di Gabriella Mecucci
Foto ©Fabrizio Troccoli
Periodicamente a Perugia riaffiora il tema dell’ordine pubblico: una sorta di eterno ritorno. E guai a sottovalutarlo. E’ infatti una questione vera, avvertita dai cittadini come fondamentale per la loro qualità della vita. Anche in dicembre e gennaio – così come di recente – si erano verificati alcuni gravi crimini. Fatti che attirarono l’attenzione della sindaca Vittoria Ferdinandi e del questore che cercarono le prime soluzioni. Quanto alle opposizioni cominciarono a farne il punto centrale della loro attività. Una scelta comprensibile che è stata però caratterizzata da più di un’ esagerazione.
PERUGIA CITTà PERICOLOSA? IL NO DI CANTONE E VIMINALE
Il Ministero degli Interni ha istituito la zona rossa a Fontivegge, una disposizione che consentirà di allontanare da quel luogo le persone giudicate pericolose che abbiano, ad esempio, precedenti penali. La sindaca di Perugia teme che la scelta possa essere foriera di qualche abuso di natura illiberale e di una etichettatura dei quartieri come pericolosi con possibili danni per questi dal punto di vista economico e della qualità della vita. Una critica più dura era già stata espressa in punta di diritto dagli avvocati di Bologna e Milano e più in generale da numerosi architetti, sociologi e immobiliaristi. Nonchè da altri sindaci. Le zone rosse infatti sono nate in parecchie città: oltre a Milano Roma Firenze Napoli Bologna, ce ne sono anche a Padova e altrove. Vedremo come funzionerà a Perugia sperando che I rischi paventati non si verifichino.
Vittoria Ferdinandi ha presentato dal canto suo, insieme alla Procura della Repubblica e all’Università, un progetto sul disagio giovanile per contribuire ad eliminare le cause delle baby gang. Raffaele Cantone, Procuratore della Repubblica, ha detto in modo chiaro che il capoluogo umbro non è affatto “una città fuori coltrollo”, un far west, come il centrodestra la descrive, e come la zona rossa di Fontivegge potrebbe lasciar intendere. E lo stesso Viminale non aveva classificato il capoluogo umbro fra i centri pericolosi. Ora su pressione del sottosegretario all’Interno, il perugino Emanuele Prisco, Fontivegge viene dichiarata “zona rossa”.
Se si vuole affrontare correttamente l’argomento sicurezza, occorre prima di tutto analizzarlo. Tre sono i punti fondamentali: 1) la storia della sicurezza a Perugia è lunga, piena di contraddizioni e non sempre ne è stata compresa l’importanza, 2) è legata alla quantità e qualità di impegno profuse per reprimere i crimini, 3) è figlia anche di alcuni pesanti errori urbanistici.
Il centrodestra ne fa un tema di propaganda anche perchè, soprattutto grazie a questo, vinse le amministrative del 2014: allora il capoluogo umbro venne definito Gotham City. Al netto di tale evidente esagerazione, il problema esisteva. E la stampa locale e nazionale lo denunciò. Il centrosinistra però, allora alla guida della città, anzichè fare tutto il possible per affrontare la difficile situazione, preferì polemizzare col mondo dell’informazione, reo di voler distruggere l’immagine della Perugia felix a lungo coltivata. Fu un errore che Wladimiro Boccali cercò di correggere, ma era troppo tardi: ormai nell’immaginario collettivo si era radicata l’idea che il capoluogo fosse “una sorta di Ibiza”, come scrisse il Corriere della Sera. Oggi però la situazione non è quella di allora quando il capoluogo umbro, dopo l’omicidio Meredith, finì persino sulle prime pagine dei grandi quotidiani internazionali. Il centrodestra però continua a riproporre quell’immagine senza cogliere le differenze.
Durante il decennio di Andrea Romizi il tema della sicurezza si ripresentò più volte e qualche miglioramento si verificò. Non risolutivo però. Tanto è vero che nell’ultimo periodo di governo del centrodestra la questione si era già riproposta.
Due sono i luoghi dove l’ordine pubblico è minacciato seriamente: Fontivegge e Ponte San Giovanni. E la criminalità si manifesta – come in parecchie città d’Italia – attraverso le gang giovanili e il grande e piccolo spaccio. Se si vuole andare oltre le chiacchiere, prima di tutto occorre l’intervento della polizia e dei carabinieri. La dichiarazione di “zona rossa” sembra però fuori misura come lo fu dieci anni fa l’etichetta di Gotham City appiccicata dal centrodestra a Perugia con tutti i danni che provocò. L’ordine pubblico è questione delicatissima e va trattata con prudenza e sapienza. E mai dimenticata.
Se il primo e più urgente intervento è quello di carattere dissuasivo – repressivo, subito dopo occorre impostare e realizzare una politica urbanistica che muti l’assetto di un quartiere come Fontivegge e di una frazione molto abitata qual è Ponte San Giovanni. Questo problema se lo pose all’inizio del suo mandato anche Andrea Romizi e alcuni passi avanti nella riorganizzazione dell’area antistante alla stazione ferroviaria ci sono stati, ma certo non basta. Occorre portare nelle due zone in questione attività importanti che restino aperte durante il giorno e anche – almeno alcune – nella serata e nella nottata. Più i quartieri sono deserti e abbandonati, più diventano percolosi. La presenza di bar, di ristoranti, di un teatro, avrebbe un ruolo molto positivo. Fontivegge alle otto non ha più un locale aperto. Il sottopassaggio che porta alla stazione è una sorta di “corridoio della paura”, dove si sa come si entra ma non si sa come si esce. E poi ci sarebbe da modificare anche l’assetto abitativo e dei trasporti. Ma questo è un lavoro di lunghissima lena, sul quale però il Comune ha competenza. E’ dunque indispensabile che elabori un progetto complessivo di “risanamento urbanistico” per Fontivegge e per Ponte San Giovanni. Senza un ridisegno degli spazi e della mobilità di Fontivegge e di Ponte San Giovanni e senza un rilancio abitativo del Centro storico – e in particolare di alcune sue parti – non ci sarà una ricucitura della città. E a questo intervento è strettamente legata anche la questione sicurezza.
C’è infine il grande tema delle gang giovanili che richiederebbe anche un iimpegno teso a rompere le marginalità. Sarebbe interessante a questo proposito studiare le soluzioni sperimentate in altre città: occorrerebbe cioè mettere in campo un’articolata proposta politico- amministrativa e poi ci vorrebbero i fondi e le alleanze per portarla avanti. Fare insomma ciò che il centrodestra promise, ma che non fu capace di concretizzare. Oggi il “Progetto sul disagio giovanile”, presentato dal Comune dalla Procura e dall’Università, si muove in quella direzione. Speriamo che non resti isolato e che alle proposte possano seguire i fatti.