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di Paolo Vanacore

Una delle novità più gradevoli di queste Olimpiadi è il ritorno del tennis alle medaglie dopo ben cento anni esatti, l’ultima conquista infatti risale al 1924 da parte del Barone Uberto De Morpurgo padre triestino, madre inglese, ricchissima famiglia ebrea di nobile origine. Il piccolo e fortunato figliolo studiò a Oxford dove si appassionò all’altrettanto nobile e aristocratico sport anche se non si trattò di una vera e propria fascinazione sportiva ma piuttosto di edonismo agonistico unito alla volontà vanesia ed eccentrica di dimostrare il proprio coraggio e ardore in una società come quella del primo Novecento meta di artisti vari quali attori, scrittori, pittori, danzatori. Un modo per distinguersi e mettersi in evidenza, insomma. Tra l’altro il tennis nasce come uno sport per ricchi, basta tornare indietro alle sue origini nel 1100 quando con il nome di Royal Tennis si giocava nelle famiglie reali, seppur a mani nude, poi negli anni a seguire si aggiunse un guanto, necessario a colpire la palla in modo più sicuro. Solo nel 1520 venne introdotta la famosa racchetta. Tra i primi e più celebri giocatori di tennis i reali Carlo IX, Enrico VIII, Giacomo I e Francesco I di Francia che si appassionarono molto a questo sport e ne favorirono la diffusione facendo costruire campi in erba nelle loro proprietà, per non parlare di Luigi X e Carlo VIII che addirittura persero la vita dopo aver praticato la disciplina.

Al pari del nostro fantastico Lorenzo Musetti che ha compiuto un’impresa storica, anche la medaglia di Uberto De Morpurgo fu un bronzo, il tennista italiano sconfisse il francese Jean Borotra in cinque set, e anche quell’anno le Olimpiadi si tennero a Parigi. Va detto che il prestigioso piazzamento di Musetti nonostante le ottime recenti prestazioni, è stato comunque una sorpresa; lui stesso, anche dopo il ritiro di Sinner, non pensava assolutamente di riuscire a centrare un traguardo così prestigioso contro il tennista canadese Felix Auger Aliassime, un avversario comunque alla sua portata. Ma non è finita qui, il tennis italiano conquista addirittura il podio nel doppio femminile con le straordinarie Jasmine Paolini e la veterana Sara Errani che regalano il primo oro olimpico battendo le russe Andreeva e Shneider, un’impresa titanica che conferma la crescita del tennis italiano maschile e femminile negli ultimi anni, non solo grazie a Sinner ma anche grazie ai recenti risultati delle sorelle d’Italia fresche vincitrici degli Internazionali di Roma e finaliste agli Open di Francia e della Paolini finalista nell’anno in corso sia a Wimbledon che al Roland Garros.

Ma il tennis è ancora uno sport elitario visti i costi elevati di strutture, lezioni private, abbonamenti ai circoli, cura fisica, viaggi e alloggi, iscrizione ai tornei acquisto di attrezzature che comportano un notevole dispendio economico? Quindi in sostanza uno sport per ricchi, anche se non nobili o di famiglia reale, praticato solo da ricchi. La risposta è nelle famiglie di appartenenza dei nostri campioni olimpici: i Musetti, mamma impiegata e papà operaio nelle cave di marmo, siamo a Carrara, una famiglia semplice e dignitosa, è stato il papà a trasmettere al piccolo Lorenzo la passione per il tennis e a supportarlo anche nella scelta di lasciare la scuola pubblica per continuare ad allenarsi. Jasmine Paolini, sempre toscana, stavolta siamo a Lucca, mamma polacca di etnia africana, suo padre era ghanese, trasferitasi in Italia trenta anni fa, per sbarcare il lunario inizia a fare la cameriera nel bar di proprietà di Ugo, italiano, che poi diventa suo marito. Le cronache raccontano dei sacrifici immani sostenuti dalle famiglie per permettere a Lorenzo e Jasmine di allenarsi, anche lontano da casa. Diciamo quindi che si tratta di uno sport da ricchi, per ricchi, divenuto di matrice popolare. Non c’è epilogo socio-economico migliore di questo soprattutto quando si torna a vincere dopo 100 anni.