di Gabriella Mecucci
Perchè mai l’ “ambizione estetica” e cioè la ricerca della bellezza è stata così sottovalutata da coloro che si occupano di anoressia mentale e, più in generale, di disordini alimentari su base psichica? Parte da questo interrogativa e con la volontà di riempire un’insufficienza di analisi, il recente libro di Aldo Stella e Maria Assunta Pierotti dal titolo “Il piacere di piacere e di piacersi” (Morlacchi editore). Dei due, il primo è un filosofo e psicoterapeuta che insegna all’Università di Perugia e la seconda una psicologa che ha una lunga esperienza nella cura delle patologie alimentari in qualità di presidente de “Il Pellicano”, onlus perugina che se ne occupa da decenni.
Il breve e denso saggio entra subito in medias res e afferma che , “nelle società più ricche, là dove la popolazione ha la fortuna di godere di un certo benessere… il piacere supremo diventa il piacere di piacere e di piacersi, e il ruolo del corpo nonchè della gradevolezza del suo aspetto risultano cruciali nella costituzione della stessa identità personale”. I due autori ossevano che molto probabilmente la sottovalutazione di questo aspetto nasce dall’essere schiavi di un pregiudizio secondo il quale chi aspira ad un corpo bello sia necessariamente un superficiale. E che la tensione estetica sia meno nobile ed elevata di altre. Il libro analizza poi le diverse fasi della vita in cui si presenta questa aspirazione, per passare poi al valore dell’accettazione del limite che è prioritario in qualsiasi approccio terapeutico. Non si tratta di passività, ma di fissare un punto fermo da cui partire per riuscire a migliorare. I due autori la definiscono “un’accettazione coraggiosa”. Senza questa, la tensione a cambiare il proprio status interiore ed esteriore diventa “pretesa” di modellare il corpo secondo le proprie richieste.
L’ambizione ad essere belli – kalos kai agathos, dicevano i greci, e cioè, bello e buono – è dunque legittima sino a quando non diventa esibizione, “sogno grandioso e onnipotente”. Una ricerca di armonia si trasforma – quando questo accade – in “un progetto di egemonia e di controllo”. Il libro individua come fase che necessita di un’approfondita riflessione il “punto di svolta”, oltre il quale c’è la patologia. Riconoscere quando si verifica è fondamentale perchè la terapia risulta “veramente efficace se interviene nel momento in cui l’aspirazione si trasforma in volontà ossessiva”. L’ossessività tipica dell’anoressica.
Se l’ “accettazione coraggiosa” del limite è un passaggio terapeutico fondamentale, un ruolo centrale ce l’ha il pensiero che non va confuso col raggionamento. Quest’ultimo è una procedura che si svolge in conformità a determinate regole. Le anoressiche esasperano la rigidità dei loro ragionamenti in modo tale che “il rigore garantito dalle regole viene contraffatto dall’ossessività con la quale solo alcuni schemi vengono sistematicamente ripetuti”. Il pensiero critico è l’unico antidoto in grado di rompere questa gabbia, di cogliere il proprio limite, di mettere in discussione se stessi. La terapia deve quindi consentire al soggetto di recuperare la capacità di pensare, abbandonando progressivamente i rigidi schemi del ragionamento.
Il libro di Stella e Pierotti segue un doppio filo di Arianna per uscire dal tunnel dell’anoressia e tornare a riveder le stelle: il limite e il pensiero critico. Molto interessanti sono poi gli approfondimenti riguardanti il narcisismo, il rapporto fra verità e libertà, la paura e il distacco dalla paura. “Il piacere di piacere e di piacersi” rappresenta una riflessione originale sull’anoressia che tiene insieme approfondimenti filosofici e pratica terapeutica.