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di Sud
Foto ©Enzyklofant/Wikicommons

Da Omero fino a Melville, Conrad e Hemingway il mare è sempre stato una miniera di storie e leggende. Una delle più inquietanti è quella del calamaro gigante. Pare sia nata nel Seicento tra i marinai scandinavi, che lo chiamarono kraken. Poi, nel 1861, una corvetta francese, al largo delle Canarie, ne avvistò uno e tentò di catturarlo. L’avevano quasi tirato a bordo, ma il mostro di sei metri si divincolò e sulla nave rimase solo una pinna di 16 chili.

Qualche anno dopo Julius Verne, che per contratto doveva scrivere tre romanzi l’anno ed era a corto di idee, ricordò la notizia e ne uscì uno degli episodi celebri di Ventimila leghe sotto i mari. «Davanti ai miei occhi apparve un mostro orribile, degno di essere raffigurato nelle leggende del fantastico». Il Mesonychoteuthis hamiltoni fu classificato solo nel 1925; il più grande esemplare conosciuto è in un museo neozelandese e pesa 495 chili.

Novembre è un mese ottimo per i calamari del mediterraneo. Lasciate stare quelli giganti e optate per quelli intorno al chilo, freschi ovviamente. Sono un po’ cari, ma una volta ogni tanto una bella frittura riconcilia col mondo. Farla in casa è facile; il calamaro fresco lo riconoscete (oltre che dal prezzo) dall’odore: mare, non ammoniaca; e dalla consistenza soda. Buone forbici, farina di semola, tanto olio bollente, poco affollamento e pochi minuti.

Al ristorante è più difficile. Se il cuoco vi dice che li ha freschi, potete accertarvi che non menta con un trucco. Non ordinate subito la frittura e chiedete di portarvene uno crudo, tagliato a listerelle con poco sale, olio e limone. Se è veramente fresco lo troverete profumato, sodo e allo stesso tempo tenero, né sfatto né gommoso. Solo allora, fatti i complimenti al cuoco, direte che vi è venuta una voglia irrefrenabile di frittura.