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di Gabriella Mecucci

A partire dal delitto Meredith, per l’Università per Stranieri sembravano andare tutte storte: piccoli scandali con dirompente amplificazione mediatica, difficile andamento delle iscrizioni, scarsa attenzione a quanto di buono produceva. Insomma, una barca nel mare in tempesta. Il centenario della sua fondazione, che ricorre nel 2025, ha favorito però la sua riscoperta e una ripresa d’iniziativa. Per l’anno prossimo il carnet degli eventi è pieno di appuntamenti importanti, a partire dalla presenza all’apertura dell’anno accademico del Presidente Mattarella. Ne parliamo con il rettore Valerio De Cesaris che è il protagonista del  nuovo corso che sta riportando Palazzo Gallenga al centro della vita e della cultura di Perugia e dell’Umbria,  con una nuova capacità di stabilire rapporti nazionali e internazionali.

Rettore, partiamo dai numeri, come vanno le iscrizioni?

Vanno molto bene i corsi di lingua. Abbiamo ripreso a crescere e siamo ben oltre il pre Covid. E’ importante poi che siano tornati ad arrivare anche gli europei. C’è stato un periodo in cui in questo ramo della nostra attività didattica la presenza era poco pluralistica: gli iscritti erano in larga maggioranza cinesi. Naturalmente eravamo molto soddisfatti che ci fossero e che aumentassero, ma a questo trend positivo non ne corrispondeva uno analogo per altre nazionalità. Oggi invece possiamo dire che la crescita è generalizzata: nel 2023 hanno frequentato Palazzo Gallenga allievi di 100 nazionalità. Siamo tornati ad essere una vera e propria finestra sul mondo. Vanno bene anche tutti i corsi di laurea. In questo ambito raggiungiamo i mille studenti che sommati ai quattromila di quelli di lingua, ci portano a quota cinquemila iscrizioni. Siamo una piccola Università, ma la nostra risalita è confortante.

Un ateneo di dimensioni ridotte, ma con una grande storia. Basta scorrere i nomi dei rettori: da Aldo Capitini al ministro degli Esteri Carlo Sforza, per non dire di quelli degli insegnanti: su tutti Maria Montessori.

Si, abbiamo una grande storia e mi piace sottolineare che durante il fascismo il nostro fu il solo ateneo italiano che gli ebrei continuarono a frequentare. Dopo l’approvazione delle leggi razziste, non vennero espulsi e proseguirono i loro studi. La nostra mission è molto importante: formiamo coloro che insegneranno la lingua italiana nel mondo, ma dobbiamo sempre arricchirla e rinnovarla. Per il centenario abbiamo prodotto un volume che raccoglie molte ricerche sulla nostra storia, un libro di cui Passaggi ha già parlato in modo approfondito.

Mi racconti tutte le iniziative per il centenario a partire dalla più originale: quella di invitare migliaia di studenti di Palqazzo Gallenga a tornare a Perugia.

 Già nel 2022 abbiamo iniziato a creare una community degli ex studenti: una delegazione ristretta di loro tornò allora a Perugia. Oggi abbiamo raggiunto migliaia di iscritti e a loro stiamo inviando gli inviti per partecipare al raduno di luglio, dal 2 al 4, che stiamo organizzando in collaborazione col Comune di Perugia. Ci saranno degli eventi in città e alcuni all’interno di Palazzo Gallenga. Spero che vengano in molti insieme ad alcune illustri personalità che hanno avuto ed hanno un ruolo molto importante nella vita politica e culturale dei loro paesi.

Mi fa qualche esempio?

Cominciamo da Peter Maurer che è stato ministro degli Esteri della Svizzera nonché Presidente del comitato internazionale della Croce Rossa,  poi c’è Michelle Jane, ex governatrice del Canada; ci sono numerosi leader politici africani e infine alcune  famose star come il regista Ozpetek, intellettuali cattolici quali padre Georg che è stato segretario di Benedetto XVI. Alcuni di loro hanno fatto già delle testimonianze su Perugia e sull’Università per Stranieri in un documentario realizzato dalla Rai per i cento anni. Dovrebbe essere pronto in primavera, ma una breve anticipazione forse potrà essere proiettata in febbraio quando verrà il Presidente della Repubblica.

Cosa significa per voi la venuta di Sergio Mattarella?

E’ un gesto di grande attenzione verso un’istituzione preziosa che ha avuto una notevole importanza nella diplomazia culturale italiana per tanto tempo. Le brutte vicende accadute, che non vanno sottaciute, ma che sono state enfatizzate mediaticamente a dismisura, non debbono cancellare il ruolo e il prestigio del nostro ateneo che è conosciuto in tutto il mondo. Il fatto che Mattarella abbia deciso di venire per l’inaugurazione del nostro anno accademico è un’autorevolissima sottolineatura dell’importanza della nostra mission. Del resto la sua attenzione verso di noi mi era apparsa chiara quando mi aveva inserito nella delegazione che lo avrebbe seguito in Cina. 

Qual è il futuro della Stranieri?

Innanzitutto occorre fare ancora di più nell’insegnamento della lingua italiana. Accanto a questo mi sembra molto importante approfondire il nostro ruolo nell’ambito di una nuova diplomazia culturale. Di recente l’Università di Hiroshima ha messo in piedi un network per la pace e ha coinvolto dodici università. Fra queste, per l’Italia ci siamo noi. Io in agosto sono stato nella città giapponese per firmare il protocollo di fondazione del network. Siamo stati invitati grazie alla vicinanza con Assisi e grazie alla nostra storia. In questa c’è Capitini con tutto il suo grande bagaglio culturale. Fu lui a gestire la transizione, trasformando la mission di diffondere l’italianità, che il fascismo voleva in chiave nazionalista, in un’ identità aperta. Sin dal ’44 quindi la Stranieri ha nel suo Dna il tema dell’incontro, della diplomazia culturale, della pace. Questa eredità non solo va preservata, ma trasportata nel nostro tempo rinnovandola, traducendola alla luce degli anni Duemila.

Cosa vuol dire oggi una cultura aperta, una nuova diplomazia culturale?

Mettere insieme una serie di iniziative tali da fare di questo luogo un centro internazionale di approfondimento dei temi della politica internazionale, del dialogo, di interventi di soft power. Credo che la pace si costruisca a pezzi. In una certa misura lo abbiamo già fatto quando abbiamo dato le borse di studio ai rifugiati dall’Afganistan e dall’Ucraina. E’ stato questo un modo per aiutare l’integrazione e chi fuggiva dalle guerre. Abbiamo realizzato dibattiti, convegni, conferenze per approfondire i temi che stanno alla base dei conflitti, e il modo per uscirne. Dobbiamo però fare molto di più. In questo modo porteremo nel Duemila l’ispirazione capitiniana, l’identità aperta che dette alla Stranieri nel ’44. 

Oltre a quelli già citati, ci sono altre iniziative in programma per il centenario?

Ci sono interventi nell’edilizia. Prima di tutto lavori di sistemazione di Plazzo Gallenga, poi il restauro di una palazzina nel campus da adibire ad aule e a sale aperte alla cittadinanza. Stiamo lavorando per avere una foresteria e abbiamo un progetto di realizzazione di uno studentato con 160 posti letto, ma per realizzarlo occorrono dei partners. Siamo cioè ancora in una fase preparatoria.