di Lucio Caporizzi
Gli affitti brevi, o locazioni turistiche (a volte dette anche Bed&Breakfast, anche se, sovente, la seconda componente in realtà non viene offerta), sono ormai da tempo sul banco degli imputati, ritenuti responsabili di una serie di “reati”, dal restringimento dell’offerta di alloggi ad uso abitativo, con conseguente aumento dei prezzi e disagio sociale, allo svuotamento dei centri urbani (in particolare nelle grandi città) con allontanamento di intere fasce sociali, fino ad essere ritenuti responsabili anche della chiusura di negozi e botteghe, sostituiti, appunto, dalle suddette locazioni turistiche.
È in questo “clima” che si era inserita la misura del Governo che, in sede di manovra per il Bilancio 2026 aveva previsto l’elevazione del prelievo fiscale sugli affitti brevi, dal 21 al 26 per cento, anche nel caso di proprietari di un solo appartamento, misura poi rientrata per i disaccordi all’interno dei partiti della maggioranza. Il Ministro dell’Economia ha tenuto a precisare che l’inasprimento fiscale non era tanto motivato dall’obiettivo di “fare cassa”, quanto dall’intento di spingere i proprietari ad orientarsi verso gli affitti a lungo termine, piuttosto che quelli turistici. Qualcuno, però, ha giustamente osservato che, se questo era l’intento, poteva forse più efficacemente essere perseguito tramite un alleggerimento della tassazione sugli affitti a lungo termine, invece che un appesantimento dell’aliquota gravante su quelli brevi. Già ma, in tal caso, l’effetto per l’erario sarebbe stato una riduzione di entrate, meglio quindi aumentare che ridurre, non a caso, come è noto, la pressione fiscale è sensibilmente aumentata, ultimamente, nel nostro Paese.
Ma è proprio vero che il boom degli affitti brevi è responsabile di tutti questi guai, in un Paese, oltretutto, dove ormai da un pezzo la popolazione non cresce, anzi si riduce sempre più, fenomeno, questo, ancor più accentuato in Umbria?
I numeri in verità non confermano del tutto questa tesi. Lo studio di progettazione Lombardini 22 ha elaborato una ricerca dalla quale si vede che, se vi è “fame di alloggi” – in particolare nei grandi centri – ciò è dovuto solo in parte alla conversione di abitazioni verso le locazioni turistiche, dato che comunque risultano quote più o meno elevate di alloggi tenuti sfitti: il 17% a Napoli, il 13% a Firenze, il 13,5% a Milano, il 16% a Torino, il 20% a Palermo. Insomma, vi è un gran numero di proprietari che non “si buttano” sugli affitti brevi ma che preferiscono tenere del tutto inutilizzato l’immobile piuttosto che affittare a lungo termine. Forse a spiegare tale scelta può contribuire il dato dell’alto tasso di morosità degli inquilini, (intorno al 30% a livello nazionale), unitamente al fatto che, in caso di morosità, il recupero dell’alloggio arriva a richiedere mediamente oltre un anno di tempo, oltre alle spese da sostenere.
Quello del calo demografico – abitanti che calano ma alloggi che non si trovano – non è l’unico aspetto contraddittorio della questione.
Assume rilievo, infatti, anche il tema del Turismo. Come noto si tratta forse dell’unico comparto produttivo che “tira” e, in Umbria, ancor più che nel resto del Paese. Senonchè gli affitti brevi assorbono ormai una quota molto considerevole delle presenze turistiche. In Umbria le presenze nelle strutture extralberghiere (che non sono solo locazioni turistiche, ma in buona parte sì) sono state nel 2024 addirittura il 52% del totale (dato probabilmente sottostimato) e anche in una città con una forte ricettività alberghiera come Roma, ormai le presenze nelle locazioni turistiche rappresentano circa la metà di quelle alberghiere. La crescita dell’offerta ricettiva extralberghiera ha probabilmente contribuito non poco alla crescita del movimento turistico, consentendo pernottamenti a prezzi più convenienti rispetto agli alberghi. Per i proprietari, che spesso hanno acquistato un piccolo appartamento come forma di investimento dei propri risparmi, mettere sul mercato una casa da destinare ad affitto breve significa portare a casa rendimenti netti compresi tra il 3,7 e il 4,9 per cento annuo, a seconda della località. Questi rendimenti sono superiori a quelli dei titoli di Stato, oggi compresi tra il 2,5 e 3,5 per cento. Va considerato, a tale proposito, che il 38% dei ricavi si concentra presso l’1,3% degli host professionali.
Inoltre, tra il 2 e il 5 per cento del patrimonio immobiliare abbandonato è stato riconvertito in uso turistico, evitando degrado e inutilizzo e mettendo in moto investimenti. In tal modo, molti centri minori o rurali privi di strutture alberghiere sono stati rivitalizzati.
Insomma, da un lato ci si compiace – giustamente – del vivace andamento del turismo, dall’altro si dà addosso agli affitti brevi, senza i quali, però, questo boom del turismo si sgonfierebbe di molto.
Senza affitti brevi, quindi, non avremmo la capacità di assorbire i flussi turistici in molte delle città italiane, né di sostenere i numeri determinati da eventi, fiere e picchi stagionali. Se insomma improvvisamente scomparissero gli affitti brevi si dovrebbe rinunciare a molti turisti e perdere gran parte del loro contributo al Pil.
I lati negativi della crescita degli affitti brevi però esistono e si concentrano prevalentemente nei grandi centri urbani a forte vocazione turistica, dove la riduzione dell’offerta di affitti lunghi è arrivata a punte del 66% e la concentrazione di case in affitti brevi raggiunge in alcuni casi (Firenze e Bologna) il 30% del totale.
Tornando alla manovra di bilancio del Governo, l’impressione è che si ritenga più semplice ed agevole penalizzare fiscalmente le locazioni turistiche – che, se non altro, così l’erario incassa qualche soldo – che non incentivare le locazioni a lungo termine, rassicurare i proprietari circa il recupero del proprio immobile e, soprattutto, riprendere una seria politica di investimenti in edilizia abitativa sociale che, in Italia, esprime un’offerta di alloggi di molto inferiore rispetto ad altri paesi europei.



