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La mozione di sfiducia verso la giunta Proietti è stata bocciata come era facile prevedere. L’azione dell’opposizione contro la manovra fiscale appare sempre più come velleitaria e propagandistica. Questo non vuol dire che nelle pieghe del provvedimento che istituisce nuove tasse non si finisca di trovare scelte discutibili che non sfuggono a questa analisi approfondita di Lucio Caporizzi, ex direttore della programmazione regionale.

GLI UMBRI PAGANO ADDIZIONALI IRPEF INFERIORI A QUELLE DI ALTRI REGIONI

di Lucio Caporizzi

Ha suscitato grandi polemiche la manovra varata in apertura di legislatura dalla Regione Umbria, tesa ad aumentare il gettito dell’addizionale regionale Irpef e dell’Irap.

L’operazione portata avanti dalla Regione è stata affrontata ed analizzata da diversi punti di vista, prevalentemente funzionali ad esigenze di critica o difesa di tale scelta.

Il punto di vista prevalente dovrebbe però essere quello di come tale manovra, con le sue modalità, determinanti e finalità, si pone nel più ampio contesto del rapporto tra il Consiglio e la Giunta regionale ed i cittadini umbri, sia quelli che hanno votato l’attuale maggioranza, sia chi ha votato per i partiti all’opposizione.

Si tratta, peraltro, in questo caso di un punto di vista senz’altro “insolito”, posto che il rapporto dei governi regionali con i cittadini vede questi ultimi quasi sempre nella veste di utenti/elettori e raramente in quella di contribuenti. Anche se negli ultimi 25 anni gli spazi di autonomia impositiva delle Regioni italiane sono stati ampliati (e la manovra di cui parliamo è possibile proprio in seguito a tale ampliamento), quella regionale resta nella gran parte una finanza derivata, alimentata, cioè, non dal gettito di imposte localmente riscosse ma da trasferimenti da parte di altri livelli di governo (segnatamente il Governo centrale). 

Se, infatti, tagliando con l’accetta (ma neanche tanto..) possiamo dire che una Regione – in particolare una piccola come l’Umbria – è sostanzialmente Sanità, Trasporto pubblico locale e Programmi cofinanziati dall’Unione Europea, vediamo che, in termini finanziari, queste 3 macrovoci di spesa derivano da trasferimenti, dalla Stato centrale  le prime due e dall’Unione Europea la terza.

Per il cittadino, quindi, non è usuale rapportarsi con la Regione nella veste di contribuente. Si, paghiamo annualmente, per esempio, la tassa automobilistica, imposta regionale, ma sono le variazioni dell’imposizione che aumentano l’attenzione a tale tema, in particolare se tali variazioni sono in aumento.  

La richiamata attribuzione di leve fiscali alle Regioni era ricompresa nel complessivo disegno di riassetto in senso federalista dell’ordinamento italiano, quindi, anche, come elemento costituente del previsto federalismo fiscale, come venne disegnato nella ormai lontana legge delega n.42 del 2009. 

In quanto “teoria economica dei differenti livelli di governo” elaborata negli anni ‘50 (senza qui scomodare più di tanto gli autori, dall’italiano Scotto all’americano Musgrave), il federalismo fiscale prevede che debba esservi una corrispondenza tra la responsabilità politico-amministrativa di governo locale e l’onere/responsabilità di imporre imposte locali. In tal modo si intende perseguire un effetto di responsabilizzazione dei governanti locali – per via del controllo su di essi esercitato da parte dei cittadini intesi nella triplice veste di utenti/contribuenti/elettori – che si tradurrebbe in una maggior efficienza delle relative amministrazioni. Non è però necessario disporre di una totale autonomia tributaria, posto che ciò che più rileva, ai fini della responsabilizzazione degli amministratori locali, è che i cittadini/contribuenti possano collegare le variazioni di prelievo fiscale alle corrispondenti variazioni nel livello di fornitura dei servizi finanziati dai tributi locali.

Svolti questi brevi richiami, possiamo vedere se ed in che misura la manovra fiscale della Regione sia coerente con il modello del federalismo fiscale (che ne rappresenta il presupposto politico-normativo), in particolare con riferimento al collegamento tra la variazione del prelievo ed il miglioramento dei servizi.

La comunicazione politica della Regione, peraltro non sempre comprensibile, ha battuto prevalentemente sull’esigenza di coprire un disavanzo di gestione del Servizio sanitario regionale, la cui entità è variata alquanto nel tempo, per assestarsi sui 73 milioni nel 2024, anno per il quale, peraltro, ancora non sono stati chiusi i bilanci delle aziende sanitarie, come a dire che quell’importo potrebbe in realtà ancora cambiare. 

Ma se si va a leggere la stringata Relazione alla delibera di approvazione del ddl fiscale in questione, in realtà si scopre: a) che la manovra viene presentata come una sorta di “atto dovuto”, tanto che si parla di “..obbligo di attivare la manovra fiscale…”, quasi ci si volesse esimere dall’onere politico che, inevitabilmente, un aumento delle tasse comporta; b) una “finalizzazione” del gettito previsto molto più ampia e generica di quella riferita all’esigenza di finanziare la maggiore spesa sanitaria, dato che attiene ad un elenco di attività che riguarda praticamente l’intero spettro delle competenze della Regione. 

Nessun intervento specifico, in barba al concetto di accountability, che possa consentire al contribuente, come sopra esposto, di collegare il prelievo aggiuntivo ad un miglioramento di servizi e/o investimenti. Per cogliere la genericità di tale finalizzazione, basta andare a vedere una delle sei voci di spesa per il cui finanziamento emerge l’obbligo di cui sopra :” lo sviluppo economico, le politiche attive del lavoro, la cura dell’ambiente e del territorio” …difficile, per i nostri contribuenti, andare a verificare se, con i suoi soldi, davvero qualcosa venga poi migliorato, con una finalizzazione così general-generica. La definitiva allocazione delle risorse così reperite viene, comunque, rimandata alla successiva legge di variazione del bilancio.

Già, i contribuenti. 

In realtà un club ristretto, visto che, come più volte sottolineato dalla comunicazione della Regione, a pagare la maggiorazione dell’addizionale Irpef viene chiamata solo una minoranza dei contribuenti, cioè quelli rientranti nel terzo e quarto scaglione di reddito, dai 28.000 euro annui (meno di 2.000 euro mensili netti). In sé la cosa non è particolarmente “originale”. Stando alle dichiarazioni Irpef 2024, in Italia il valore medio dichiarato è di 24.830 euro. Quasi 12 milioni di contribuenti in realtà tali non sono, nel senso che non versano nulla, per effetto della detrazione per redditi da lavoro dipendente (1995 euro fino a 15.000 euro di reddito), del “trattamento integrativo” (che sostituisce il bonus Renzi-Gentiloni) e per il taglio del “cuneo fiscale”. Di fatto fino a 20.000 euro un lavoratore dipendente non paga l’Irpef. Infatti il 78% dei contribuenti con redditi fino a 35.000 euro versa il 36% dell’imposta totale, mentre il restante 64% è pagato dal 22% di contribuenti che dichiarano redditi superiori ai 35.000 euro.

La domanda che molti si sono posta, cioè perché non si sia scelto di applicare aliquote progressive, come previsto dalla Costituzione, trova quindi parziale risposta nel riscontro con il quadro relativo al tributo principale, per il quale esiste di fatto una no tax area fino ai 20.000 euro.

Meno immediata è la risposta ad un’altra domanda. 

Se si va a consultare la tabella delle addizionali regionali come risultante dalla legge approvata dal Consiglio regionale (LR n.2/2005), in realtà si vede come anche sui primi due scaglioni sia prevista una maggiorazione di aliquota ed esattamente di 0,5 per il primo e di 1,79 per il secondo. Addirittura lo 0,5% sul primo va ad aumentare la relativa addizionale – rispetto al 1,23 % fissato all’atto dell’istituzione del tributo – cosa che non era avvenuta neanche in occasione della precedente manovra fiscale del 2002. Vi è poi, nell’articolato, una sorta di “sospensione” – per il triennio 2025-2027 – per i redditi fino a 28.000, con l’applicazione della sola aliquota base dell1,23%.

La domanda che molti si sono posta suona più o meno così “Ma se l’intento era di non gravare sui primi due scaglioni, non si faceva prima a non prevedere per essi alcuna maggiorazione, invece di disporle e poi sospenderle?” 

La domanda non è peregrina, infatti…senonchè, se ci si fosse limitati a non prevedere alcuna maggiorazione per i primi due scaglioni, visto che l’Irpef si paga per scaglione, data la relativa aliquota, il conseguente beneficio sarebbe andato anche – seppur in misura ridotta – a favore dei due scaglioni più elevati, cosa che, evidentemente, non si voleva.

Non si sarebbe in tal modo raggiunto il gettito prefissato? 

Probabile sia stata questa la motivazione. Alcuni, però, tra quelli meno contenti di essere tra i bersagli della manovra fiscale della Regione, pensano ad un intento vessatorio nei confronti dei “ricchi”, portato avanti con particolare rigidità e, magari, anche con un po’ di cattiveria.