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di Gabriella Mecucci

La vita, gli amici, la ricerca interiore, la città e tanto altro: la mostra di Angerlo Buonumori dal titolo “My way” racconta a “modo suo” tutto questo. Nelle sale della Rocca Paolina – il monumento dove Perugia è più Perugia – si snoda un suggestivo percorso di opere d’arte tanto ricco quanto multiforme. Per primo arriva la teoria dei ritratti: quelli dei familiari, degli amici, gli autoritratti. Li definiscono i segni pittorici e grafici, ma anche le parole che danzano leggere e che aiutano a raccontare le personalità dei prescelti. Sono volti che fanno parte della biografia di Buonumori, ma anche della storia e microstoria locale. Rappresentano un pezzo di città riportata in superficie che reincontriamo alla Rocca Paolina e che ha attraversato la Perugia dei favolosi anni Sessanta e dei creativi Settanta. Non una banale galleria di potenti, ma di persone che hanno contribuito a formare il costume, il contesto, la koinè.
Nostalgia? Era un momento migliore di quello che viviamo oggi? Più vivo, più spumeggiante, più carico di speranze? Ed è questo che evocano quei volti? La visitatrice pensa di sì e pensa anche che Buonumori è stato uno degli animatori dell’epoca. Che questo rincorrersi di sale piene di ritratti sia insomma anche “una recherche” per immagini del tempo perduto.
Una forzatura? Può darsi, ma lo sguardo interagisce con l’oggetto d’arte. Del resto persino il movimento degli elettroni viene influenzato dal ricercatore che li osserva, come ci hanno spiegato i fisici. E c’è un’intera parte della mostra in cui Buonumori sembra proprio richiederla questa “comunicazione bidirezionale”. Lo osserva acutamente Sandro Allegrini nella sua presentazione del catalogo. Fermatevi ad ammirare la sezione Tabulae pictae, una sezione fatta di immagini e parole, e interpretatela a “modo vostro” perché l’artista si diverte a non rendervela facilmente intelleggibile. Un gioco di significati, una sfida dialogica fra autore e fruitore.
Infine le ultime due sezioni, forse le più belle, ma anche le più difficili da raccontare. La prima è Blow up. Buonumori prende un particolare di una foto e lo ingrandisce per scoprire ciò che non si vede a prima vista, per andare oltre come faceva il protagonista del film di Antonioni. Del resto, l’infinitamente piccolo contiene i segreti dell’Universo e la microstoria svela parti nascoste della macrostoria. E che dire del ruolo dei quadri, dei romanzi, della musica per comprendere un’epoca? Forse non c’è saggio, per profondo che sia, che descriva Napoleone, meglio di quanto facciano il “Rosso e Nero” di Stendhal, l’Eroica di Beethoven o i ritratti di David.
E poi c’è la sezione Abstract dove più che altrove si vede quanto Buonumori col pennello ci sappia fare. Ci sono molte opere e anche qui è felice l’abbinamento con la parola. Ce n’è una che rappresenta un autoritratto dell’autore, davvero molto bello, che viene così presentato: “Itaca può attendere”. Una bella chiosa: il viaggio dunque continua e l’approdo non è stato raggiunto.
Quella della Rocca Paolina è una mostra d’arte e chissà se al suo autore farà piacere ricordare che è stato un notevole grafico pubblicitario? che ha esercitato la sua creatività nelle campagne elettorali? che ha inventato il serpentone nel centro storico quando Ciuffini lo chiuse al traffico? che ha lavorato a lungo alla Perugina promuovendola con le sue invenzioni? Di tutto ciò nelle sale non c’è traccia, ma sarebbe ingannevole non ricordarlo perché anche questo fa parte della personalità dell’artista profondamente legato alla sua città senza essere però provinciale. Sempre inquieto e mai ripetitivo. Uno con gli occhi aperti sul mondo. E’ stato lui – e lo ha rivendicato – a decidere di non esporre il suo lavoro di pubblicitario per far risaltare quello di artista. E la scelta ci sembra discutibile, ma Itaca non è stata ancora raggiunta. Potrebbe essere questa la prossima puntata della “recherche”?

My way resterà aperta nelle sale Cerp della Rocca Paolina sino al 13 aprile