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di Giampaolo Bucaneve*

Tutti i sondaggi attestano che il tema più importante per gli elettori umbri è la sanità. Francesco Menichetti ha aperto la discussione con un’analisi circostanziata di ciò che non va e di cosa si dovrebbe fare per migliorare il funzionamento del sistema sanitario. Ospitiamo ora sull’argomento un intervento di Giampaolo Bucaneve. La nostra rivista è molto interessata a sviluppare un dibattito su questo tema.

L’avvicinarsi delle prossime elezioni regionali dà occasione per una ripresa della discussione sull’attuale crisi del nostro Servizio Sanitario Nazionale e Regionale. Due sono i punti su cui vorrei intervenire.

Le criticità che interessano gli aspetti organizzativi del Sistema Sanitario Nazionale
Parlando di sanità, molta è l’attenzione che oggi viene rivolta alle questioni che interessano il funzionamento del Servizio Sanitario Nazionale e, più in particolare, la così detta appropriatezza organizzativa, cioè quanto attiene alla modalità con la quale il Servizio Sanitario Nazionale eroga gli interventi e le prestazioni sanitarie. Queste ultime, secondo il Ministero della Salute, “…devono essere eseguite in contesti idonei e congruenti, per quantità di risorse impiegate, con le caratteristiche di complessità degli interventi da compiere e con le condizioni cliniche del paziente…”.
Perseguire l’appropriatezza organizzativa è sicuramente una condizione imprescindibile per la sostenibilità ed il risanamento del Servizio Sanitario Nazionale e Regionale.
Di fatto, la definizione dei principi su cui fondare le priorità, la scelta dello standard organizzativo e la disponibilità delle risorse oltre che la loro corretta utilizzazione sono questioni fondamentali da affrontare a livello nazionale e regionale per il governo della sanità, rappresentando nel contempo una sfida per la messa in atto del cambio di passo che è necessario a risolvere le criticità dell’attuale momento.
Tuttavia il perseguire l’appropriatezza organizzativa non può prescindere dal considerare una serie di fattori che rappresentano anche delle criticità da affrontare sia per il governo nazionale che per quello regionale:
i modelli organizzativi oggi proposti a livello internazionale, in termini di efficienza, efficacia e costo-efficacia, nella maggior parte dei casi, sono supportati da evidenze molto limitate e sono scarsamente generalizzabili. Questo rende più complessa la scelta predefinita di uno standard organizzativo da applicare in tutte le possibili realtà;
dal punto di vista organizzativo, pur essendo relativamente facile identificare da una parte gli interventi sanitari futili/inutili, dall’altra quelli indispensabili (p.e. LEA), risulta decisamente più complesso stabilire il modo appropriato di applicare le innumerevoli tecnologie (strumentali e farmacologiche) che oggi congestionano il mercato della salute e per le quali spesso non è stabilito in modo chiaro la indicazione clinica e lo stesso profilo di efficacia. Questa condizione di relativa incertezza se non correttamente gestita (p.e. favorendo atteggiamenti selettivi guidati da una ragionata cautela ovvero attivi ma fondati su un approccio di tipo “sperimentale”) può favorire di per sè un ingiustificato incremento dell’offerta di prestazioni potenzialmente inefficaci che genera un inutile dispendio di risorse;
l’appropriatezza organizzativa è fortemente dipendente dalla disponibilità di risorse economiche erogate alle regioni (che è soggetta a variazioni in base alla situazione economica del paese) e, nello stesso tempo, dalla altrettanto importante capacità di gestirle a livello locale. Dato che il sistema di erogazione dei fondi sanitari nazionali è prevalentemente basato sul sistema capitario, in particolare per le regioni italiane a bassa intensità abitativa, ciò impone una inevitabile razionalizzazione (non razionamento) degli interventi che, sulla base di progettualità trasparenti, dovrebbero essere improntati al raggiungimento del più alto rapporto beneficio/costo e, comunque, sempre in linea con i principi di universalità, eguaglianza ed equità.

Va considerato che, cercare di risolvere l’attuale crisi sanitaria privilegiando solo la dimensione organizzativa/economica può condurre , in modo distorto, al rischio di lasciare questa materia al solo interesse dell’area amministrativo/politica limitando/escludendo il coinvolgimento della componente sanitaria (gli operatori) che, portata maggiormente a valorizzare gli aspetti sanitari e “clinici”, può invece rappresentare un naturale contrappeso al prevalere esclusivo della “governance” politica.
La mancanza di contrappesi, favorisce soluzioni distorte rivolte alla correzione esclusiva di parametri organizzativi quantitativi di efficienza (vedi i recenti provvedimenti sull’accorciamento delle liste di attesa attraverso l’aumento degli accessi) piuttosto che ad interventi strutturali basati sul miglioramento dei parametri qualitativi (p.e. accorciamento delle liste di attesa attraverso la riduzione della richiesta inappropriata di esami).

Il coinvolgimento degli operatori sanitari e dei cittadini
Ritengo che un risanamento del Servizio Sanitario Nazionale non possa avvenire pienamente senza un maggiore coinvolgimento degli operatori sanitari e degli stessi cittadini i quali devono essere più consapevoli e attivi nella difesa della Sanità Pubblica contribuendo anche ad indirizzare le scelte della stessa politica.
Per gli operatori sanitari questo coinvolgimento può concretizzarsi in vario modo.
Nell’esercizio della propria attività professionale garantendo che ogni loro intervento sia improntato alla efficacia provata da evidenze scientifiche, prescritto al paziente “giusto”, nel momento giusto, e per una giusta durata e caratterizzato da un rapporto beneficio/rischio/costo più favorevole per il Servizio Sanitario.
Può essere rinnovato all’interno della realtà lavorativa nei confronti delle direzioni aziendali e/o dello stesso governo regionale per supportare e raccomandare lo sviluppo di programmi sanitari basati sulle evidenze scientifiche e tesi al miglioramento qualitativo degli stessi standard assistenziali locali.
Allo stesso tempo, gli operatori sanitari, in modo collettivo, attraverso le loro società scientifiche e le organizzazioni sindacali posso esercitare pressione sul governo nazionale/regionale fornendo ancora indirizzi per la definizione delle priorità e delle modalità di attuazione degli interventi sanitari necessari al risanamento. A questo proposito può valere quale esempio quanto accaduto recentemente nel Regno Unito (con il quale condividiamo la tipologia di organizzazione sanitaria) ove le principali società scientifiche mediche, in un documento comune indirizzato al governo nazionale, hanno delineato le azioni chiave e prioritarie ritenute essenziali per mitigare la attuale crisi del loro Sistema Sanitario Nazionale.
Purtroppo, tra gli operatori sanitari, in particolare per coloro che operano nel servizio sanitario pubblico, sono molte le ragioni (alcune più giustificabili di altre) che oggi si interpongono al raggiungimento di questo coinvolgimento e che possono essere così sintetizzate:
l’esistenza di un diffuso disagio e demotivazione associati ad una disaffezione nei confronti del Servizio Sanitario Nazionale che è una conseguenza della perdita del ruolo sociale, della scarsa valorizzazione della competenza e della qualità professionale, del progressivo aumento dei carichi di lavoro dovuto alla carenza di personale, della perdita del potere di acquisto dei salari per il mancato rinnovo dei contratti, dell’eccessiva burocratizzazione delle attività mediche, del persistente senso di straniamento professionale (“burnout”) che ha seguito la Pandemia, dell’elevato numero di cause giudiziarie e di atti di violenza ricevuti da parte dei pazienti;
la presenza di spinte corporative e la persistenza di comportamenti ambigui nei confronti della medicina privata;
la persistenza di conflitti di interesse nei confronti dell’industria impegnata nel settore sanitario (p.e. industria farmaceutica).

Insieme a quella dei sanitari è necessaria anche un’altrettanto consapevole partecipazione dei cittadini il cui contributo è determinante per ridurre la pressione esercitata sul Servizio Sanitario Nazionale dall’ eccedenza di richieste di prestazioni non appropriate (in termini di indicazione e tempi di esecuzione).
La figura dei cittadini all’interno del Sistema Sanitario Nazionale ha subito un progressivo cambio di ruolo negli ultimi 60 anni.
Fino agli anni 90, in qualità di pazienti, i cittadini sono stati considerati semplici fruitori del servizi sanitario. A partire dal 1992 , con l’approvazione del DLGS 502/92, il cosiddetto decreto legislativo sulla aziendalizzazione, si sono trasformati in utenti assumendo attraverso le proprie organizzazioni di rappresentanza un ruolo autonomo e paritetico rispetto alle altre figure operanti nell’ambito del servizio sanitario. Dal 2000 con l’affermarsi dell’idea che, anche ai fini della sostenibilità, la partecipazione (“empowerment”) dei cittadini sia determinante nel valorizzare l’efficacia delle cure e l’equità nell’uso delle risorse, i cittadini sono stati sempre più attivamente coinvolti (come singoli e come organizzazioni) nelle decisioni che interessano la pianificazione e la gestione dei servizi per la salute.
Questa nuova situazione richiede al cittadino di affrontare le questioni legate alla Sanità in modo più responsabile rifuggendo da una visione individualistica a favore di una visione collettiva e solidaristica.
Infatti è alto il rischio che, in assenza di una conoscenza del concetto di appropriatezza, in presenza di una invasiva e tendenziale disinformazione mediatica, e seguendo false credenze di una medicina onnipotente capace di risolvere qualsiasi problema di salute, il cittadino si trasformi in un semplice consumatore pretenzioso di servizi e prestazioni sanitarie che, quando non necessarie, contribuiscono solo ad aumentare il congestionamento delle attività dello stesso servizio sanitario (p.e. lista di attesa) riducendone la qualità ed aumentandone i costi economici.

In conclusione, è evidente che affrontare l’attuale situazione di crisi sanitaria esclusivamente come un confronto-scontro tra sanità pubblica e privata risulta fuorviante e semplicistico a patto che il persistere di questo dualismo non conduca a mettere in discussione l’esistenza stessa del Servizio Sanitario Nazionale pubblico, attraverso un processo di parziale (p.e. impostazione di un sistema a due velocità di risposta la più lenta delle quali viene affidata alla componente pubblica) o totale modifica con il ritorno ad un sistema mutualistico- assicurativo.
Il Servizio Sanitario Nazionale/Regionale pubblico rappresenta l’unica tipologia di governo sanitario possibile per garantire il diritto costituzionale alla salute e per tale ragione la soluzione dell’attuale crisi non può che avvenire attraverso un suo risanamento e non attraverso un suo stravolgimento (totale o parziale) o rinuncia.
In questo contesto scelte illuminate della “governance” politica nazionale/regionale possono contribuire a dare nuove motivazioni e stimoli. E’ infatti essenziale che, oggi, la sfera della Politica, senza ambiguità e tentennamenti, assuma una chiara e decisa posizione in difesa della Sanità Pubblica. Da una parte, operando per sostenere con adeguati investimenti le attività del Servizio Pubblico e proteggendo le professionalità che in essa operano e, dall’altra, senza ambiguità ed ammiccamenti, agendo per persuadere gli stessi cittadini ad indirizzare correttamente le loro richieste di salute evitando condizionamenti.

*responsabile del Centro regionale di Farmacovigilanza