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di Fabio Maria Ciuffini
Foto © Xiquinhosilva

Trump ha fatto una proposta su Gaza che è stata rifiutata a grandissima maggioranza, praticamente da tutti. E si ironizza se il gigantesco resort  accuratamente privo di palestinesi vada chiamato Gaza-al lago o Mar-a-Gaza. Ma Lui ostinatamente continua a proporlo con l’entusiastico appoggio della destra Israeliana. Anzi ripete la sua proposta di comprare addirittura l’intera striscia, non si sa se a sue spese o degli USA. Fatemi ora ipotizzare che il mega-palazzinaro tornato alla Casa Bianca sia però animato delle migliori intenzioni. Se così fosse, suggerirei molto, molto rispettosamente a lui o a chi per lui di dedicare la sua attenzione ad un’altra possibile valorizzazione territoriale che potrebbe forse mettere d’accordo tutti. 

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Come è ben noto il deserto del Negev è quel triangolone bianco che punta a Sud sul golfo di Aqaba nel mar Rosso, ed è una parte importante del deserto del Sinai. La sua superficie rappresenta il 60% de territorio d’Israele.

Vecchio come sono ho potuto seguire con passione e direttamente tutte le vicende della formazione d’Israele dal 1948, anno della sua nascita, ad oggi e sono afflitto da sempre dalla sindrome dell’Equivicinanza nei confronti di ebrei e palestinesi. 

Sono anche un ingegnere, un territorialista ed un urbanista che anche da queste competenze ha guardato  ai problemi di Israele.

E credo da sempre che il principale problema di quel tribolato paese sia la carenza di spazio. La sua sovrappopolazione è tale che Israele è uno dei paesi con la maggiore densità di abitanti al mondo. Per dare un’idea: le terre abitabili ed abitate di Israele, comprese Cisgiordania e Gaza hanno un estensione di appena l’intera Campania più la Provincia di Latina. Credevate di più, per un territorio che occupa tragicamente storia e cronaca dal 1948? 

In quel lembo di terra vivono circa 10 milioni di persone in circa 8000 kmq di terre valutate abitabili. Ben più di mille abitanti per Kmq. Due volte e mezzo più che Campania + Latina pur considerati tra i più popolati del nostro paese.  Ed infatti tutta la storia di Israele dal 1948 ad oggi è segnata dalla lotta per qualche fazzoletto di terra via via sottratto dai coloni illegali alla popolazione palestinese ridotta ormai nel pulviscolo di piccole areole verdi della figura iniziale, quel che resta loro della Cisgiordania. Subito dopo la vittoria della prima guerra arabo-israeliana del 1948 quando 8 nazioni arabe non riconobbero l’esistenza del nuovo Stato e gli dichiararono guerra, Israele, tutt’altro che annientata, conquistò addirittura nuovi territori. Fu un’epopea vittoriosa per gli  israeliani, la Nabka, la Catastrofe, per milioni di palestinesi. Rispetto al piano di partizione ONU del 1947 Israele conquistò Gerusalemme Est e la Cisgiordania, cui si aggiunse il Negev meridionale fino ad Eilat nel golfo di Aqaba.

Il Negev copre oggi circa il 60% del territorio israeliano: una immensa distesa di sabbia e rocce modellata da una geologia desertica, piena di meraviglie geologiche, confinata in lontananza da montagne color ocra e con circa 50 abitanti per ettaro (il 75% beduini), 20 volte meno che nel resto d’Israele, cosparsa di accampamenti dei nomadi del deserto e piccoli villaggi. 

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Un paesaggio arido e desolato

Fin dalla fondazione dello stato israelita, le sue classi dirigenti hanno sempre cercato di trasformare il Negev in un terreno fertile. Il più famoso promotore di questa idea fu David Ben Gurion (Primo Ministro israeliano dalla dichiarazione di indipendenza), che intuendo tutta la potenzialità di quei 13mila kmq di arido territorio si trasferì nella loro parte settentrionale proprio per seguire da vicino i progressi nella colonizzazione della regione. 

Lì Ben Gurion si ritirò nel 1953 nel Kibbutz di Sde Boker dove visse e morì vent’anni dopo. 

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Il Kibbutz Sde Boker nel Nord del Negev e il Midreshet Ben – Gurion lungo la Strada 40 che taglia il Negev da Nord a Sud fino ad Eilat sul mar Rosso. La foto da satellite mostra il territorio desertico  che li circonda. 

Oggi, poco a Sud di Sde Boker c’è il Midreshet Ben – Gurion che ospita l’istituto per gli studi sul deserto specializzato in scienze ambientali, idrologia, ecologia ed agricoltura desertica. Ed è in quell’istituto che sono nate le tecnologie di coltura desertica più avanzate del mondo: l’irrigazione a goccia, l’agricoltura di precisione, le tecniche di riciclo dell’acqua, la poca che piove in quelle plaghe, sui 300 mm l’anno. Ma nonostante quanto di esemplare è stato fatto fin qui il sogno di Ben Gurion di fertilizzare il Negev, anche solo nella sua parte settentrionale, si può considerare fallito. Per fertilizzare un deserto l’acqua è tutto. E l’acqua, nel Negev non c’è!  

Antichi insediamenti abbandonati testimoniano che in tempi biblici il Negev era più piovoso ed abitato di oggi. Solo progressive condizioni di inaridimento lo hanno reso sempre più inospitale. E in tempi geologici quei territori sono stati ben più umidi di oggi. Le precipitazioni hanno modellato il paesaggio e lo testimoniano anche i letti di fiumi fossili, gli Wadi. Dunque l’acqua c’era e molta ed oggi manca.

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Resti di un antico insediamento nel deserto del Negev

Due immagini ricostruiscono il periodo umido che interessò oltre al Negev probabilmente anche tutto il Sinai. Se dunque si riuscisse a riportare quelle condizioni di umidità nel Negev, almeno nella sua parte più settentrionale, si tratterebbe di un sostenibile processo di rinaturalizzazione. Rispettando il fascino selvaggio del resto di quel territorio, incluse tutte le particolarità geologiche che lo rendono famoso come le pozze d’acque perenni di Ein Avdat. E dunque con impatti perfettamente sostenibili.

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Una valle desertica del Negev circondata da alte colline incise dalle antiche piogge.

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Una ricostruzione del Negev in periodo preistorico nello stesso contesto geologico di oggi

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Un’altra ricostruzione di quei tempi più umidi

Ma cosa renderebbe possibile oggi ciò che per i quasi 80 anni dalla nascita di Israele non lo è stato? Come realizzare il sogno di Ben Gurion: irrigare e rendere fertile il Negev? Si potrebbe fare oggi?

Non più un sogno: un progetto

Sarò un romantico ed un visionario che ha inseguito un simile progetto sin dalla mia giovinezza, quando ammiravo l’eroismo, il coraggio e la tenacia israeliane esaltate nell’ideale socialista ed egualitario dei Kibbutz. Portare oggi acqua dal Mediterraneo e dal Mar Rosso su vasta scala e desalinizzarla sarebbe possibile? Ne esistono le condizioni tecnologiche e finanziarie? Quelle finanziarie certamente. I costi del progetto sarebbero solo una frazione di quelli spesi in armamenti e guerre dai soli Stati Uniti dal 1948 ad oggi, stimati dallo studio “Costs of War” della Brown University del Rhode – Island, in 250 miliardi di dollari. Oltre a quelli  sostenuti dagli europei, quelli offerti alla parte opposta da Stati Arabi e Russia, per non parlare delle innumeri vite umane palestinesi e israeliane: 150mila morti e almeno 4-5 volte di più i feriti. E dei costi di ricollocazione di milioni di profughi della Nabka. E sono, quei costi, certamente all’altezza di un grande sforzo a carattere mondiale per risolvere una volta per tutte il problema dello spazio e della convivenza in Israele. Non dimenticando che un simile progetto potrebbe essere a reddito. Forse persino più che nel ricreare la Costa Azzurra sulle spiagge di Gaza con il grande Resort da 40 km; che peraltro diverrebbe così ancor più fattibile senza immaginare la deportazione fuori Israele di milioni di palestinesi. 

Irrigare il Negev! Un grande progetto umanitario e di pace che potrebbe spegnere l’odio contro la nazione israeliana rendendo possibile l’altro sogno di Ben Gurion: la pacifica futura coabitazione tra arabi ed ebrei. Un progetto da contrapporre a quello Trumpiano. Anche se Netanyahu dice che Trump abbia detto la cosa più intelligente proposta da anni ad Israele. Forse meno intelligente però di un’operazione di ricostruzione e valorizzazione della costa Gazana senza deportare i Gazawi e certamente molto meno intelligente dell’idea messianica di Ben Gurion, purtroppo lontana anni luce dalla mentalità del Premier Israeliano. 

Le nuove tecnologie in aiuto al progetto

Ma è soprattutto dal punto di vista tecnico tecnologico che la risposta è certamente positiva e si vede nell’enorme balzo compiuto negli ultimi anni dalla produzione sostenibile di energia per superare i problemi posti dal cambiamento climatico. Pannelli fotovoltaici e centrali CSP (Concentraded solar power) a sale fuso ne possono produrre immense quantità. Nel Negev non c’è l’acqua ma il sole non manca! E poi centrali termiche a gas con sequestro della CO2 e centrali atomiche modulari di ultima generazione. Già basterebbero per produrre tutta l’energia necessaria a pompare e desalinizzare l’acqua necessaria all’impresa. E, in prospettiva le centrali a fusione. Se ne prevede l’utilizzo commerciale già entro il 2030 e comunque in una prospettiva prudenziale entro il 2050. Dunque sempre nei tempi utili a mettere sul terreno un progetto di irrigazione di una frazione del Negev sufficiente a raddoppiare gli spazi abitabili di Israele. In ogni caso analoghi o minori di quelli necessari per compiere il progetto Trump. Senza deportare nessuno! Quanto alla desalinizzazione già oggi Israele è all’avanguardia. Il 50% dell’acqua potabile d’Israele è acqua desalinizzata proveniente dal mare. Gli impianti di desalinizzazione di Sorek e Ashkelon sono tra i più avanzati nel mondo grazie a processi rivoluzionari. Israele è oggi un leader globale nella desalinizzazione con costi di produzione intorno a mezzo dollaro per mc. Dunque esiste già tutta la tecnologia necessaria per fare un grande progetto di irrigazione. Da iniziare da subito con un grande piano urbanistico – agricolo. Un primo balzo: irrigare anche solo una ventina di Km a Sud delle zone attualmente abitate di Israele e concentrare le abitazioni sulle zone incolte più elevate significherebbe ottenere una seconda Cisgiordania. Un piano del tutto fattibile nello spirito della prima colonizzazione israeliana in tempi ragionevoli. In una decina d’anni. E un territorio perfettamente abitabile: oggi negli stati Uniti – ad esempio in Texas a Houston – vivono milioni di persone in latitudini come quella di questa ipotetica ristretta striscia. Una rappresentazione di fantasia, ma nemmeno tanto, mostra un’immagine del possibile piano. E’ la tipica sistemazione israeliana, con gli insediamenti nelle colline o nelle zone incoltivabili. Originariamente anche per motivi di difesa, in futuro si spera, per soli motivi di sviluppo sostenibile del territorio.

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Fattibilità ingegneristica.

Ma ci sono esempi che dimostrano la fattibilità del progetto sotto il profilo ingegneristico? Il più calzante si trova appena mille km più ad ovest, ed è il fiume artificiale il “Great man made river” in Libia, che porta alla costa libica (600 – 650 Km) l’acqua da giacimenti fossili a grande profondità sotto il deserto con tubature di cemento precompresso da quattro metri sepolte sotto la sabbia.

En passant, perché non ricercare falde d’acqua fossili nel Negev? Lo sviluppo delle tubazioni di adduzione e di distribuzione del progetto libico è di oltre 4000 km. La portata complessiva è di sei milioni di metri cubi di acqua al giorno, per l’irrigazione agricola e l’uso domestico in diverse città libiche. Voluto da Gheddafi, il suo costo ammonta a circa da 50 Miliardi per fornire acqua al grande “scatolone di sabbia”. La cartina rende l’idea del progetto, finanziato con la vendita di gas e petrolio.

Molto criticato per il suo enorme impatto ambientale: l’acqua spinta per migliaia di km viene pompata da profondità anche oltre i 2000 metri sotto il Sahara. L’impianto produce dunque acqua – sei milioni di mc al giorno – ma anche un’imponente quantità di CO2 sviluppata per produrre energia. Ma un progetto Negev basato su energia verde non produrrebbe CO2!

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Il tracciato dei “Fiumi Artificiali” in Libia

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Costruzione del Fiume Artificiale: confrontate l’altezza dell’uomo con quella del diametro della condotta per valutare le dimensioni del fiume artificiale

Ma per un progetto Negev stiamo parlando di una scala più ridotta. Servirebbe solo un terzo di quella del “Grande fiume creato dall’uomo” con condotte di metà diametro e molto più corte: dalla Costa mediterranea ad un ipotetico punto di arrivo al Negev delle condotte di adduzione non ci sono più di 100 Km. Con costi pari a circa un terzo di quelli del famoso resort da 40 Km.

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Risultati: Zone irrigate della Libia

Ed ecco due rappresentazioni di fantasia del nuovo territorio agricolo. 

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Un Cantico per il deserto?

 Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta”. Acqua, acqua nel deserto … Una sete plurimillenaria. Quale modo migliore di celebrare il Centenario del cantico delle Creature che non pensare, religiosamente pensare, a placarla? E a chi proporne di studiarne la fattibilità  effettiva in Europa, Italia, Umbria ed a discuterne con Israele?

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