di Maurizio Tarantino
Il 10 luglio “The New York Times” ha pubblicato la classifica dei 100 migliori libri del ventunesimo secolo (in realtà del suo primo quarto), decretata da una giuria di oltre 500 scrittori, critici, librai, bibliotecari, giornalisti e semplici lettori. Al primo posto di questa classifica la giuria ha piazzato L’amica geniale di Elena Ferrante.
Appena diffusa la notizia è partita la gara di commenti sui social, commenti per lo più negativi, mascherati talvolta da ironia oppure da un “Evviva!, però…”. Qui di seguito forniamo qualche esempio selezionato tra quelli di scrittori e critici di fama nazionale (gli autori, con una buona googlata, è facile trovarli):
Il mondo editoriale anglosassone, che tanto ha snobbato negli ultimi anni le italiche lettere…si inchina di fronte a un romanzo convenzionale, privo di originalità sia formale che contenutistica, che rivanga nel terreno molto sfruttato della “plebe napoletana”, ma senza l’ispirazione lirica, chessò, di una Anna Maria Ortese.
Mi pare che il giudizio del New York Times sia l’equivalente degli Oscar dati a suo tempo a Ben Hur: non un riconoscimento artistico, ma la constatazione di un’eccellenza tecnica indiscutibile e di una capacità di aderire al gusto di un vastissimo pubblico contemporaneo.
È che ci vedono sempre come folclore napoletano.
Più di Franzen, più di Roth, più di Bolaño, più di Munro, più di Ernaux, più di Sebald, più di Morrison e Robinson…valse l’intramontabile melodramma/commedia italiana
Il New York Times come Pippo Chennedy: “stamm’ accà, in chisto capolavoro ‘ncopp o’ Vesuvieee…”. D’altra parte è giusto, perché parafrasando Longanesi, i personaggi dell’Amica geniale sanno già di vivere in un romanzo che sarà molto tradotto all’estero.
Su Elena Ferrante volevo dire che…[scherzo]
Spalletti. Swift, Morgan, Munro, Ferrante. Luglio è un mese durissimo.
Scene già viste, quando, nel 2000, “Le Monde” piazzò Il nome della rosa al 14° posto tra i 100 libri del ventesimo secolo, prima di Lolita e Ulisse, di Cent’anni di solitudine e Zazie nel metrò, dell’Amante di Lady Chatterley e della Montagna incantata. L’accostamento Ferrante/Eco ci porta a Perugia, una dozzina d’anni fa.
Il Circolo dei lettori (da molti rimpianto) organizzava allora le “Conversazioni con pasticcini” e la “Discussione del libro del mese”. A distanza di poche settimane si tenne una Conversazione sul Nome della rosa e una Discussione sull’Amica geniale. Essendomi toccato il compito di coordinarli, conservo un ricordo preciso di quei due incontri.
In entrambi i casi dovetti sudare parecchio per sostenere (non da solo, per fortuna) il ruolo del laudator dei due romanzi, contro una schiera di detrattori, uno dei quali critico anche lui di fama nazionale: gli infastiditi dal successo, quelli che pensano faccia fico andare contro il mainstream, i teorici dell’equivalenza arrivati/arrivisti, i leggosoloiclassici, i c’eragiàtuttoin...
Il ruolo istituzionale che allora ricoprivo mi costrinse a una difesa “in punta di piedi”, ma dentro ribollivo, come mi capita sempre quando leggo o sento dire banalità “raffinate” su Tolkien e Stephen King, su Scerbanenco e Paolo Villaggio, su Sergio Leone e Steven Spielberg, su Alberto Sordi e Roberto Benigni, su Lucio Battisti e i Rolling Stones, su Machiavelli e Benedetto Croce.
Contro questi critici emunctae naris (Orazio oggi direbbe “con la puzza sotto il naso”), avrei molto da argomentare. Ma forse è sufficiente invitarli a rileggersi (o forse a leggere per la prima volta, perché credo proprio che molti di loro Il nome della rosa non l’abbiano neanche veramente letto) l’invettiva che Guglielmo pronuncia contro Jorge e la sua cupa arroganza, prima che questi dia fuoco alla biblioteca (è a pagina 481 dell’edizione economica).