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di Fabio Maria Ciuffini

La serie delle “passeggiate” continua con una visita all’Archivio di Stato di Perugia. Un luogo ben noto agli specialisti ma quasi sconosciuto dal grande pubblico che ne ignora sia il ruolo che la posizione. Se ne cercate la sede, Google vi dirà che sta in piazza Giordano Bruno e vi mostrerà la foto del grande chiostro del MANU, il museo archeologico nazionale dell’Umbria. 

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Il MANU  ed il Chiostro maggiore (questa foto e tutte le successive escluse quelle di repertorio sono di Luciana Ciuffini)

Ma l’Archivio di Stato non è lì, o meglio, per andarci si passa per lì ma, imboccato un androne che vi si apre scoprirete, ed è la prima delle meraviglie di quella visita, un altro chiostro, più piccolo ma altrettanto bello da vedere. Ambedue dominati, dal campanile della grande Chiesa che li affianca.

Quanti perugini e quanti turisti se ne sono mai accorti?

Continuando questa passeggiata “storica” dove ogni angolo racconta un frammento della storia di Perugia, ecco una guida fotografica che vi ci condurrà.

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L’androne che si apre sull’ambulacro Est del Chiostro Maggiore

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Il chiostro Minore, detto “della Tonsura” il primo ad essere costruito. Dietro il campanile e la Chiesa di S. Domenico. La quattrocentesca vera del pozzo proviene dal Monastero di S. Maria di Monteluce. (repertorio Archivio Stato)

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Ed ecco in fondo all’ambulacro Sud del Chiostro minore l’ingresso dell’Archivio di Stato di Perugia

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Il lungo corridoio che si apre entrando nell’Archivio

Il chiostro cosiddetto minore è in realtà il primo che fu realizzato dei due che insieme alla gigantesca chiesa ed allo snello campanile costituiscono il grandissimo complesso di S. Domenico. 

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Complesso di S. Domenico. E’ visibile nell’affresco del Bonfigli a sinistra la grande vetrata istoriata (la seconda d’Italia) e il campanile con la sua guglia  originaria cuspidale sovrastata da una palla e una croce. A destra la posizione dei due chiostri:il Chiostro Maggiore a sinistra, il Minore a destra. 

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La Scala che conduce al piano superiore e la meravigliosa Biblioteca intitolata a Giovanni Cecchini che fu direttore dell’Archivio di Stato di Perugia dal 1940 al 1959 (foto Biblioteca repertorio A. S.)

La storia del complesso inizia nel 1234 quando i frati domenicani, appena sedici anni dopo la nascita dell’ordine, ricevono un terreno in dono dal Comune di Perugia. E’ fuori le mura, lungo la Via Regale per Roma. Agli inizi del 1200 quando la città è in piena espansione non c’è più posto ormai entro la cinta etrusca ed è giocoforza costruire fuori. Su quel terreno sorge già una Pieve. Quella di S. Stefano del Castellare di cui oltre il nome si sa pochissimo. Sappiamo solo che “Pieve” deve il suo nome a “plebs” ed è la chiesa della plebania, cioè della popolazione del contado, i contadini. Perché si chiama del Castellare? Perché probabilmente sorgeva su di un’antica fortificazione anch’essa scomparsa. E la data di fondazione della Pieve fa pensare che quell’avamposto fuori le mura sia stato costruito ai tempi dell’assedio di Perugia da parte dei longobardi. Forse dagli stessi assedianti. Di tutto questo resta come testimonianza solo l’antico nome della via che sta tra la chiesa e il convento: Via del Castellano. Ma anche della prima Chiesa costruita dai Domenicani al posto della Pieve, resta solo il nome: S. Domenico Vecchio. Forse ne resta traccia nel Deposito 6 dell’Archivio. Infine, sul finire del 1400 i Domenicani, su committenza dal Maestro Generale dell’Ordine Leonardo Mansueti, completarono il grande chiostro (oggi sede del MANU) e la maestosa chiesa di S. Domenico, il cui campanile, alto 126 metri, fu poi dimezzato con la costruzione della Rocca Paolina. Nel 1859 da quel campanile si sparò sui patrioti durante l’insurrezione perugina. E dopo l’Unità, nel 1860 il convento fu demanializzato e divenne caserma per il 51° Reggimento Cacciatori delle Alpi, per poi ospitare  oggi  il Manu e l’Archivio di Stato. 

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E vedo con la mente – tra echi lontani di preghiere e comandi – frati domenicani e poi militari ottocenteschi che si aggirano per questi chiostri, testimoni silenziosi di un passato che ci parla con le pietre ma anche con la carta dei documenti. Ed infatti in una città come Perugia la storia delle trasformazioni che l’hanno fatta nei secoli si legge negli edifici storici, nel tessuto urbano, nel paesaggio agrario che la circonda, ma non tutta. 

La sua grana fine si può trovare solo qui nell’Archivio di Stato. Non il polveroso magazzino suggerito dal termine “Archivio” ma un organo del Ministero della Cultura come è giusto che sia per un così vasto giacimento di storia. Che sorge nello stesso luogo dove mi piace immaginare che i Domenicani custodissero la memoria del sapere teologico e filosofico e  dove la continuità della memoria storica si intreccia con le radici culturali della città.

Una continuità che rende vivo, vivissimo un istituto che merita ampiamente di essere conosciuto anche oltre la ristretta cinta degli studiosi.

Qui la storia rivive nelle decine di migliaia di documenti contenuti nei 25 km dei suoi scaffali. Atti manoscritti come le “Riformanze” e gli atti notarili, giudiziari, ecclesiastici, contabili, tecnici ed infine mappe e cartografie che documentano l’evoluzione del territorio, tutto raccolto e conservato nei secoli da tanti soggetti privati e pubblici.

Oltre naturalmente a tutti i moderni supporti digitali.   conservati nei secoli ed ora qui concentrati, all’Archivio di Stato.

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25 Km di scaffali, dai più antichi fino ai modernissimi!

Un patrimonio documentario ricchissimo ed articolato: Fatto, quel patrimonio, di tante materie: carta, cartone, cuoio, pergamene, ceralacche, metalli, oltre ai più moderni supporti digitali.  

E fa impressione vedere faldoni sui cui dorsi puoi leggere date a partire dagli inizi del 1200.

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Riformanze (gli atti) del Comune di Perugia. Secoli e secoli di verbali, delibere, contratti, sentenze. Portano date antichissime: 1276 -1277, 1298. In quei faldoni potremo trovare la delibera con cui fu ceduto il terreno dove sorgeva la Pieve di S. Stefano del Castellare.

In ognuno di quei documenti, come il tassello di un grande mosaico, c’è un brandello di  Storia. A partire dal 995 – più di un millennio fa – che è la data dell’atto più antico qui conservato. Il capostipite …

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L’antichissima Charta dove nel settembre 995 a Perugia nel Castello di Castilione Giovanni di Val di Ponte in punto di morte dispone di lasciare i propri beni al Monastero di S. Maria di Valdiponte.

Se leggi quel documento ed hai abbastanza fantasia puoi vedere Urso notario che ha finito di lisciare la pergamena, la rifila e la piega in due e monta a cavallo con la sua attrezzatura di scrittura da viaggio, arriva intus castellus de Castilione. Lo attende una folla di amicos et parentes e testimoni tra loro confabulantes intorno a Giovanni detto Gregorio che jacebat in lectulo suo, morente ma che in infirmitatem suam sana abebat mente. E Gregorio parla e pare quasi di sentire la sua voce sofferente: vos omnes rogiti feci venire ad me. Vestram presentia volo disponere de rebus meas. “Cose” che chiama umilmente “povere” ed invece sono un capitale. E dispone che siano donate, le rebus suas a quel monesterio et abatibus et monahis ibidem.  E poi arriva una descrizione dei beni in locum qui dicit Lupacionem et in Casolano et in Galiano indicati dal primo al quarto latere con catastale precisione e con l’uso ripetuto dell’angolo rectum. 

Ed infine le firme dei testimoni precisando chi è che lo fa de manu sua  e, in calce,  la firma notarile. Ego Ursu ibi fuit. Ego Urso scripsit et complebit. 

Continua