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di Ida Meneghello

Chi è Modesta e che cosa ha a che fare con noi? Modesta è la protagonista de “L’arte della gioia”, romanzo favoloso scritto da una donna favolosa e presto dimenticata, Goliarda Sapienza, rimasto chiuso in una cassapanca per vent’anni e diventato un caso letterario internazionale grazie a due editrici, una tedesca e una francese, e solo nel 2008 “scoperto” dai lettori italiani.
In questi giorni a riscoprire Modesta è un film in due parti (la prima è in sala dal 30 maggio, la seconda dal 13 giugno) che si intitola come il libro, è stato presentato al festival di Cannes e diventerà una serie in 6 episodi su Sky. Ma non aspettate di vederlo in tv, perché la storia di Modesta, nata il primo giorno del 1900, non è semplicemente il feuilleton che sembra.
Lo confesso, ero prevenuta. L’idea del film in due parti che diventa una serie tv non mi appassionava; Valeria Golino alla regia non è Marco Bellocchio che fece un’operazione analoga con “Esterno notte” sul caso Moro; infine sempre dubito sull’esito delle trasposizioni cinematografiche di libri che hanno un’anima densa come ce l’ha “L’arte della gioia”.
Invece è successo, fin dalla prima scena la picciridda Modesta mi ha agganciata con i suoi grandi occhi neri, il suo corpo gracile e soprattutto la sua indomabile fame di vita e di gioia a dispetto di tutto.
Credo, anche se è un pensiero assurdo, che lo spirito di Goliarda abbia ispirato potentemente, per vie misteriose come fanno gli spiriti, lo staff degli sceneggiatori, la regista e il cast che in questo film dà corpo alle immagini che mi ero costruita nella testa leggendo il libro. Ho controllato: in molte scene i dialoghi seguono esattamente il testo, senza per questo perdere il ritmo che la ripresa cinematografica esige. E non delude la ricostruzione della storia (il film racconta solo in parte il libro), l’ambientazione e la fotografia di una Sicilia all’alba del 900 tra miseria e nobiltà, tra la degradazione della violenza estrema e l’opulenza barocca dei palazzi principeschi che evocano il Gattopardo. Tra questi estremi sopravvive rabbiosamente Modesta Spataro in lotta con i pregiudizi della sua epoca, lei non possiede nient’altro che il suo corpo e il candore di una innocenza senza colpe che neanche i delitti più feroci riescono a contaminare. Per lei non esiste un confine chiaro tra lecito e illecito, persino lo stupro e l’omicidio possono diventare occasioni per scoprire che cosa complicata sia la vita: la violenza del padre, il fuoco che appicca e incenerisce la sua infanzia, l’invidia delle suore che la accolgono in convento, le morbose attenzioni della madre superiora, l’amore di Beatrice, l’amore di Carmine, i capricci della principessa Brandiforti, la mostruosità di suo figlio Ippolito. Modesta abbraccia queste vite devastate, a cominciare dalla sua, e tutto trasforma in una sete inesauribile di conoscenza e di emancipazione, in una fame insaziabile di piacere e di gioia, un messaggio scandaloso persino oggi, a un secolo dalla nascita della sua creatrice.
Applausi al coraggio di Valeria Golino che conduce con mano sicura un viaggio che lei stessa ha definito “dall’orrore alla gioia”, ci vuole incoscienza per affrontare imprese tanto ambiziose e umiltà per portarle a buon fine. Straordinarie le interpreti, a cominciare dalla piccola Modesta e dalla protagonista Tecla Insolia che domina ogni scena con la sicurezza della grande attrice. Brava nei panni dell’ambigua badessa Jasmine Trinca, indimenticabile la principessa Gaia Brandiforti di Valeria Bruni Tedeschi, capricciosa e arrogante come tutte le principesse.
E io che sempre rischio lo sbadiglio con i film troppo lunghi (che noia l’ultima pellicola di Lanthimos!) non ho mai guardato l’orologio durante i 154 minuti della prima parte e i 162 della seconda.