di Gabriella Mecucci
Che cosa vuol dire mettere la bandiera della pace accanto a quella dell’Europa nella manifestazione di Roma? E’ questa la proposta di Vittoria Ferdinandi che peraltro ha il merito di aver aderito subito all’iniziativa proposta da Michele Serra. Due sono le possibile interpretazioni del gesto e mi piacerebbe che fosse chiaro quale delle due è la prescelta. Che si sciogliesse ogni possibile ambiguità che pure più di una volta ha percorso il pacifismo.
Bandiera della pace vuol dire che abbandoneremo l’Ucraina alla sua sorte, che l’Unione europea non metterà in piedi nessun esercito per difendersi dalla feroce aggressività russa e dal vigliacco tradimento di Trump? Vuol dire che i confini polacchi non verranno protetti da nessuno se non dai suoi patrioti? Vuol dire insomma che l’Europa non esiste più, che “ciascun per sé e Dio per tutti”, come recita l’adagio popolare? E non si risponda con la litania che deve scendere in campo la diplomazia, perché ora le trattive fra Ucraina e Usa sono in corso. Se non spalleggiamo la prima anche rafforzandola col progetto di difesa europea, la consegniamo al secondo e ad un autocrate feroce come Putin. Avrebbe, tutto sommato, ragione Matteo Salvini? Ma questo non è pacifismo e nemmeno essere super partes, significa prendere parte e dalla parte sbagliata.
Aveva ragione Churchill quando, dopo l’appeasement di Monaco con Hitler, disse: “Potevamo scegliere fra il disonore e la guerra. Abbiamo scelto il disonore e avremo anche la guerra”. Così fu. Ma una scelta che non prenda parte sarebbe in contraddizione persino col messaggio di Aldo Capitini che, pur non partecipando alla Resistenza, accettò che i suoi allievi prendessero il fucile per difendere l’Italia. E poi se vogliamo parlare di nonviolenza, un vero nonviolento, andrebbe a manifestare prima di tutto a Mosca con la bandiera della pace, come fece più volte Marco Pannella, rischiando il carcere sovietico. La nonviolenza non è uno sventolamento di bandiere a Piazza del Popolo, ma un impegno continuo: anzi Capitini ne scrisse una sorta di decalogo che varrebbe la pena rileggersi.
Ma tutta l’argomentazione che ho sopra esposto non avrebbe senso se la presenza della bandiera multicolore venisse interpretata come un segnale della volontà di pace e insieme di libertà e di democrazia. E quindi in pieno accordo con quanto affermato da Romano Prodi che in sintesi ha detto: non possiamo abbandonare l’Ucraina, non possiamo accettare l’aggressività di Putin e l’arroganza di Trump. Dobbiamo difenderci perché l’Europa è l’unica potenza a vigilare veramente sulla libertà e sulla democrazia. La creazione di una difesa europea, che preveda pure il riarmo – è questa la parola usata da Prodi – deve essere messa in atto a partire da subito, rafforzando anche gli eserciti nazionali, se vogliamo farcela. L’esercito europeo sarebbe uno straordinario deterrente contro la guerra. Cito ancora Prodi: “Quando la Russia ha invaso l’Ucraina ho detto subito che non sarebbe accaduto se ci fosse stata una vera difesa europea”. Queste le parole dell’ex presidente dell’Unione, a cui aggiungo un’osservazione personale: la pace è stata garantita per ottanta anni grazie alla vittoria contro il nazismo e al forte esercito della Nato che oggi Trump vuol abbandonare.
Si deve scomodare un leader ultraottantenne, che è apparso in televisione stanco ma ancora straordinariamente vitale e intelligente, per dirci qual è il nostro dovere? Ben venga, ma almeno ascoltiamolo. Sono sicura che Vittoria Ferdinandi lo faccia, che condivida la sostanza del suo pensiero e che la bandiera della pace non rappresenti una volontà di resa e di abbandono, ma di lotta al fianco di chi resiste contro i minacciosi tentativi antidemocratici. Al fianco di chi costruisce tutti i deterrenti possibili. Perchè non c’è pace senza giustizia e senza democrazia.