di Anna Camaiti Hostert
Non c’è alcun dubbio che nel dibattito del 27 giugno tra l’ex presidente Donald Trump e quello attuale, quest’ultimo non ha brillato. Tutta la stampa nazionale e internazionale ha descritto la performance di Joe Biden come deludente e a tratti perfino imbarazzante. Quali ne siano le ragioni se un raffreddore o la stanchezza dovuta ai tempi brutali della campagna elettorale o a una défaillance determinata dall’età è un problema relativo. Infatti non è tanto importante perdere un dibattito, cosa che può accadere in una competizione elettorale di questa portata, ed è accaduto molte volte anche in passato, quanto proiettare l’immagine di un leader capace di guidare il paese e, ancora per certi versi, il mondo. In questo dibattito ciò non è riuscito tuttavia a nessuno dei due contendenti. Conosciamo bene Donald Trump e sappiamo che è unfit a fare il presidente, anche se purtroppo neanche Joe Biden è apparso all’altezza in questa occasione. I democratici adesso sono divisi tra il mantenere alla guida l’attuale presidente o cambiare la sua leadership, soprattutto in vista del fatto che coloro ancora indecisi sono stati scontentati dalla sua ultima performance e che i molti repubblicani delusi da Trump e dalle sue ultime vicende giudiziarie non hanno visto in Joe Biden l’alternativa che avevano sperato di avere trovato.
Non mi soffermerò sui punti deboli di Joe Biden in questo dibattito su cui viceversa si è accanita l’attività notoriamente predatoria di Donald Trump e di tutto il circo mediatico mondiale e neanche sulle numerose falsità di quest’ultimo, non solo non sbugiardate da nessuno, ma neanche contestate dai giornalisti presenti, cosa che in un dibattito pubblico di questa portata comunicativa dovrebbe accadere, proprio per sfatare l’opinione prevalente che i media si fermano solo in superficie senza andare in profondità. Il fatto è che la quantità di bugie capillarmente diffuse da Trump con una strategia ben precisa e mirata non solo ha confuso tutti incluso Biden, ma non ha permesso né alla stampa né tantomeno al presidente di replicare. Ci sarebbero volute ore e molti distinguo. Tuttavia perfino uno dei giornalisti più famosi e seri della CNN, Anderson Cooper, è caduto nella trappola di fare del dibattito una summa dei tre anni e mezzo della presidenza Biden che non possono essere liquidati da poco più di un’ora di scontro verbale. A lui ha risposto fermamente è a tono la vicepresidente Kamala Harris ricordando i punti salienti della presidenza sua e di Biden: la sconfitta del Covid e dell’inflazione, l’aumento dell’occupazione e del salario minimo, la creazione di un’economia forte (Bidenecomics) con 14 milioni di posti di lavoro e la disoccupazione ai minimi storici, al di sotto del 4% per il periodo storico più lungo degli ultimi 50 anni. A questi vale la pena di aggiungere quel grandioso programma di infrastrutture Build Back Better, il più importante messo in atto dalla presidenza di Franklin Delano Roosevelt a oggi. I risultati della presidenza Biden dovrebbero parlare da soli o per bocca dei suoi portavoce, mentre invece sul piano della comunicazione ci sono grosse carenze. Tuttavia eccetto che in questo settore, vale la pena di ricordare che, come hanno dimostrato gli obiettivi politici raggiunti, l’entourage che circonda Biden è composto di persone competenti che riescono a supplire anche quelle mancanze che a volte la sua età rende evidenti.
Il presidente Biden non è tuttavia quel rottame che viene descritto anche da certa stampa nostrana da strapaese e un po’ provinciale, che addirittura mette in dubbio le sue capacità mentali e di interloquire. Non è affatto così. Prova ne sia che proprio mentre sto scrivendo questo pezzo sto ascoltando su CNN il comizio dello stesso Biden in North Carolina e sembra assolutamente un’altra persona da quella che abbiamo visto nel dibattito con Trump. È un avatar fisicamente identico a quello di alcune sere fa, ma completamente diverso nello spirito: vivace, articolato, pungente, ironico e pieno di energia. Anche le parole che usa sono più sofisticate, più ricercate, più incisive. A un certo punto poi non manca di ricordare la défaillance della sua precedente performance, accusando la sua non più giovane età, la sua non più brillante capacita di argomentare, ma affermando che la differenza tra lui e Trump sta nel fatto di dire la verità, di essere in grado di realizzare le promesse e di mantenere in salute la democrazia che con Trump invece sarebbe in pericolo! I media italiani hanno usato le sue parole in North Carolina solo per confermare il suo stato senescente invece di notare la capacità di distacco da sé stesso, perfino la sua ironia che denota una grande presenza di spirito e la consapevolezza dei propri limiti. Se solo avesse detto le stesse cose con la stessa presenza di spirito nel dibattito presidenziale!