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di Riccardo Brugnetta*

Era nell’aria che prima o poi una procedura controversa e ad alto tasso evocativo come quella relativa al progetto “Stadio-clinica” finisse censurata da uno dei tanti livelli in cui si articola il controllo di legalità.

Questo perchè fin dall’inizio il progetto proposto e la procedura che doveva supportarlo si è presentato di estrema complessità e di problematica fattibilità: primo nel suo genere in Italia a mettere insieme due mondi, quello del calcio e quello della sanità, dimenticando che entrambi, ma soprattutto la seconda si basasse su un corpus normativo suo, speciale, custode di alte finalità e dei relativi equilibri di interessi, tipici di una componente fondamentale del Welfare.

Non dimentichiamoci che nella prima versione, quella approvata dal Consiglio comunale di Terni e dichiarata di interesse pubblico, il Piano economico finanziario del progetto prevedeva la costruzione del nuovo stadio per circa 24 milioni di euro, una clinica per circa 26 milioni che rimaneva proprietà privata, il tutto da realizzare attraverso una società veicolo con un modesto capitale sociale di 10,7milioni. Per il resto si procedeva attraverso indebitamento, la cui garanzia era in gran parte il canone della clinica privata convenzionata, stimato in circa 2 milioni di euro, che rappresentava circa il 60% della rata annuale di restituzione dei prestiti, stimata in 3,4 milioni.

Questo per dire che fin dall’inizio l’operazione si è presentata oltre che ardita rispetto alle normative che richiamava, aggressiva nei confronti dell’asset sanità pubblica, del patrimonio comunale e dell’assetto del commercio (con circa 6500 mq di ulteriori superfici fuori del centro storico) e particolarmente favorevole per i promotori.

Inoltre, che la regia fosse del presidente dell’epoca della Ternana calcio, poi divenuto sindaco nel frattempo – parliamo del 2021 – e che fosse stata messa in campo da ambienti politici di centrodestra una petizione intitolata al “nuovo ospedale di Terni (da realizzare in project financing), al nuovo stadio e ad una clinica privata” non ha fatto altro che appesantire la procedura stessa e polarizzare il relativo dibattito, con una funzione anestetizzante e fuorviante rispetto ai molteplici altri problemi della città.

Va ricordato che il progetto, sempre per le caratteristiche descritte, non ha mai fatto parte della programmazione ufficiale della Regione durante il quinquennio della presidenza di centro destra, non è stato mai oggetto di specifico sostegno pubblico della stessa Presidente Tesei, né dell’assessore alla Sanità, rimanendo tutta la discussione nell’ambito di un contesto squisitamente cittadino.

Contesto cittadino nel quale il presidente della Ternana calcio diventa sindaco, il dibattito si incentrava sul conflitto di interessi dello stesso, la presidenza della società calcistica passava di mano e il progetto si evolveva, affinandosi sotto la regia di qualificati consulenti.

Si modificava, diventando più realistico nei valori delle opere previste, passava per questo da 33 a 44 anni di durata degli ammortamenti e dell’utilizzo privato della struttura stadio. I capitali impiegati crescevano, il terreno sui cui costruire la clinica diveniva chiaramente riconducibile al sindaco, le procedure concorrenziali di affidamento inizialmente previste venivano escluse; rimaneva, insieme ad altri, il problema posto dalle conclusioni della Conferenza dei servizi promossa dalla regione e conclusa con Determinazione Dirigenziale n. 11253 del 04/11/2022, con l’approvazione del progetto definitivo dello stadio, con specifiche prescrizioni, ma che escludeva esplicitamente l’autorizzazione della clinica/casa di cura.

Questa decisione, assunta dalla regione in piena giurisdizione della Giunta Tesei, a seguito di parere del Prof. Balduzzi, è la decisione che è alla base dell’odierno ricorso della Regione Umbria avverso la determinazione del rup del Comune di Terni.

Sulla stessa tematica, il Tar dell’Umbria si era già pronunciato con sentenza di censura n. 00469/2025 sul ricorso della Ternana calcio in merito al nuovo Regolamento regionale dell’accreditamento.

Su questa situazione, rappresentativa di una dialettica tra istituzioni estrema, ma per ora fisiologicamente esitata, incombe un livello di dibattito, anche questo squisitamente cittadino, di tutt’altro genere, a base fortemente emotiva, dai toni a tratti minacciosi e violenti, in particolare sui social, basato sulla denuncia di una discriminazione della città, che non può avere il suo nuovo stadio e la sua clinica (rispetto alle 5 presenti in Provincia di Perugia), indirizzato alla Regione matrigna e al Centro sinistra complice degli interessi perugini e contrario agli interessi della città.

Una vera sindrome della “vittoria mutilata” di Dannunziana memoria.

Un dibattito su cui pesa inoltre il clima di contrapposizione politica di questa fase, a veder bene nel mondo, in cui alla mediazione degli interessi si preferisce la polarizzazione delle posizioni, il populismo sostanziale delle proposte e le forzature normative. Caratteristiche queste particolarmente presenti nel dibattito cittadino sia per le condizioni della città, in prolungata transizione e in piena fascinazione da calcio, che per la sua leadership attuale, di espressione post partitica e populista, rivelatasi estranea ad un ordinato e costruttivo discorso pubblico.

A questo punto un passo avanti nel confronto può venire, per gli assetti della sanità privata, dalla programmazione sanitaria, da una discussione vera sul nuovo Piano Sanitario regionale, dove si affrontino e si rimettano in ordine di priorità. Tra gli altri, sia i temi del rinnovamento delle strutture sanitarie, a partire dal nuovo ospedale di Terni del tipo “new generation hospital”, che la quantità/necessità, qualità e distribuzione dei privati, tutti: sia case di cura che ambulatori specialistici, per superare anche vecchie eredità (le case di cura e gli ambulatori transitati dalla riforma negli anni 80’) e per approdare ad un disegno armonico della sanità regionale. Un disegno che parta però dalla piena valorizzazione dell’impianto pubblico, dei suoi professionisti e dal prioritario riconoscimento dei bisogni insoddisfatti della comunità regionale.

D’altronde è la stessa normativa comunitaria e nazionale, recentemente integrata dalla legge annuale sulla concorrenza, che prevede la periodica verifica dei fabbisogni e delle concessioni ai privati, alla stregua di altri settori soggetti alla concorrenza.

Per lo stadio, divenuto un oggetto del desiderio dei tifosi ed elemento identitario per una parte della città a valenza fortemente politica, la soluzione è forse più complessa. Il buon senso vorrebbe che, viste le necessità, si ristrutturasse l’esistente da parte del Comune, come ad esempio sta facendo il Comune di Perugia, rendendolo più moderno, sicuro e fruibile.

Nel frattempo però l’affaire Stadio-clinica, dopo la gestazione di cui si è parlato, è entrato come elemento determinante, con una leggerezza tutta italiana, nel “salvataggio” della Ternana calcio, intervento necessario dopo le negative vicissitudini proprietarie successive al passaggio di mano del sindaco. Di fatto la Ternana calcio è diventata il dominus della politica cittadina in un intreccio ad alto rischio tra ambizioni calcistiche, investimenti interessati e le scarse risorse pubbliche sotto scacco. Se non c’è una riconsiderazione delle priorità ad opera della politica e delle classi dirigenti della città, la soluzione, visti anche i comportamenti dei soggetti in campo, appare molto complicata. In questi ultimi momenti c’è aria di esasperate contrapposizioni, ma, a pensarci bene, i Tar servono a dirimere le controversie e ad aiutare a comporre i conflitti.

*già direttore amministrativo dell’ospedale di Terni