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di Guido Perosino

Nel contesto socio-economico contemporaneo, la questione del lavoro emerge come un tema centrale e pervasivo, richiedendo una riforma radicale delle politiche lavorative e occupazionali. L’evoluzione delle dinamiche lavorative, passando da un’economia prevalentemente agricola a una industriale e successivamente a una digitalizzata, ha reso evidente la necessità di adattare e innovare le strutture esistenti per rispondere efficacemente alle esigenze del mondo moderno.
Le trasformazioni sono state particolarmente significative nell’ultimo secolo, con il passaggio a economie altamente tecnologiche che hanno introdotto nuovi modelli di lavoro. Tuttavia, nonostante l’avvento e la rapida espansione delle tecnologie informatiche, la transizione verso modalità di lavoro flessibili come il lavoro a distanza e l’agilità lavorativa non è stata così rapida come si potrebbe presumere.
Julian Waters-Lynch, ricercatore al Royal Melbourne Institute of Technology, esplora queste dinamiche in un dettagliato articolo su Worklife della BBC, dove traccia la storia del lavoro a distanza nei paesi avanzati e sottolinea le previsioni di Peter Drucker, che nel 1993 dichiarava obsoleto il pendolarismo grazie alle potenzialità di Internet. Drucker immaginava un mondo in cui le informazioni e il lavoro d’ufficio potevano muoversi liberamente verso le persone, piuttosto che costringere le persone a spostarsi verso il lavoro. Tuttavia, la realtà ha dimostrato che l’adozione di queste nuove modalità è stata lenta e piena di sfide.
In particolare, un sondaggio condotto da IBM nel 2014 ha rivelato che solo il 9% dei lavoratori nei paesi anglofoni lavorava da casa in qualche misura, e questo numero è cresciuto lentamente, non superando il 20% alla fine del 2019. Questi dati indicano una resistenza significativa al cambio nei modelli lavorativi tradizionali, nonostante la disponibilità delle tecnologie necessarie per supportare il lavoro a distanza.
La crescita dell’idea del lavoro a distanza può essere attribuita principalmente a quattro processi economici e sociali sviluppatisi negli ultimi anni. Un ruolo centrale è stato giocato dall’inversione del processo di concentrazione delle attività economico-produttive nelle grandi aree urbane. Le economie di scala e di agglomerazione, un tempo vantaggiose, sono ora spesso superate dagli squilibri economici che provocano, come l’aumento dei costi di affitto delle sedi aziendali e problemi di traffico che riducono la produttività.
Il settore terziario ha risentito della tendenza al decentramento, spostando l’organizzazione solo delle funzioni “alte” mentre decentra quelle di supporto e servizi. Questo ha reso il lavoro a distanza sempre più fattibile e desiderabile, soprattutto nell’economia della conoscenza, dove il decentramento incoraggia la creatività e la collaborazione.
Inoltre, il rapido sviluppo delle tecnologie dell’informazione ha facilitato la despazializzazione del lavoro, rendendo possibile lavorare da qualsiasi luogo, indipendentemente dalla presenza fisica. Questo cambiamento è supportato da una comunicazione a costi ridotti, permettendo decisioni rapide e informate a livello locale ma basate su conoscenze globali.
La ricerca continua e la crescente esigenza di flessibilità da parte delle imprese, sia in termini strategici che operativi, hanno anche spinto verso un maggior adattamento ai cambiamenti di mercato e verso forme di lavoro più flessibili e gestibili tecnologicamente.
Infine, l’emergere di nuovi bisogni individuali riguardanti sia la vita lavorativa che il tempo libero ha reso evidente il desiderio di maggiore autonomia e minor subordinazione a forme tradizionali di lavoro dipendente, così come la volontà di gestire autonomamente il proprio tempo.
Questi fattori, combinati con l’urgenza dimostrata dalla pandemia di Coronavirus nel adottare il lavoro a distanza, hanno mostrato che molte delle resistenze al lavoro agile potrebbero essere superate con un cambiamento di mentalità e l’adozione di politiche supportate dalla tecnologia.
Il dibattito sul lavoro a distanza e l’agilità lavorativa ha quindi guadagnato nuova urgenza, riflettendo su come l’adozione di modelli di lavoro più flessibili, come l’agilità lavorativa, possa offrire nuove opportunità di crescita senza perdere di vista l’importanza del contatto diretto e della collaborazione faccia a faccia. Esperti come Mariano Corso, del Politecnico di Milano, sostengono che la vera frontiera dell’agilità lavorativa non è solo l’adozione tecnologica, ma la capacità di ristrutturare le organizzazioni in modo che valorizzino pienamente i talenti e le passioni delle persone, promuovendo l’innovazione e il cambiamento.
È del tutto evidente che una tale riforma del mondo del lavoro deve prendere in considerazione l’ampio impatto socio-economico-culturale e relazionale che ne deriva al fine di realizzare una nuova strutturazione dei servizi e della società stessa. Attraverso passi successivi e una specifica programmazione anche di tipo “zonale”, è possibile mettere a terra una visione che promette grandi progressi ma che deve essere analizzata e trattata in tutta la sua complessità, come già avvenuto in molti paesi del Nord Europa, nel Regno Unito e in ampie fasce urbane e suburbane degli Stati Uniti.
In conclusione, la riforma del lavoro non è solo una questione di adattamento tecnologico, ma un profondo rinnovamento culturale che deve essere intrapreso con coraggio e innovazione, per garantire che il progresso tecnologico e i bisogni sociali vengano bilanciati armoniosamente, permettendo a tutti di beneficiare della promessa di un futuro più flessibile e accessibile.