di Giampiero Rasimelli
Nell’intervista rilasciata a Renzo Foa nel 1988 Dubcek rispondendo ad una domanda su cosa pensasse della Perestroika inaugurata in Unione Sovietica dice: “Vi trovo una profonda connessione con quanto si presentò a noi vent’anni fa (la Primavera di Praga). Penso che si sia perso tempo, penso a ciò che si sarebbe potuto realizzare in questi anni col “nuovo corso”, ai vantaggi che ci sarebbero stati per il nostro paese (la Cecoslovacchia) e per il socialismo”.
In altre parti dell’intervista Dubcek richiama la NEP (Nuova Politica Economica) di Lenin e il dibattito aperto nei primi anni dell’Urss (1922/23) sulla costruzione del socialismo, il “testamento politico” di Lenin prima di morire (a lungo tenuto nascosto) sui pericoli della direzione staliniana e infine le aperture di Krusciov dopo il 20° congresso del PCUS nel 1956 sulla destalinizzazione del partito e della politica sovietica. A tutto questo seguì soltanto la restaurazione brezneviana … una lunga serie di occasioni perse, tempo perso per il socialismo nella libertà a cui va aggiunto il fallimento di Gorbaciov e l’odierno imperialismo di Putin basato sulla falsificazione della storia e l’aggressione ai diritti umani e alla democrazia. Un’intera epoca è stata perduta, quella del “sol dell’avvenire”, quella della speranza di centinaia di milioni di uomini che hanno combattuto per la libertà e la democrazia in un secolo difficilissimo, il 900, e per sciogliere le contraddizioni che sono nella storia del capitalismo. E si è persa anche la possibilità di costruire un’Europa diversa, di coesistenza, di pace e di democrazia. Un’ Europa che non è mai potuta essere e che non è stata, come indica il titolo di questo prezioso libretto a ricordo di Alexander Dubcek e di Renzo Foa edito da Succedeoggi Libri.
Una condanna storica senza appello, quella del Comunismo Sovietico, il cui fallimento oggi possiamo valutare in tutta la sua profondità, nel tempo dell’aggressione russa a Kiev, del ritorno della guerra sul suolo europeo e nel mondo, del ritorno di Trump e della sua pericolosa oligarchia (come l’ha definita Biden nell’ ultimo discorso da Presidente) alla guida della superpotenza americana, del pericolo marciante di un attacco alla democrazia, del prevalere delle dittature, o democrature se si preferisce, in paesi strategici per l’equilibrio mondiale, del manifestarsi in Europa di destre e populismi capaci di acquisire forte radicamento sociale e grande forza politica. L’unica nota lieta è che il crollo dell’Unione Sovietica e dei suoi satelliti non ha dato luogo ad un gigantesco bagno di sangue, almeno fino alla guerra in Ucraina che falcia vite a ritmi da prima guerra mondiale.
L’ingresso dei carri armati russi e dei loro alleati a Praga ha segnato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, una separazione definitiva tra il comunismo di modello sovietico e il socialismo nella democrazia e nella libertà sognato da milioni di uomini e ha illuminato l’essenza di un regime che si era impadronito molto presto della Rivoluzione d’Ottobre e che non ha mai tollerato “deviazioni”, tantomeno l’ultima, coraggiosa, di Mikail Gorbaciov. Le bandiere rosse della rivoluzione e della lotta al nazifascismo sono state rapidamente imbrunite dall’autoritarismo, dalla violazione dei diritti umani, dal dirigismo cieco e burocratico che ha ingessato l’idea stessa di sviluppo di quelle società.
La repressione della Primavera di Praga ha segnato anche l’inizio del definitivo distacco del Partito Comunista Italiano dal PCUS e dall’Unione Sovietica. Un distacco che fu perseguito con tenacia e rischio da Enrico Berlinguer che nel 1976 dichiarò al Corriere della Sera di sentirsi più protetto sotto l’ombrello della NATO “anche se riconosco- disse- che da parte nostra c’è un certo azzardo a perseguire una via che non piace né di qua né di là.” Era una novità storica nell’epoca della guerra fredda, maturata a lungo e non senza ambiguità, retromarce ed errori, sulla scia del pensiero di Antonio Gramsci, della partecipazione coraggiosa alla Resistenza contro i nazifascisti, del contributo fondamentale dato alla costruzione della Repubblica e alla scrittura della Carta Costituzionale. La rottura definitiva col comunismo arrivò solo con Occhetto e dopo la caduta del muro di Berlino. Berlinguer aveva avviato questo percorso, ma non ha potuto portarlo a termine (morì nel 1984). E’ stato il percorso che ha portato alla fondazione del Partito Democratico e alla totale emancipazione della più grande parte della sinistra italiana dalla storia del Comunismo e del modello sovietico. E fu sempre Berlinguer a condurre una dura lotta democratica al terrorismo e ad avviare una strategia nel paese e in Europa legata all’idea di un socialismo nella democrazia e nella libertà, capace di aggregare un ampio e plurale schieramento di progresso.
D’altra parte, il compromesso socialdemocratico europeo nelle varie forme che lo hanno caratterizzato, ha garantito decenni di pace e sviluppo al nostro continente ampliando gli orizzonti di un socialismo nella democrazia e nella libertà. La capacità di coniugare diritti individuali e collettivi, il ruolo dello Stato nell’economia sociale di mercato, la tutela dei lavoratori e il ruolo dell’impresa, la fermezza nella difesa della democrazia e l’impegno per il dialogo e la pace, ne hanno fatto un modello positivo e un riferimento per le culture democratiche nell’Occidente e in tutto il mondo. Dubcek e i tanti che si riconobbero in lui e nella Primavera di Praga, avrebbero voluto portare il loro contributo e la loro storia dentro o in stretto dialogo con questa vicenda europea, ampliandone i confini e le caratteristiche, per costruire un continente e un mondo diversi, una diversa storia comune, ma la “normalizzazione” imposta con le armi dal comunismo sovietico ha impedito che la storia volgesse in questa direzione.
Concordo con l’analisi che nella prefazione e nella postfazione di questo libro Stefano Folli e Andrea Graziosi fanno circa l’Illusione sulla riformabilità del comunismo nato dalla Rivoluzione d’Ottobre in Russia, immediatamente concretizzato nella Russia sovietica staliniana e poi riprodottosi in varie forme nel mondo, basti pensare al gigante cinese e alla storia che va dalla Lunga Marcia di Mao, alla Rivoluzione Culturale, alle aperture di Deng Xiaoping, alla repressione di piazza Tienanmen a Pechino, alla realtà della Cina di Xi Jinping di oggi che meriterebbe una trattazione particolare che qui non mi è possibile fare. Credo però che guardare al dramma della Primavera di Praga o alla vicenda dei Comunisti Italiani solo con la lente de “Il passato di un’illusione”(Francois Furet), rischi di non essere sufficiente e di non rendere giustizia a quelle masse di popolo e di intellettuali che hanno scommesso la loro vita nella lotta per il socialismo e la liberta’. Si battevano contro le ingiustizie economiche e sociali e per costruire la democrazia e la libertà, anche questa è una storia non risolta e ancora drammaticamente viva.
Oggi l’eredità del compromesso socialdemocratico, che ha saputo dare, da sinistra, un governo democratico alla dinamica del capitalismo, è sotto forte attacco. Oggi anche la democrazia è sotto attacco e il ricordo della Primavera di Praga ci aiuta a percepire quanto sia fondamentale il nostro impegno per difendere i valori di libertà, di democrazia, di società aperta, di pace per i quali tanti hanno sofferto o sono morti sotto il nazismo, il fascismo, lo stalinismo, il terrorismo o l’autoritarismo in ogni sua forma. E ci spinge a riflettere su se e quanto siano vive le ragioni del socialismo in un’epoca così potentemente differente da quella del secolo scorso. Per questo mi permetto di proporre di seguito, in questa recensione, una serie di riflessioni e interrogativi proprio col coraggio che fu della Primavera di Praga in un mondo che oggi pare così lontano.
L’apparato teorico del compromesso socialdemocratico è entrato in crisi. Viviamo in un mondo dove la rivoluzione tecnologica digitale, l’intelligenza artificiale, la rete, le pandemie, la crisi climatica, al di là delle intenzioni degli innovatori, degli allarmi degli scienziati, delle potenzialità trasformative positive che queste innovazioni promettono o impongono di realizzare, manifestano un rischio serio di manipolazione o sterilizzazione democratica e rischi gravissimi per la vita sul pianeta. La strategia del capitalismo che ha oggi conquistato l’egemonia, sta producendo un mondo dove aumentano in modo intollerabile le diseguaglianze sociali e dove ormai un manipolo di super ricchi gestisce una parte enorme della ricchezza mondiale. La rete, come dice il filosofo tedesco di origine koreana Byung-chul Han, è portatrice di una cultura dell’individualismo che è imposta dall’alto dai modelli consumistici e dai valori del neoliberismo. Il meccanismo di produzione e aumento della produttività sconvolge l’equilibrio con la natura e le risposte diverse che vengono date dai diversi regimi alle crisi pandemiche o alle emergenze di derivazione climatica vanno tutte nel senso di un preoccupante e inaccettabile restringimento della democrazia e dei diritti individuali e collettivi.
Immediatamente dopo la fine della Guerra Fredda, Francis Fukuyama annunciò la fine della storia e il pensiero post moderno proclamò l’inefficacia delle grandi narrazioni. Il capitalismo “democratico” immaginato da John Maynard Keynes dopo la seconda guerra mondiale, che è stato alla base del compromesso socialdemocratico, rischia di non poter più rispondere alle profonde trasformazioni del nostro tempo. E non danno più risposte sufficienti nemmeno la dottrina sociale della chiesa e importanti parti del pensiero liberale che pure hanno avuto un ruolo propulsivo nella costruzione dello stato sociale. Mentre viviamo un forte ritorno di una destra autoritaria e pericolosa, uno stuolo di scienziati di tutte le fedi e ispirazioni, e quanto matura da decenni nei rapporti delle agenzie delle Nazioni Unite e di un grande numero di prestigiosi istituti di varia natura, ci mette in guardia sui rischi reali per la democrazia e per il futuro del pianeta. Oggi Trump con Musk e l’oligarchia che li sostiene prendono il timone della piu’ grande potenza mondiale ma è sempre più diffusa e urgente la necessità di porre un freno al capitalismo distruttivo, di rovesciare il suo paradigma dando maggiore priorità al valore d’uso rispetto al valore di scambio delle merci, rimettendo al centro dell’interesse collettivo, i beni comuni, riservando allo Stato democratico e alla partecipazione dei cittadini la direzione e il controllo di questo processo. Ecco le ragioni che spingono all’innovazione un’idea di socialismo democratico e partecipativo che dia nuova linfa alla democrazia e al ruolo dello Stato, ecco i beni comuni che diventano la nuova frontiera dei diritti, ecco un’idea positiva di trasformazione del paradigma della crescita, che accompagni lo sviluppo tecnologico, che regoli diversamente il mercato e ricostruisca il terreno della convivenza civile sul pianeta. Democrazia, libertà, destino comune, valori ed urgenze che spingono all’innovazione tutte le culture democratiche.
E’ un ragionamento e un allarme nel quale ritorna la saggezza dell’ultimo Marx (che oggi si torna a studiare e indagare sempre più diffusamente), quello che incentra la sua ricerca sulla salvaguardia dei beni comuni. Sono certo che la curiosità teorica e l’impegno pratico di Foa e di Dubcek guarderebbero in faccia questa trasformazione e questi rischi che descrivono il mondo di oggi e non mancherebbero di dare il loro prezioso contributo critico.
Tornare a ragionare oggi sulle ragioni del socialismo e della democrazia non è una nuova illusione o una rivincita del comunismo, che non ha alcuna ragione storica né giustificazione morale, si tratta di realismo, di guardare il mondo per come è, di guardare i rischi incredibili che corre, di difendere la democrazia e la libertà, di cercare una via di uscita nuova per tutti. Per tutte le persone e per tutte le culture, oltre ogni chiusura e pregiudizio, per guardare al futuro comune, negli occhi dei nostri figli.