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di Lucio Caporizzi

Con l’approvazione del disegno di legge regionale “Disposizioni in materia di tributi regionali”, come opportunamente modificato e ridimensionato in aula rispetto al testo frettolosamente approvato dalla Giunta regionale il 21 marzo, si conclude l’iter – certamente molto rapido – di applicazione delle maggiorazioni fiscali di competenza regionale – in primis l’addizionale Irpef – che tante polemiche ha provocato in queste ultime settimane.

UMBRIA, SANITà E TASSE. TROPPI ERRORI E DI TUTTI

Seguendo la vicenda, si hanno delle sorprese come pure delle conferme.

Una sorpresa la si ha leggendo le premesse della delibera del 21 marzo, dove si cita il Presidente del Comitato legislativo regionale, il quale afferma che il disegno di legge in questione presenta un “..rilievo meramente tecnico…”. 

 No taxation without representation”, rivendicavano i ribelli della Guerra d’indipendenza americana oltre 2 secoli fa, istanza ripresa poco tempo dopo dai rivoluzionari francesi, a enfatizzare che l’imposizione fiscale deve avere come presupposto il consenso dei cittadini/contribuenti espresso tramite gli appositi organi rappresentativi. Insomma, se, nell’esercizio della funzione di governo, vi è una scelta squisitamente politica, è proprio quella di azionare la leva fiscale, di modulare il prelievo e ripartirlo tra le varie fasce di reddito e strumenti a disposizione, con conseguente scelta di un cespite piuttosto di un altro. Ma, evidentemente, a Palazzo Donini hanno rivisto i fondamenti della storia del pensiero politico!

Una conferma, invece, la si ha vedendo come viene distribuito il carico fiscale della manovra regionale. 

In Italia il 60% del gettito Irpef proviene dagli scaglioni sopra i 30.000 euro e fin qui niente di strano, ma sopra i 30.000 euro a pagare quel 60% sono appena 5 milioni di persone, su circa 40 milioni di dichiarazioni. Se poi incrociamo questo dato con il fatto che l’80% della base imponibile Irpef è rappresentata da lavoratori dipendenti ed assimilati e che, secondo l’Agenzia delle Entrate, il 67% del lavoro autonomo viene sottratto al fisco, abbiamo la conferma di cui sopra. Aggiungendo che i lavoratori autonomi che si avvalgono del regime forfettario, pagando fino a 85.000 euro di ricavi una flat tax del 15%, sono esenti dall’addizionale regionale, l’identikit di chi andrà a ristorare le esauste casse regionali è ben definito. In Italia, nel Paese dove, in termini fiscali, se si guadagnano 2.000 euro netti al mese, si rientra nella ristretta categoria dei ricchi, si può star certi dove si va a parare, ogni volta che c’è da fare cassa, che si tratti di Stato, Regione o Comune.  La scelta politica (altro che “rilievo meramente tecnico”!) operata dal Consiglio regionale è stata di superare la progressività delle aliquote e di portare quel 60% al 100%, chiedendo quindi l’intero gettito a circa 160.000 “fortunati” contribuenti (su quasi mezzo milione), quasi tutti lavoratori dipendenti e pensionati.

Ora i cittadini – a maggior ragione in quanto chiamati a pagare – si attendono un deciso  intervento di miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria umbra che serva, anche, a ridurre il ricorso alle strutture fuori regione, ponendo il focus sul paziente ed i suoi bisogni, cosa che, ancora, spesso non accade, in un sistema troppe volte autoreferenziale, disegnato più sulle esigenze degli operatori che su quelle dei pazienti.

Certo la competenza, la professionalità e l’impegno degli operatori – caratteristiche queste che pure non mancano nel nostro sistema sanitario – sono il primo fattore di garanzia per i cittadini e di miglioramento del servizio, come pure importanti sono gli investimenti di ammodernamento tecnologico e di adeguamento delle strutture. 

Ma vi è molto da fare anche nelle procedure e nell’architettura del sistema, con interventi non necessariamente onerosi ma che possono portare benefici considerevoli agli utenti.

Frammentazione dei percorsi e onere ricompositivo a carico di pazienti o famiglie, che penalizza quelle meno competenti e socialmente connesse e attrezzate; confusione pratica su diritti formalmente garantiti e realmente esigibili; esistenza di spazi per un ulteriore miglioramento dei livelli di appropriatezza delle prestazioni. E ancora: offerta dei servizi disallineata rispetto al crescente peso della cronicità e della LTC (Long Term Care); funzione di tutela della salute con lacune diffuse e a macchia di leopardo nella presa in carico e nei percorsi dei pazienti; prevalere di logiche prestazionali a silos organizzativi per setting assistenziali o per materia/disciplina.

Queste appena accennate sono alcune delle tematiche su cui è necessario lavorare.

Prendiamo un paio di questi punti e confrontiamoli con l’esperienza concreta del cittadino, quando si ritrova nella veste di paziente.

Nel Programma elettorale della Presidente Proietti, nella parte Sanità, un punto qualificante era rappresentato dal concetto di presa in carico del paziente, concetto ripreso dalla Presidente stessa anche come strumento per ridurre le liste d’attesa.

Ma la presa in carico del paziente non va molto “di moda” nelle strutture ospedaliere della nostra regione, segnatamente nelle Aziende ospedaliere. Capita di essere ricoverati per un intervento chirurgico e di essere dimessi con la previsione, come è normale, di una visita di controllo entro un certo termine. Secondo il criterio della presa in carico (ed anche secondo il buon senso), tale visita di controllo dovrebbe essere fissata direttamente dal reparto presso il quale ci si è operati. Ma, invece, la visita di controllo deve essere prenotata attraverso il CUP (come se non fosse già abbastanza sovraccarico..) e se va bene il reparto provvede alla relativa prescrizione, sennò bisogna ricorrere al proprio medico. Ovviamente, se si vogliono rispettare i termini fissati, la prenotazione non può essere effettuata on line ma va fatta di persona al CUP dell’ospedale e pazienza se uno, per via dei postumi dell’intervento, magari è impossibilitato a recarsi in loco. Ora, difficile vedere una motivazione per questo modo di fare, oltre quella di volere creare un disagio al paziente. Naturalmente non vale come spiegazione il fatto di dover pagare un ticket , che può essere pagato on line oppure passando dal CUP mezz’ora prima della visita.

Riguardo alla frammentazione dei percorsi e conseguente onere ricompositivo in capo al paziente, sarà capitato a tanti, in occasione di un ricovero, di sentirsi chiedere – anche più volte all’interno dello stesso reparto – gli eventuali interventi chirurgici già avuti ed altre informazioni ai fini dell’anamnesi. Se allora si fa presente che dovrebbe essere contenuto già tutto nel proprio Fascicolo sanitario elettronico, si viene guardati con un’espressione tra il divertito e lo sconsolato. Più o meno la stessa espressione di zelanti operatori quando, presentandosi per una visita o per esame clinico, non vedono nelle mani dell’utente le varie carte che si aspettano. Si, perché la ricetta dematerializzata, la prenotazione tramite il CupOnline, il pagamento del relativo ticket tramite PagoPA, il tutto contenuto nel proprio smartphone e quindi dimostrabile, sono ancora oggetti considerati un po’ misteriosi presso le strutture sanitarie della nostra regione…”Eh, ma al laboratorio però vogliono vedere la carta , sennò fanno storie..”, ci si sente dire!

Insomma, la presa in carico del paziente, come pure la medicina di iniziativa, la transizione digitale, con i vantaggi che possono recare ai pazienti ed alla complessiva qualità del servizio, vanno fatti veicolare in maniera effettiva dentro le strutture sanitarie, modificando procedure spesso tanto radicate quanto obsolete.