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di Leonardo Malà

Vengono in mente le parole profetiche di Paola Bianchini, madre della sindaca Ferdinandi (che meriterebbe un ritratto a parte per le continue e giustificate citazioni della figlia), all’avvento dei primi canali social e delle relazioni che generavano. “Quando incontri qualcuno per strada – diceva la filosofa – nessuno ti omaggia con una frase di Calvino, ti dedica La Cura di Battiato, ti urla sei stupendaaa: tutt’al più sorride, un bacio sulla guancia, ti chiede come va”. In quegli anni tutti parlavano di amori “virtuali” e ancora oggi lo fanno, mentre lei preferiva definirli “iperreali”, perché tutta quella consegna di devozione e amore non evaporava in una bolla ma incideva profondamente nella vita della persona, a volte sconvolgendone il corso. Così è accaduto e così accade vent’anni dopo, non solo alle coppie ma anche a una classe politica ideologicamente mollusca, sempre più in trappola nella rete.
I social sono stati il terreno privilegiato dello scontro politico in questa sfida municipale e va dato atto all’intelligenza delle due candidate di non essersi troppo esposte in prima persona.
Non è così per le rispettive tifoserie ma qui occorre fare un distinguo, sull’approccio dell’elettorato di destra e di sinistra prima della zuffa elettorale. Per tradizione la componente a sinistra è sempre stata verbosa, dedita ai distinguo anche capziosi,
eternamente fedele al dibattito, pratica nobile e sacrosanta se non fosse che, mentre si questiona sul singolo termine, c’è chi approfitta del proprio potere tecnico-economico per accaparrarsi il bottino oggetto del contendere.
A destra si sono glorificati i propri eletti a prescindere: in tutti questi anni non ci si è rivolti a coloro che dovevano assicurare strade sicure e ben illuminate, spazi culturali, asili, ma ai propri eroi che sono bravi, infallibili, generosi e che sempre lo saranno, in un’equiparazione calcistica che da Berlusconi in poi ha inebetito il confronto politico. L’elettore social di centrodestra ha di fatto abdicato al ruolo di cittadino, di sprone, di verifica, conferendo un tributo “iperreale” che ha prodotto un eccesso di sicurezza mortifero.
Ora però la passione che ha caratterizzato la campagna elettorale potrebbe esporre al medesimo pericolo Vittoria Ferdinandi, trasformando una giovane donna coraggiosa, che ha raccolto una sfida difficile, in una neosanta da tempestare di cuori ad ogni post, oppure in una multisala dove ciascuno degli elettori più maturi e consapevoli proietta il film della vita.
La nuova sindaca conosce la trappola e non a caso ha parlato chiaro da piazza IV Novembre, investendo tutta la città nel suo progetto: parafrasando De Gregori, dove “storia” fa rima con “Vittoria”, si potrebbe dire “Vittoria siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso”. Occorrerà una leale partecipazione collettiva per restituire senso ed efficacia a quell’architettura di politica sociale fatta di consultori e consulte, di consigli di quartiere, di spazi comuni ora abbandonati, quelli che la buona politica di cinquant’anni fa aveva immaginato e costruito e che oggi sono allo sbando. Questo sembra l’obiettivo principale della Ferdinandi, convinta che solo una comunità-città possa rispondere ai bisogni quotidiani, dai più spicci e materiali, come le buche, i parcheggi, la gestione dei rifiuti, ai più ambiziosi, come il rilancio di Perugia agli occhi del mondo.
Riuscirà la comunità social a esprimere una partecipazione più consapevole? Riuscirà a superare il disagio del disaccordo, a mitigare lo sbraco da osteria che si è avuto, a onor del vero in gran parte tra le file della destra, dimenticando che la piattaforma social è comunque un luogo pubblico e non sta bene ruttare per strada. E magari a evitare, come accade anche a sinistra, quel tono un po’ cicisbeo, dove anche l’ironia più semplice va spiegata a faccette, dove il ditino perennemente alzato obbliga a una cerimoniosità di eloquio che toglie efficacia e freschezza allo scambio e all’arricchimento reciproco? Sapendo, peraltro, che l’esito del ballottaggio ha ridimensionato la capacità dei social di spostare voti e che perciò le professioni di fede non decidono più di tanto?
A due giorni dal voto i fuochi non accennano a spegnersi. Ricompaiono beffarde previsioni farlocche, si evocano i supporter sconfitti, si ridicolizza la nuova sindaca con un uso isterico di risatine. E’ la triste legge dei social: si litiga tanto e si ride con le dita.
Ps – Riservo un fuori testo invitando le scuole di giornalismo a riflettere sul concetto di iperrealtà: appare sempre più evidente che la grammatica dei talk e dei dibattiti produca un’iperverità, buona da raccontare ma fasulla perché lontana dalle mille sfumature del reale.