi cristallizzate nel ruolo di sante e beate – ma le mistiche umbre sono state innanzitutto donne capaci di lasciare un segno indelebile non solo nella religione, ma anche nella cultura e nella società del loro tempo.

Questo ideale catalogo di beatitudine e santità declinato al femminile non può che iniziare con Scolastica da Norcia (ca. 480-543), sorella di Benedetto. Sebbene la sua opera si sia sviluppata prevalentemente nel Lazio, la sua spiritualità monastica è stata infatti profondamente segnata dalle origini umbre. Fondatrice del monachesimo femminile occidentale, Scolastica ha rappresentato un modello di fede e di vita comunitaria, dando impulso alla diffusione della regola benedettina.

Tra le protagoniste indiscusse spicca naturalmente Chiara dAssisi (1194-1253), la fondatrice delle Clarisse, ramo femminile del movimento francescano. Nata in una nobile famiglia assisana, Chiara abbandonò i privilegi per abbracciare la povertà e la preghiera, seguendo l’esempio di Francesco. La regola religiosa da lei stabilita – approvata poco prima della sua morte – riflette un ideale di povertà radicale e di vita comunitaria che influenzò profondamente la spiritualità medievale. Non stupisce che il suo esempio di coraggio e determinazione continui ad ispirare fedeli, studiosi e studiose, personalità eminenti nel mondo della politica e tantissime persone di ogni ceto e nazione.

Altra figura di grande rilievo è quella di Angela da Foligno (1248-1309), mistica e scrittrice di straordinaria profondità spirituale. La sua vita fu segnata da una profonda conversione, che la portò a intraprendere un cammino di penitenza e contemplazione. Angela è nota per il suo Libro della Beata Angela da Foligno, un testo autobiografico che descrive visioni mistiche e riflessioni teologiche di rara intensità. Definita “Maestra dei teologi”, Angela rappresenta un punto di riferimento imprescindibile nella letteratura mistica medievale.

Tra le beate umbre, la vita esemplare di Margherita da Città di Castello (1287-1320) racconta  una storia di resilienza e amore per i più deboli. Nata cieca e con gravi deformità fisiche, Margherita fu abbandonata dai suoi genitori, ma trovò accoglienza nella comunità tifernate. Qui divenne terziaria domenicana e si dedicò alla preghiera e al servizio dei poveri. Nonostante le difficoltà, la sua vita fu segnata da straordinari fenomeni mistici, come visioni e miracoli, che le valsero la beatificazione nel 1609 e la canonizzazione nel 2021. Il suo corpo incorrotto è custodito nella Chiesa di San Domenico a Città di Castello. Margherita dovette inoltre godere fama di santità già in vita, se è vero che il mistico Ubertino da Casale, nel suo Arbor vitae crucifixae Iesu, si riferisce a lei con l’appellativo «prudentissima virgo de Civitate Castelli». 

La vita di Rita da Cascia (1381-1447), al secolo Margherita Lotti, è per molti aspetti esemplare della condizione femminile nel Medioevo. 

Nata a Roccaporena, un piccolo borgo vicino a Cascia, Margherita visse difatti un’esistenza segnata da profonde sofferenze personali: sposò un uomo violento e, rimasta vedova, perse prematuramente anche i due figli che aveva avuto. Devastata da queste tragedie, trovò rifugio e conforto nel monastero agostiniano di Cascia, e scelse di dedicare la sua vita alla contemplazione e alla penitenza.

Famosa già in vita per la sua straordinaria fede, il suo perdono e la sua devozione alla preghiera, Rita ricevette il segno della stigmata, una ferita sulla fronte che simboleggiava la sua partecipazione alla Passione di Cristo. Morì il 22 maggio 1447 (o, secondo alcune fonti, nel 1457) e fu canonizzata da Papa Leone XIII nel 1900. Non è dunque un caso che oggi sia conosciuta soprattutto come la “Santa degli impossibili”, patrona delle cause perse e delle situazioni disperate.

Accanto a queste figure illustri, è importante ricordare il contributo delle tante donne il cui nome non è stato tramandato ma che vissero nei numerosissimi monasteri umbri. Molte di loro, pur restando anonime, dedicarono la loro vita alla copiatura di manoscritti, alla miniatura, al canto liturgico e al sostegno artistico delle comunità religiose. I monasteri di Montefalco, Spoleto e Perugia, infatti, furono veri e propri centri di cultura e spiritualità, in cui le religiose collaboravano con artisti e intellettuali. Il loro contributo costante, paziente e silenzioso alla vita culturale del Medioevo è stato fondamentale. 

Due umbre delezione: Jacopa deSettesoli e Colomba da Rieti

Tra le personalità femminili che hanno lasciato un’impronta significativa nella storia dell’Umbria tra Medioevo e Rinascimento, due spiccano per modernità, forza spirituale e carisma: Jacopa deSettesoli (1190 ca. – 1239 ca.) e Colomba da Rieti (1467-1501), figure significativamente collocate agli estremi cronologici del basso Medioevo: due volti diversi ma complementari della spiritualità. La prima, una donna laica che intrecciò la propria vita con quella di Francesco, dimostra quanto la fede possa esprimersi attraverso la quotidianità e i gesti concreti. La seconda, una mistica consacrata, testimonia la forza della vocazione religiosa in un’epoca di profonde trasformazioni sociali e culturali. Sebbene non umbre di nascita, entrambe si legarono profondamente a questa terra, incarnando in modi diversi il senso della devozione, del coraggio e dell’impegno sociale.

Frate Jacopa” deSettesoli

Jacopa de’ Settesoli, nobildonna romana di grande carisma, fu una delle prime laiche a sostenere il nascente movimento francescano. La sua amicizia con Francesco d’Assisi fu così profonda da rompere i rigidi confini a quel tempo esistenti tra uomini e donne, e non solo nella vita religiosa. Francesco la chiamava affettuosamente “Frate Jacopa”, riconoscendo in lei una compagna spirituale e una sostenitrice instancabile.

Jacopa ospitò i frati nella sua dimora romana e li aiutò a consolidare la loro reputazione in città in momenti cruciali per la fondazione dell’ordine francescano. 

Quando Francesco, sentendo avvicinarsi la morte, volle accanto a sé chi più gli era caro, chiamò anche la sua amata Jacopa. Senza attendere il messaggio che i frati stavano scrivendo, la donna si mosse verso Assisi, portando con sé i panni per la sepoltura, i ceri e persino i dolcetti – i famosi mostaccioli – che Jacopa confezionava personalmente per la gioia di Francesco. Questo dettaglio apparentemente semplice svela la straordinaria umanità del loro legame, una complicità costruita e consolidata attraverso gesti di affetto e di cura. Jacopa rimase accanto a Francesco fino alla fine, partecipando attivamente al rito del transito. Molti lo ignorano, ma la sua tomba, ancora oggi, si trova nella Basilica Inferiore di Assisi, accanto a quella di Francesco, segno tangibile della loro amicizia e del ruolo che “Frate Jacopa” ebbe e continua ad avere nella comunità francescana.

Colomba da Rieti: la mistica del Rinascimento

Diversa per temperamento ma altrettanto straordinaria è la figura di Colomba da Rieti, mistica domenicana che trovò a Perugia il luogo ideale per la sua missione. Nata in una famiglia modesta, mostrò fin da giovane una vocazione intensa, manifestata attraverso visioni mistiche e una straordinaria capacità di attrarre fedeli.

Trasferitasi nel capoluogo umbro, Colomba fondò un monastero dedicato alla spiritualità domenicana, dove promosse una vita di povertà, preghiera e carità. La città, allora un centro culturale e politico di rilievo, accolse con entusiasmo la sua presenza, che presto divenne un imprescindibile punto di riferimento spirituale. Colomba era conosciuta per la sua austerità e per la forza della sua fede, che si esprimeva anche attraverso episodi di estasi e guarigioni miracolose.

Nonostante l’iniziale scetticismo da parte di alcune autorità ecclesiastiche, Colomba riuscì a guadagnarsi il rispetto e la venerazione dei contemporanei. Dopo la morte, avvenuta nel 1501, la sua fama di santità si diffuse rapidamente, portandola alla beatificazione nel 1625. 

Il monastero da lei fondato a Perugia è tuttora un simbolo della sua eredità spirituale. A ricordarlo a passanti inconsapevoli o distratti che transitano nell’ultima parte di Corso Garibaldi c’è fortunatamente ancora oggi una lapide che, insieme agli immortali versi di Dante, ricorda come, secondo la tradizione, proprio davanti al monastero ebbe luogo nel 1220 l’incontro tra Francesco d’Assisi e Domenico di Guzman: «L’un fu tutto serafico in ardore; / l’altro per sapienza in terra fue / di cherubica luce uno splendore» (Paradiso XI, 13-15).

Le storie di Jacopa e Colomba parlano dunque non solo di fede, ma anche di resilienza e di impegno. Il loro esempio illumina il cammino di chi continua a cercare un senso profondo nella vita e si impegna per costruire un futuro – prossimo o remoto che sia – che sappia essere migliore del tempo presente.

Un discorso a parte andrebbe poi dedicato alle Madonne e alla devozione mariana in Umbria, ma di questo si parlerà nella prossima puntata.