di Sandro Allegrini
Ma sarà poi vero che Pinocchio diceva le bugie? Ho personalmente verificato: sono più numerose le bugie che mi sono sentito raccontare su Pinocchio e sul suo autore. Intanto è falso (si direbbe un eteronimo, ormai sostitutivo del nome anagrafico) il nome di Collodi, che è quello del paese natale della madre (ma lui era nato a Firenze nel 1826). In realtà l’autore si chiamava Carlo Lorenzini. Era figlio di un cuoco e di una sarta, che faceva anche la cameriera presso la famiglia Garzoni. Studiò in seminario coi padri Scolopi. Ma si rivelò tutt’altro che un virtuoso.
IL PINOCCHIO IN PERUGINO CHE PIACQUE A UMBERTO ECO
È di palmare evidenza il fatto che l’ignoranza e le bugie su Pinocchio sono anche legate alla nostra superficialità, non c’è dubbio. Perché in età adulta mi sono accorto (come è forse accaduto anche ad alcuni di voi) di non aver mai letto l’opera di Carlo Lorenzini in versione integrale, ma solo dei miseri estratti, per giunta adulterati e spogliati dell’elegante loquela toscaneggiante. Senza contare che tra Disney e le versioni porno, Pinocchio (un testo altamente generativo e scopiazzato) lo hanno tutti un po’ tradito e imbrogliato.
Partendo dal target, cominciamo col negare che sia un libro destinato a bambini e ragazzi. O almeno non solo a loro. Anche se lo scopo con cui veniva regalato era educativo, nel senso di invitare a non dire bugie, altrimenti cresce il naso. Ma il vero obiettivo siamo noi adulti, che forse diciamo bugie più maliziose, ma siamo sempre eccezionalmente indulgenti con noi stessi.
Veniamo poi al cosiddetto “bisogno di paternità” che avrebbe spinto Collodi a scrivere la vicenda del burattino senza mamma.
Carlo Lorenzini non era, come si dice, uno stinco di santo. Patriota sì e combattente nelle guerre d’indipendenza, a Curtatone e Montanara. Ma, quanto al bisogno di paternità, si tratta di sentimenti e aspettative lontanissime da lui.
Sembra, invece, che – donnaiolo impenitente, libertino gaudente! – un figlio almeno lo avesse avuto, (e il nipote parla anche di una figlia, concepita con una nobildonna fiorentina) ma si sia ben guardato dal riconoscerne la paternità.
Un articolo di una studiosa (Daniela Marceschi, responsabile dell’edizione nazionale di Carlo Lorenzini in 14 volumi. Pinocchio è il 3°, con prefazione di Mario Vargas Losa) ritrae Lorenzini come infaticabile seduttore di nobildonne fiorentine, dopo essere stato l’amante di una cantante sposata e infedele anche a lui, dalla quale sarebbe stato lasciato per gelosia (la gelosia da parte di lui).
Lorenzini fu estimatore dei pittori macchiaioli (Fattori), critico teatrale, creatore di ‘Minuzzolo’, ‘Giannettino’, ‘Occhi e naso’ e tanti altri personaggi, non solo di Pinocchio. Ma a quest’ultimo è essenzialmente legata la sua fama.
Pinocchio fu platealmente plagiato in epoca fascista con le famose pinocchiate, anche a fumetti. E, quanto all’autore, esistono delle false biografie pseudo collodiane, a lui attribuite, di Cavour, Ricasoli, Garibaldi in cui il manoscritto è novecentesco e non ottocentesco. E non è quindi farina del suo sacco.
Lorenzini fu poi giocatore d’azzardo e viveur, tanto che i proventi di una buona parte dei suoi scritti furono destinati a coprire debiti nati sul tavolo da gioco. E scrisse, spesso, spinto dal bisogno, anche se era regolarmente stipendiato dal Comune, ma spesso ridotto a chiedere denaro agli strozzini per sopperire a momentanee e impellenti necessità debitorie.
Fu inoltre membro della commissione censura: compito che assolse con diligenza; altro che libertario!
E veniamo ora alle bugie “su” Pinocchio.
Intanto ci hanno detto una balla circa il mestiere di Geppetto, sempre gabellato per falegname. Falegname è Mastro Antonio (che tutti chiamavano Ciliegia per la punta del naso paonazza, a causa di un goccetto di troppo che non disprezzava). Mastro Cerasa che di quel pezzo di legno di catasta vuol fare la gamba di un tavolo. Ma poi – egoisticamente, non per generosità, altra bugia – la cede a Geppetto, solo perché è rimasto spiazzato, sbiancato e impaurito dal fatto che il pezzo di legno, imprevedibilmente, ha parlato. E si è chiesto se il tutto sia stato frutto di traveggole o di un goccio di vino in più.
E Geppetto si dedica a fare il burattino e dunque non è falegname, ma intagliatore.
Inoltre, Mastro Geppetto non costruisce il burattino per ansia di paternità, come da qualcuno erroneamente asserito, ma perché dichiara: “Arìa penzàd de famme da me m bel burattino d legno; ma m burattino bello m bón po’, ch sa ballà, tirà de scherma e fa i salti mortale. Có stó burattino c(e) vorrìa girà l mondo p armediacce n tozz(o) d(e) pane e m bicchier de vino”. Dunque un fine egoistico, non c’è dubbio.
Poi è lui stesso a sbeffeggiare la sua creatura (altro che babo!): “Ch j mett(e)rò a nome?” disse tra de lu. “I vòj mett a nome Pinocchio. Stó nom i port(e)rà fortuna. Ò cnosciùn na famija ntera de Pinocchi: Pinocchio l babo, Pinocchia la mamma, Pinocchi i freghi e tutti s(e) la passavon bene. L più ricco d(e) lor giva cattando” (se non è sbeffeggiamento questo!).
E veniamo al presunto “bisogno d’ordine nell’Italia di fresca costituzione”. Altro che ordine! Collodi perculeggia allegramente i carabinieri in più di un’occasione: dall’arresto e carcerazione di Geppetto a quello, solo tentato, di Pinocchio, accusato di aver stordito il compagno in riva al mare col lancio di un libro. Ma Pinocchio li fa fessi e se la svigna gettandosi in mare. Poi ancora i gendarmi compaiono in burletta, e in veste di burattini, sotto il tendone di Magnafoco. Insomma: vilipendio dell’Arma, sarebbe il corretto capo d’imputazione.
Per restare, poi, alla giustizia: altra beffa al sistema e all’ordine costituito. I gendarmi “mastini”, i giudici scemi, le guardie stupide e corrotte.
Innanzi tutto il giudice, impersonato da uno scimmione, che è tutto dire. Per giunta l’ominide porta un paio di occhiali con la montatura d’oro (ironia contro le fenomenologie esteriori della giustizia: toghe, ermellini – si direbbe – per ingannare i gonzi). Ma quegli occhiali sono senza lenti (che la dicono lunga sulla giustizia cieca, esteriore, che si ammanta di forme e… poco altro) e le lacrime di coccodrillo per la giustizia mal amministrata sono assolutamente rivelatori. Il giudice scimmione, davanti alla denuncia di Pinocchio di essere stato derubato dal Gatto e dalla Volpe, lo fa arrestare, sebbene vittima del raggiro. “Alóra l giudice, cennando ta Pinocchio, j fece:
“Ta stó pòr diavlo j òn rubbato quattro monete d oro: chiappatlo e schiaffatlo m prigione!”.
Ma perfino le leggi sono fatte alla rovescia (èn fatte p i cojoni, si direbbe in perugino). Dato che Pinocchio dovette restare in carcere per quattro mesi e, al momento dell’amnistia, trattenuto perché incolpevole, si dovette dichiarare malandrino, se voleva essere liberato.
Pinocchio romanzo di formazione? Anche su questo si può nutrire qualche legittimo dubbio. Se “doventà n freghino perbene” significa rinunciare all’estro soggettivo e divergente, all’intelligenza creativa, allora è forse meglio restare un monellaccio.
Quanto alle possibili interpretazioni del romanzo, ce ne sono a iosa:
- quella spiritualistico religiosa (Geppetto-Dio creatore; avventure del burattino come metafora del viaggio di espiazione e progressiva liberazione dal male, secondo la lettura teologica del cardinale Giacomo Biffi, analisi che non piaceva a Calvino;
- Pinocchio come Divina Commedia di bambini e ragazzi.
- Ma anche interpretazione massonica (recente il volume Pinocchio ritrovato)
- Addirittura ascendenti dall’Asino d’oro di Apuleio e all’identificazione Pinocchio-Lucio (le orecchie d’asino).
- Per non parlare di Lucignolo-Lucifero, il Gatto e la Volpe come personaggi africani dei riti voodoo ed altre simili invenzioni esoteriche, come la Fata turchina=Massoneria (ma quella di Collodi massone è un’invenzione). Poi i rapporti coi pittori macchiaioli, in senso antiretorico e simili forzature… ce n’è per tutti i gusti!
Un’altra inesattezza che ci hanno sempre gabellato per vera è quella di Geppetto nella pancia della balena. In realtà, Collodi parla – sempre e inequivocabilmente – di pescecane. Da dove sia uscita la balla della balena resta un mistero (forse perché il cetaceo ha la pancia più grossa, tanto da contenere un veliero e tutto il resto?). Probabilmente c’è l’influenza di Giona e delle Sacre Scritture
E veniamo a un personaggio, ignorato nelle sintesi, che parla il linguaggio della saggezza. Mi riferisco al Tonno, cui Collodi mette in bocca una saggezza superiore e un’ironia non comune (verso la politica e l’imbroglio).
E poi i personaggi sconosciuti, come quel serpente che si para davanti a burattino e che “crèppa dal ride”.
Va poi smentito il ruolo di nullafacente di Pinocchio, che però scopre l’importanza del lavoro solo nel finale (intreccia canestri, gira il bindlo, tira carrette).
Ma Pinocchio non ha nemmeno voglia di studiare, almeno all’inizio, e costituisce un esempio da additare alla rovescia ai nostri bambini. Poi si ravvede e, non a caso, i critici parlano di “laicismo operoso”.
Quanto alla conversione di Pinocchio in bravo ragazzino, c’è chi fa riferimento anche all’ispirazione ai “doveri” mazziniani. E poi il richiamo ai viaggi di Gulliver di Swift. Insomma: di tutto un po’.
Ancora il mito del romanzo di formazione (Bildungs roman) e il fine pedagogico: che può esserci, ma non è esclusivo. Forse era più presente l’intento di educare alla libertà i ragazzi italiani di fine secolo, mettendo contemporaneamente in guardia dai rischi dell’ozio “padre d i vizi”. E l’umorismo sarebbe un modo per meglio catturare l’attenzione e meglio educare. Come nel riferimento al Paese dei Barbagianni, popolato da stupidi o furbi: nessun riferimento all’Italia d’oggi?
Oppure l’invenzione del Paese delle Api industriose, dove ognuno fa qualcosa (etica del lavoro) o al Paese dei Balocchi, popolato di nullafacenti: insomma un viaggio tra tutte le utopie possibili.
E poi l’eterno quesito: si nasce liberi o burattini? Oppure: crescere significa liberarsi dal burattino che è in noi? E… sarà un bene?
Italo Calvino ha sostenuto che Pinocchio sia un testo “generativo”, ossia in grado di fornire stimoli per una sua reinvenzione, adattamento, prosecuzione. Se ne contano a centinaia: dal Pinocchia di Stefano Benni con Angela Finocchiaro (in cui il personaggio è un cyborg-robot) a “Le avventure erotiche di Pinocchio”, genere porno soft del 1971 dello statunitense Corey Allen (un Pinocchio creato dalla fata Geppetta che lo rende vivo e poi, causa infedeltà, lo punisce trasformando la sua appendice in qualcosa di enorme, tanto che il poveretto è costretto a girare con una carretta per il trasporto o a cedere la sua proboscide come palo della cuccagna, fino al miracoloso ritorno alla fedeltà e a dimensioni robuste, ma più normali). Segatori dixit!
Una notazione sull’elemento lingua. Innanzitutto, il romanzo è frutto di una straordinaria reinvenzione della sintesi tra lingua parlata e scritta, operazione tentata con successo nell’Italia che voleva enfatizzare e celebrare l’unità nazionale. Insomma: Collodi come un Manzoni in sedicesimo, che guarda però al fine apologetico dell’unità, non alla Provvidenza
Non a caso, Fabrizio Scrivano ha parlato di un “giro di Pinocchio in ottanta mondi”, proprio per sottolineare il fatto che Pinocchio muore e rinasce continuamente sotto nuove spoglie.
Intanto Pinocchio ha molte incoerenze tra le quali il suo autore non volle mettere ordine. Un esempio: la fata chiede al falco di tagliare la corda che tiene impiccato Pinocchio alla “Cèrqua grande” e lui torna, dicendo di aver eseguito il compito “sciogliendo” la corda:
Dunque, la fune tagliata del comando e il nodo sciolto dell’esecuzione: equivoco, distrazione o diversità voluta e profonda?
E, in fondo, si può dire che Pinocchio muore nel momento in cui il burattino irresponsabile avverte l’obbligo di divenire adulto e prendere le distanze dal se stesso (“bucciotto”) di prima. Il ribelle si normalizza, l’evasione dal mondo spensierato dell’infanzia, desiderio di eternità, si misura con la realtà del mondo. Ed è comunque un risveglio: bello o brutto non si sa!
Poi le coincidenze: il costo del biglietto dello spettacolo di Magnafoco è 4 soldi, lo stesso prezzo al quale viene venduto l’abbecedario e il compenso che Collodi prendeva per ogni rigo di scrittura! E gli zecchini d’oro da seminare, quelli che restano dopo la spesa alla locanda, sono sempre 4. Solo caso o intenzione?
E ancora l’attualità di Pinocchio e il problema delle tangenti. Quando il burattino, usato come cane da guardia, si sente proporre la tangente, sbugiarda i corruttori.
Ultima questione: Pinocchio libro animalista? Certamente sì: tanti e quasi sempre positivi sono i personaggi che punteggiano le pagine del romanzo.
Forse Pinocchio, alla fine della sua avventura, potrebbe esclamare, come il replicante Roy del film Blade Runner: “Ho visto, e vissuto, cose che voi umani non potete nemmeno immaginare”.
Accostamento non tanto ardito, se pensiamo poi al valore onnicomprensivo (quasi un cyborg?) del personaggio Pinocchio che partecipa insieme ai tre “regni”: vegetale (pezzo di legno), animale (funge da cane, poi viene metamorfizzato in asino) e umano (dopo la trasformazione da burattino in bambino in carne e ossa).
Come dargli torto? Perché scopriamo che, malgrado tutto, Pinocchio non si lascia prendere per il naso! Sebbene lo avesse particolarmente lungo.
Non sarà che forse, dopo un secolo e tre decenni di vita, continua a prendere per il naso tutti noi?