di Gabriella Mecucci
Ha attraversato un secolo lasciando un segno indelebile, Maria Grazia Lungarotti, morta all’età di 97 anni. Ha segnato in profondità la vita di Perugia con tenacia, cultura, eleganza. Una personalità forte la sua, capace di sognare e di realizzare. Una determinazione addolcita da quell’indimenticabile sorriso che illuminava un volto bellissimo.
Eugubina di nascita, si era laureata a Roma in Storia dell’arte e aveva avuto come maestro un faro come Ranuccio Bianchi Bandinelli che spesso le capitava di ricordare. La sua vita è stata ricca di tutto, e anche di dolori, come la perdita del primo marito che la lasciò con due figli piccoli: Giuseppe e Teresa. Ma niente è mai riuscito a fiaccare quella tempra non priva di severità, stemperata però, “alleggerita” dalla gentilezza e dalla voglia di capire.
Insieme al secondo marito Giorgio Lungarotti, da cui ha avuto una terza figlia, Chiara, ha progettato un’azienda vitivinicola speciale. Una coppia di pionieri che s’integravano a vicenda: lui un proprietario terriero con grandi capacità imprenditoriali, lei, manager infaticabile e raffinata intellettuale. Ne è nata un’azienda che oltre a produrre buon vino, ha affrontato tematiche di rara modernità. Un lavoro il loro teso a far crescere la vera qualità della vita, il benessere, la cultura: dal vino, alle “Tre Vaselle”, sino ai musei, questi sono i momenti più significativi di un impegno ininterrotto
Giorgio e Maria Grazie sono stati due pionieri: hanno percorso strade ancora sconosciute nell’Italia degli anni Settanta. Figuriamoci nell’Umbria di allora. Quando è nata la loro giovane impresa non avevano blasoni da esibire come i Frescobaldi e gli Antinori, ma Maria Grazia ha fatto molto di più: si è inventata – e Dio sa con quanta laboriosità – un museo del vino che non ha pari nel nostro paese. Nella sede di Torgiano contiene ben tremila pezzi di cui alcuni di straordinaria rilevanza: basti pensare a “Il Baccanale”, una bellissima incisione di Mantegna, o al magnifico piatto di Mastrogiorgio, o al corredo funerario etrusco con scene di viticultura.
Questa grande raccolta è Il blasone della Lungarotti. Maria Grazia ha incorporato cultura nell’impresa: non si è fermata a costruire soltanto un “museo dell’impresa” – di quell ce ne sono parecchi – ha raccontato invece il valore artistico e sacrale del vino, la più intelligente fra le produzioni umane provenienti dalla natura. Un lavoro utile e davvero originale. E di questo in tanti se ne sono accorti: ha ricevuto miriadi di premi in Italia, ma anche da parte dei cugini francesi, non sempre inclini ai riconoscimenti per chi sta aldiqua delle Alpi. A questa prima fatica, se n’è aggiunta una seconda: la nascita del museo dell’olio, più piccolo, ma anch’esso ricco di “pezzi” importanti.
Maria Grazia – se è lecito usare un’espressione un po’ vecchiotta – era una “gran signora”. Ed era un piacere incontrarla a uno spettacolo teatrale, a una conferenza, a un concerto: sempre sorridente e eccellente conversatrice. Una testimonianza la sua di intelligenza e laboriosità senza mai abbandonare quella sorta di “leggerezza calviniana”. Così, con passo deciso e felpato, ha attraversato il Novecento e ha imboccato il Duemila pensando e lavorando sino agli anni più recenti. Una tempra antica, amante della tradizione ma che sapeva interpretare la modernità. Il suo lascito è di quelli che contano e conteranno parecchio anche in futuro



