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di Giulio Massa

Il tempo è galantuomo, ma talora è un gentleman pure straordinariamente rapido.
Si è rivelato tale, ad esempio, nei confronti del segretario generale della Nato Stoltenberg e di quei paesi, quasi tutti, che, dopo aver fornito armi all’Ucraina, sono infine giunti all’ovvia determinazione di consentire agli ucraini aggrediti di usare quegli armamenti anche per colpire le “sorgenti” (militari ovviamente) da dove sgorgano gli attacchi dell’aggressore russo.
Uno finisce di scrivere una frase come quella sopra, si rilegge e viene assalito dalla sgradevole sensazione di esser stato pedantemente didascalico. Ma, didascalico per didascalico, esageriamo pure aggiungendo che, in un conflitto tra un aggressore ed un aggredito, laddove si voglia davvero la fine della guerra, o addirittura la PACE di cui troppi si arrogano il monopolio verbale bestemmiandola notte e giorno, non vi è altra strada che rendere evidente all’aggressore la frustrante inutilità della sua condotta. O meglio, un’altra strada per far cessare la guerra ci sarebbe pure: smettere di aiutare l’aggredito o fingere di farlo continuando, però, a tenergli un braccio legato dietro alla schiena finche’ la superiorità del nemico non s’imponga grazie a tale asimmetria. E’un metodo semplice: richiede solo l’onestà intellettuale di riconoscere che si vuole quell’esito e la consapevolezza dell’inequivocabile messaggio che si manda agli aggrediti di domani (i quali, intanto, si confida saranno sempre “altri” da noi che rifocilliamo il coccodrillo).
Sì,è tutto così banalmente didascalico.
Tranne che in Italia. Laddove le parole di Stoltenberg, complice il consueto vezzo di vergare apodittici commenti ad interviste mai lette (ed il fatto che vengano rilasciate in inglese non aiuta), sono entrate nel tritacarne di una pessima campagna elettorale (non la peggiore, perché quella, in Italia, è sempre la prossima). Un mix di malafede, ignoranza, bias ideologici e uso strumentale e disinvolto della Costituzione “più bella del mondo” per effetto del quale, mentre quasi tutti gli altri paesi nel giro di pochi giorni raccoglievano singolarmente il consiglio di Stoltenberg (perché tale era e non una decisione Nato che non aveva ragion d’essere), da noi andava in scena lo psicodramma dell’Italia vigliacchetta, opportunista, al fondo intimamente badogliesca, alle prese con la terza guerra mondiale alle porte. Scenario apocalittico e terrorizzante, certo, se non fosse per il fatto che se parlava solo da noi. Il che è solitamente un infallibile indicatore di bischerata.
Quello cui abbiamo assistito è stato l’imbarazzante spettacolo di un paese fino ad un momento prima diviso su tutto, pronto alla guerra civile sul monologo di Scurati o sul biglietto aereo di Saviano per Francoforte, ma infine capace di ritrovare le retoriche “ragioni dello stare insieme” realizzando l’unità nazionale in nome dell’appeasement verso Putin. Un paese così amante della Pace da essere pronto ad andare in guerra: contro Stoltenberg.
Partiti che vengono alle mani in Parlamento, giornali pronti a trasformare anche le comunali di Viguzzolo nell’ordalia tra “due idee di Italia”( ma perché poi un giornale deve avere un’idea del Paese, non gli basta raccontarlo?) tutti finalmente uniti : mai le nostre armi colpiranno in Russia, mai un nostro soldato in Ucraina ( spoiler: nessuno ce lo ha chiesto), anzi ora vogliamo esser sicuri che anche le armi finora consegnate non siano idonee ad uccidere russi e che gli ucraini le usino rigorosamente solo per spararsi nei piedi . No all’escalation, ca va sans dire, non siamo in guerra con la Russia (ma i nemici non è detto sia possibile sceglierseli) e ovviamente no alla guerra nucleare (esistono i favorevoli?).
Come premessa al tutto, gettonatissimo, tra i leader politici, il ruffiano incipit “sono preoccupato, preoccupatissimo come padre prima che come politico”: formula di definitiva resa al populismo per cui, in quella che si vorrebbe spacciare per l’ora più buia (e lo è invero, ma per gli ucraini), anziché trasmettere leadership si diffonde paura per affettarne la condivisione. Classi digerenti, anziché dirigenti, follower dei propri elettori, non leader.
Il tutto, beninteso, detto con la massima leggerezza, sgambettando tra i giardini del Quirinale per la festa di quella Repubblica che forse si immagina nata grazie alla trattativa diplomatica con il nazifascismo, senza l’uso delle armi e senza l’intervento (ed il sangue) degli imperialisti americani) La mancanza della pur minima gravitas in chi evoca certi terribili scenari è altro sintomo inconfondibile di fregnaccia.
Non sono mancate, va detto ancora una volta sia per giustizia sia per non cedere del tutto allo sconforto, eccezioni questa volta tanto più preziose: giornali di nicchia, rari commentatori, candidati coraggiosi. Tutti naturalmente bollati come “guerrafondai”.
Alla fine sono arrivate le Europee, la maratona Mentana si è portata via tutto, pure quelle masse di aria di Apocalisse imminente persistenti sulla penisola in questa bizzarra primavera.
Avete notato che è improvvisamente crollato l’indice della paura per la Guerra dei Mondi? Dipenderà certo dall’inizio degli europei di calcio (i ciecopacifinti apocalittici in servizio permanente effettivo sono molto sensibili a certe sovrapposizioni di calendario).
Ma soprattutto dipende, anche se ovviamente non lo riconosceranno mai, da una robusta dose di iniezioni di realtà nel frattempo arrivate.
Sì, perché il tempo è stato, come si diceva, un galantuomo molto celere.
Lo è stato, innanzitutto, verso il segretario generale della Nato, ridicolizzato dai commentatori nostrani alla stregua di un patetico Dottor Stranamore desideroso di visibilità a fine mandato e destinato ad essere sconfessato, come un cameriere troppo intraprendente, dai suoi stessi padroni, ovviamente al pari nostro contrarissimi all’escalation. Realtà: nel giro di pochissimi giorni tutti i paesi interessati, ed alla fine pure gli Usa (con alcuni scontati caveat), hanno dato semaforo verde agli ucraini, come raccomandato da Stoltenberg.
Lo è stato verso chi ha dato retta a Stoltenberg. Gli ucraini, infatti, hanno subito e brillantemente cominciato ad utilizzare le armi non per buttar giù case in Russia, ma per colpire le basi da cui partivano gli attacchi a Kharkiv, seconda città del paese e punto nevralgico del fronte che stava per cedere. Realtà: l’offensiva russa contro Kharkiv si è arenata e l’inerzia del conflitto pare oggi tornata in stallo.
Infine, il tempo è stato rapido anche nello smentire la grottesca narrativa apocalittica di casa nostra. Come ha rilevato l’Institute for the Study of War, Putin, nel suo discorso a San Pietroburgo del 7 giugno scorso, “ha indirettamente indicato che gli attacchi ucraini sul territorio russo con armi fornire dall’Occidente non oltrepassano la presunta linea rossa russa che comporterebbe un’escalation nucleare russa”.
Insomma, anche per oggi la terza guerra mondiale scoppia domani. Nel frattempo la macchina propagandistica del Cremlino ha fatto un po’ di ginnastica vocale sulla drammatica escalation provocata dall’Occidente, apprezzando pubblicamente la consueta recettività dell’uditorio italico.
Se il nostro dibattito pubblico non versasse nello stato comatoso che sappiamo e non nutrisse una pericolosa allergia ai dati di realtà, sarebbe interessante chiedere sine ira et studio ai nostri pacifisti, a partire dalla truppa bipartisan inviata a Bruxelles al grido “no armi all’Ucraina”, cosa pensano di questo esito. Preferivano che, con un ‘Ucraina a corto di armi ed impedita ad utilizzarle in territorio russo, Putin ottenesse una svolta decisiva nel conflitto a partire dalla rottura del fronte a Kharkiv cosicché la guerra finisse e noi tutti, tranne gli ucraini, potessimo trascorrere un’estate tranquilla senza lo spauracchio dell’escalation? Oppure, se si adontano nel veder così rappresentata la loro posizione, perché non indicano come si possa evitare un simile scenario se non con le armi, e la libertà di usarle, agli ucraini?
Provateci a chiederlo loro. Nella migliore delle ipotesi troverete un muro di silenzio. In quella intermedia vi imbatterete nella consueta supercazzola sull’iniziativa di pace europea (si guardassero intorno: siamo solo noi, gli spagnoli e il Belgio a non aver consentito l’uso delle armi su territorio russo). Nella peggiore delle ipotesi, vi rimanderanno al “piano di pace” di Putin dell’altroieri. Al cuor non si comanda, ma guai a definirli putiniani.