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di Marcello Marcellini
Foto ©Foto Chewy su Unsplash

In Italia negli ultimi tempi la sensibilità nei confronti dei cani d’affezione è cambiata profondamente. C’è molto più amore e rispetto nei confronti dei “migliori amici dell’uomo”. E se da una parte nascono meno figli dall’altra aumenta il numero di coloro che in casa hanno un cane. Attualmente alle anagrafi canine risultano registrati oltre 13 milioni di cani. Susanna Tamaro che ne ha sempre avuti molti sostiene che questo ricorrere alla compagnia d’un cane è un fenomeno strettamente legato all’accentuarsi della solitudine in cui si vive al giorno d’oggi. All’aumentato affetto nei loro confronti si accompagna una maggiore tutela da parte delle istituzioni. Ad esempio, in Umbria la legge vieta la soppressione di un cane salvo che sia di comprovata pericolosità o affetto da una grave malattia certificata da un veterinario.
Attualmente alla Camera è stata approvata la proposta di legge dell’on. Michela Vittoria Brambilla in cui, oltre ad un aumento di pena per il maltrattamento degli animali, è anche previsto il divieto (peraltro già vigente in Umbria) di tenere il proprio cane legato alla catena. Con il rischio, in caso della sua inosservanza, di dover pagare una ammenda che va da 500 a 5000 euro. Ora si attende la decisione del Senato e se non si discosterà da quella della Camera, la proposta diverrà legge.
Nella Terni dell’Ottocento ben difficilmente i proprietari di cani avrebbero corso il pericolo di incorrere in una sanzione del genere. Allora c’era il problema inverso: troppi cani erano lasciati liberi di girare per le strade della città e per contenere il fenomeno il Comune ricorreva agli accalappiacani che espletavano il servizio accompagnati da guardie municipali con il compito di intervenire nel caso (evidentemente abbastanza frequente) che qualcuno tentasse di opporsi alla cattura degli animali. Uno di questi tentativi, per il numero dei protagonisti e per gli esiti di carattere giudiziario che ne seguirono, merita senz’altro di essere ricordato.
Tutto ebbe inizio quando il pomeriggio del 22 aprile 1888 l’accalappiatore comunale Giuseppe Orazi e le guardie municipali Costantino Venturi e Nazareno Guerra “in servizio di accalappiamento dei cani liberi in città”, passarono in via S. Angelo da Flumine provenienti da Campo Boario. Certamente l’arrivo dei tre non dovette portare buonumore nella via. L’accalappiacani, infatti, trascinava alla catena un cane da poco catturato e le due guardie, armate di sciabole e con in testa due minacciosi pennacchi sopra i larghi cappelli, allontanavano i curiosi per fare spazio e consentire il passaggio del piccolo gruppo. Era domenica e la via era animata: porte e finestre erano aperte, l’osteria era affollata e c’era un gruppo di ternani che giocava a bocce con delle palle di legno. Vi era anche un cane bianco che, ignaro del pericolo, gironzolava tranquillamente tra la gente. Apparteneva ad Amilcare Palazzoli, un falegname di 59 anni che abitava nella via, e che in quel momento si trovava a pochi passi di distanza seduto a un tavolo dell’osteria in compagnia di suo figlio Vittorio di 27 anni.
Orazi quando vide il cane non si preoccupò di chiedere a chi appartenesse e lo catturò. I guaiti della povera bestia presa al laccio furono sentiti da Francesca Carnevali detta Checca, la moglie di Amicare Palazzoli, che si precipitò in strada e gridando chiese all’accalappiacani di liberare l’animale. Orazi si rifiutò e le guardie cercarono senza troppi riguardi di allontanare la donna. Ma molte persone che erano nella via si avvicinarono e presero le sue difese. Un giovane calzolaio di nome Paolo Mari inveì contro le guardie chiamandole “brutti assassini e vigliacchi”. Richiamati dalle grida accorsero anche i due Palazzoli che chiesero ripetutamente all’Orazi di lasciare libero il loro cane, ma siccome quello non mollava allora afferrarono la corda con cui era legato l’animale e la tirarono con forza per cercare di liberarlo. Subito le due guardie si mossero per intervennero contro i Palazzoli ma si trovarono circondate da una ventina di persone che coprendole di insulti cominciarono a tirare loro addosso sassi e qualsiasi cosa fosse a portata di meno, comprese le bocce di legno. Un muratore di trent’anni, certo Fortunato Antonini, afferrò per il collo la guardia Costantino Venturi cercando di strozzarlo. L’altra guardia sguainò la sciabola e menando “piattonate” sulla schiena dell’Antonini riuscì liberare il compagno. Mentre tutto ciò avveniva la corda tirata con tutta la forza dai due Palazzoli si ruppe e il cane scappò via. Anche l’altro cane riuscì a liberarsi e a darsi alla fuga. A sua volta l’accalappiatore, vista la mala parata, non ci pensò due volte e pure lui se la diede a gambe, ma fu raggiunto, sbattuto contro un muro e preso a pugni. Intanto le guardie riuscirono ad avere la meglio su Antonini e, dopo averlo immobilizzato, si fecero largo con le sciabole dirigendosi con l’arrestato verso la vicina caserma di via dell’Annunziata. Ma durante il percorso dovettero passare tra una folla inferocita che cercava di liberare l’Antonini. Uno sconosciuto con un coltello ferì alla mano sinistra la guardia Venturi mentre al suo compagno Guerra veniva stracciata la giubba e sottratto il cappello compreso il pennacchio. Finalmente seppure malconci i due riuscirono ad arrivare alla caserma e a consegnare l’Antonini ad un sergente di cavalleria. Dopo qualche ora tornarono in via S. Angelo con i rinforzi e arrestarono il giovane calzolaio che fu trovato nell’osteria.
Fortunato Antonini, Paolo Mari, Amilcare e Vittorio Palazzoli furono accusati di ribellione e rinviati a giudizio dinanzi al Tribunale di Spoleto che il 10 agosto 1988 condannò il primo a otto mesi di carcere e gli altri a tre e due mesi.
I cani per loro fortuna restarono… latitanti.