di Gabriella Mecucci
E’ una mattina ventosa quando un gruppo di una ventina di persone si raduna intorno ad una quercia piantata nel Giardino dei Giusti di San Matteo degli Armeni. Quell’albero, simbolo di forza e resistenza, è dedicato alla memoria di Laura Santi. Ad celebrarla ci sono fra gli altri , oltre a suo marito Stefano Massoli, la sindaca di Perugia Vittoria Ferdinandi, il vicesindaco Marco Pierini, l’assessore David Grohmann, Marco Cappato e Ilaria Borletti Buitoni che quella cerimonia l’ha fortemente voluta. A promuoverla è stata WeThree, un’associazione di cui è fra le fondatrici, che pianta alberi in tutta il paese per ricordare donne che hanno fatto molto per i diritti, per la cultura, per l’inclusione.
Onorare Laura Santi significa impegnarsi perché in Italia ci sia una legge giusta sul fine vita e non quella presentata dal governo. Poche, commosse parole di omaggio. Ilaria Borletti, davanti alla “quercia di Laura”, prende un impegno da tutti condiviso: “Una cattiva legge è peggio che nessuna legge”. E di questo parliamo nell’intervista con Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni di cui a giorni si svolgerà il congresso.
Cappato a che punto è la legge? Perché l’avete bersagliata di critiche?
“Facciamo una premessa: in Italia l’aiuto medico alla morte volontaria è già legale da sei anni. E lo è anche la rinuncia alle terapie se richiesta dal paziente, così come il testamento biologico. Tutto questo è dovuto alle sentenze della Corte Costituzionale. Si può dire tranquillamente che dal punto di vista normativo l’Italia è in una condizione abbastanza avanzata”.
E allora qual è il problema?
“Nei primi tre anni che hanno seguito la decisione della Corte Costituzionale, nessuno ha potuto però accedere alla morte volontaria. Più di recente le cose hanno iniziato a cambiare abbastanza velocemente: sono state infatti autorizzate dalle Asl ben 16 persone. Due Regioni (Sardegna e Toscana) hanno inoltre approvato provvedimenti sulla base dei quali i richiedenti potrebbero ottenere il permesso entro un mese, senza dover attendere, come Laura, tempi lunghissimi: a lei sono occorsi due anni e otto mesi. La situazione è quindi in movimento. Ed è per questo che il governo si è mosso affrettandosi a presentare un progetto di legge”.
Perché Laura ha dovuto attendere un anno e otto mesi?
“Premetto che la Corte Costituzionale ha fatto tre sentenze e ha fornito quattro criteri di giudizio per concedere l’autorizzazione: lucidità, patologia irreversibile, sofferenza insopportabile, malato tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale. L’interpretazione di quest’ultima condizione era molto discussa e si pensava che volesse indicare una totale dipendenza dalle macchine. Laura Santi non rientrava in questa fattispecie e quindi non fu giudicata idonea. Nel frattempo però la Corte Costituzionale ne ha esplicitato il significato. Ha spiegato cioè che una persona totalmente dipendente da terzi e che, se lasciata a se stessa, morirebbe in tempi molto bravi, può essere autorizzata anche se non è dipendente dalle macchine. Solo dopo questa ulteriore spiegazione, a Laura è stato concesso il permesso”.
E se il malato non è lucido?
“Allora scatta un’altra fattispecie quella del testamento biologico. Se questo non c’è, è possibile un’indicazione dell’amministratore di sostegno, e, in alcuni casi in cui l’accanimento fosse plateale, la parola potrebbe passare al medico”.
Due regioni: la Sardegna e la Toscana hanno approvato una legge. In Umbria è stata presentata. Che ne sarà?
“Sui due provvedimenti in questione, impugnati dal governo, dovrà pronunciarsi la Corte Costituzionale. Queste leggi non dicono nulla di nuovo. Si tratta di norme meramente attuative e procedurali, che rendono però molto più rapidi i tempi. Se ci sarà un giudizio positivo della Corte anche il percorso della legge umbra sarà in discesa.
Prima dell’estate il governo ha presentato una legge che voi avete criticato. Ripeto la domanda iniziale, perché?
“Questo testo ha come unico obiettivo, anche se non esplicitato, quello di cancellare l’accesso al diritto stabilito dalla Corte Costituzionale. La legge infatti restringe drasticamente la platea degli aventi diritto concedendolo ai soli attaccati alle macchine, mentre la sentenza dell’Alta Corte, parlando di soggetti tenuti in vita da trattamenti di sostegno vitale, è – come ho già detto – meno restrittiva.
C’è poi un secondo problema. Il testo governativo annienta il ruolo della sanità pubblica: toglie cioè alle Asl il potere di concedere l’autorizzazione e lo sposta su un comitato di nomina politica. Si bypassano così le Regioni e i medici a vantaggio di una sorta di comitato di bioetica bis a cui spetta l’ultima parola. Infine, la norma del governo parla della possibilità di concedere il permesso solo ai pazienti che abbiano una gravissima sofferenza fisica e psichica, mente la sentenza menzionava la sofferenza fisica o psichica: rendeva cioè sufficiente o l’una o l’altra. Il combinato disposto di queste misure praticamente distrugge il diritto sancito dalla Corte Costituzionale”.
Poi c’è il problema delle cure palliative…
“E’ un’altra trovata per ridurre la platea degli aventi diritto. Oltre alla condizione di essere attaccati alle macchine, si aggiunge che i richiedenti dovrebbero essere sottoposti anche a cure palliative, introducendo così una sorta di trattamento sanitario obbligatorio anche per chi vi volesse rinunciare perchè sarebbero a scapito della lucidità. Insomma, tutto quello che si può fare per impedire o ritardare l’autorizzazione, il testo del governo lo fa”.
Quindi sarebbe meglio che questa legge non fosse approvata?
Se resta così com’è, certamente sì