Il 27 aprile Carlo Acutis diventerà santo con una cerimonia a San Pietro, al termine del Giubileo degli Adolescenti. Nei giorni fra il 24 e il 28 sono attesi ad Assisi migliaia di giovani: si prevede la presenza di oltre 50mila ragazzi che renderanno omaggio al primo santo millenial nel Santuario della Spogliazione, dove riposano le sue spoglie mortali. Su di lui ha scritto un libro – “Carlo Acutis. Sulle orme di Francesco e Chiara” – il vescovo di Assisi e Foligno, Domenico Sorrentino. Nell’articolo che segue Stefania Falasca, editorialista di Avvenire e vice presidente della fondazione Giovanni Paolo primo, spiega le ragioni della santità di questo giovane morto a soli 15 anni.
di Stefania Falasca
Nella sua Mistica oggettiva Adrienne von Speyer osserva: «La santità non consiste nel fatto che l’uomo dà tutto, ma nel fatto che il Signore prende tutto», in un certo senso anche a dispetto di colui che il Signore sceglie. L’osservazione della von Speyer porta subito dritto al segreto della vita di un ragazzo appena quindicenne che il prossimo 27 aprile salirà agli onori degli altari della Chiesa universale. È il fil rouge di una singolare parabola di vita, quella di Carlo Acutis, venuta al mondo a Londra, vissuta a Milano e spezzata a Monza nel 2006 da una leucemia fulminante e che oggi è custodita nel sancta sanctorum della spiritualità francescana: il santuario della Spogliazione ad Assisi. A significare qualcosa di più che un simbolico gesto: l’indirizzo perenne di un ragazzo che anche nell’imminenza della sua morte, predicendo la sua fine, chiese di essere portato lì nella nuda terra del santo senza tempo, il Povero di Assisi. La vicenda di Carlo Acutis si snoda così dentro il tessuto di una vita simile a quella di molti altri ragazzi del nostro tempo ma che impatta con il segno visibile della presenza di Dio e lo rende credibile a tutti.
La sua biografia è breve. Carlo, era nato a Londra il 3 maggio 1991 e battezzato quindici giorni dopo nella chiesa di Our Lady of Dolours. È figlio unico di una famiglia agiata e non particolarmente praticante che per motivi di lavoro da Londra si trasferisce a Milano, dove i genitori lo mandano alle scuole elementari dalle suore Marcelline di Piazza Tommaseo. Finite le medie si iscrive al liceo classico Leone XIII, la scuola dei Gesuiti, ed è durante il ginnasio che si appassiona all’informatica: crea video e siti web, cura l’impaginazione del giornale del liceo, con il programma Dreamweaver coordina spot da proiettare nelle classi. Annota frasi di Steve Jobs: «Non sprecate il tempo a vivere la vita di qualcun altro» e più volte ripete che «tutti nasciamo originali, ma molti muoiono come fotocopie». Di carattere aperto e socievole non ha difficoltà a suscitare simpatia e a fare amicizie e inizia a frequentare anche la parrocchia. Non scrive diari, qualche pagina dell’agenda svela però il suo mondo interiore: «Dio non ama forzare nessuno. Vuole il nostro libero amore» scrive. Nell’incipit di un video da lui creato, dal titolo La vita è sempre fantastica, un ragazzo spinge un anziano in sedia a rotelle, la musica è quella della colonna sonora del film Mission di Ennio Morricone e mostra una gita in barca a vela dove «amore» è la scritta che compare negli ultimi secondi.
Ed è di questo amore che Carlo si rende testimone, con il suo essere prima che con le parole, in particolare con i poveri che incontra, a cui faceva doni e con cui si intratteneva sull’esempio di san Francesco che andava a trovare ad Assisi passando per La Verna nelle sue estati. In particolare, proprio ad Assisi, si era affezionato a un mendicante che aveva trovato riparo in un deposito vicino alla chiesa di Santo Stefano, e per il quale faceva spesso cucinare piatti che poi gli portava. Regalava i suoi soldi per le missioni, per le mense dei poveri. «I soldi sono carta straccia – diceva – quello che conta è la nobiltà d’animo, ossia la maniera con cui si ama Dio e si ama il prossimo». «Solo questo ci chiede il Signore: che siamo in comunione con Lui e al servizio dei fratelli». E come Francesco si spoglia di se stesso, dell’ingombrante ego: «Non io ma Dio», con una «D» davanti a «io» tutto cambia, scrive ancora pochi giorni prima di morire. E soprattutto a Francesco l’unisce l’amore per Gesù Eucarestia: «L’Eucarestia è la mia autostrada per il Cielo!». L’Eucarestia che chiama «il Sacramento dell’Amore con cui Dio ci ama» e che è proprio quanto caratterizza fino in fondo Carlo Acutis che voleva essere «il discepolo prediletto che riposa sul petto di Gesù» e diventarlo attraverso un vita eucaristica. Desiderio che nel 2002 lo portò anche ad allestire un mostra itinerante sui miracoli eucaristici, a partire da quello di Lanciano, tanto che le ultime estati ad Assisi le dedicò proprio alla preparazione della mostra che terminò poche settimane prima della sua morte. Fu presentata il 4 ottobre del 2006 nella solennità di San Francesco d’Assisi, ma a Carlo per via della malattia non fu possibile partecipare.
«Dobbiamo tener presente che la santità non è qualcosa che ci procuriamo noi, che otteniamo noi con le nostre qualità e le nostre capacità – ha spiegato in un udienza del mercoledì papa Francesco – La santità è un dono. È il dono che ci fa il Signore Gesù quando ci prende con sé e ci riveste di se stesso, ci rende come Lui. La santità non è riservata a coloro che hanno la possibilità di staccarsi dalle faccende ordinarie, per dedicarsi alla preghiera. La santità è vivere con amore e offrire la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, ciascuno nelle condizioni e nello stato di vita in cui si trova. Perché sempre e in ogni posto si può diventare santo, cioè ci si può aprire a questa grazia che ci lavora dentro e ci porta alla santità».
La santità ordina così l’uomo a Dio. Questo significa prendere Dio come fine di tutti i propri atti e come fine della propria mente: la conoscenza e l’amore. La santità consiste infatti nella conoscenza e nell’amore di Dio. E si deve ribadire che tale conoscenza e tale amore sono nell’uomo solo per grazia («Gratiae gratis datae») e si realizzano quaggiù per mezzo della fede e della carità. Si tratta infatti non soltanto di acquisire una certa conoscenza di Dio e di amarlo in qualche modo, ma di fare di Dio «il fine ultimo di tutta la vita e questo si può fare solo per grazia» come afferma san Tommaso d’Aquino nella sua Summa Teologica. La grazia non annulla la natura ma la perfeziona, porta alla perfezione la natura umana. Diventare santo quindi non significa allontanarsi dall’umanità ma significa avvicinarsi alla perfezione per la quale la natura umana è fatta. Si trova qui anche il fondamento della vocazione alla santità che il Concilio Vaticano II ha riproposto nella capitolo 5 della costituzione Lumen Gentium sulla natura della Chiesa. La santità va quindi vista in ogni tempo come la stoffa della vita cristiana. Va vista come il riflesso dell’unico in cui l’umanità si è compiuta secondo tutta la sua potenzialità: Gesù Cristo. Il santo allora non è né un mestiere di pochi né un pezzo da museo. Non è nemmeno un superuomo, è un uomo vero.
Nella storia della Chiesa la lista di giovani testimoni è lunga. Sono in ogni continente, parlano tutte le lingue del mondo. Perché il Vangelo è la buona notizia per tutti. Così come Carlo Acutis ha mostrato con la sua vita. Fino all’ultimo. «Offro tutte le sofferenze che dovrò patire al Signore, per il Papa e per la Chiesa e perché voglio andare dritto in Paradiso» disse ai genitori negli ultimi giorni dal letto dell’ospedale. Ai suoi funerali, celebrati in quel 14 ottobre 2006 nella sua parrocchia a Milano, la partecipazione fu inverosimile in un clima festoso. Tanti anche gli extracomunitari e i clochard venuti a salutarlo. Al termine le campane suonarono a festa. Era l’ora dell’Angelus.