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di Ruggero Ranieri

Pregi, e limiti dell’Indagine – L’Aur ci restituisce una fotografia di Perugia molto utile per riflettere in questa fase di transizione post-elettorale*. In passato quasi mai si erano puntati i riflettori dell’indagine socio-economica sulla città capoluogo, collocandola indistintamente all’interno del quadro regionale. Ma Perugia è sì in Umbria, ma non può essere omologata al resto della Regione. Gli stessi paragoni fra l’economia perugina e quella umbra aiutano fino a un certo punto; il paragone dovrebbe essere effettuato, se mai, con le altre realtà urbane regionali che sono due: Terni e Foligno. Utili invece le classifiche che posizionano Perugia nella graduatoria dei 109 capoluoghi di provincia e quelle esercitate su un campione di 26 città italiane. Rimane una ultima complicazione: quando si parla del Comune di Perugia, si parla di una estensione territoriale notevole, pari a 450 kmq, tra le più grandi e le più densamente popolate in Italia, che si compone, oltre che di un centro urbano, di molte medio-piccole frazioni urbanizzate. Nel complesso siamo di fronte a un agglomerato che, se aggiungessimo ai suoi 160.000 abitanti gli altri sistemi urbani contigui come Corciano (21.000 ab.), Bastia (21.000 abitanti), Torgiano (7.000), supera ampiamente i 200.000 abitanti, raggiungendo la dimensione di una città metropolitana.

Chi ci abita e quanti siamo? In qualche modo sorprende positivamente che il numero degli abitanti non sia diminuito, in netta controtendenza con il complesso della Regione che, a partire dal 2013, ne sta perdendo molti. Ciò è dovuto in gran parte alla presenza di una ampia coorte di residenti stranieri, oltre 21.000, che coprono il 13% della popolazione del Comune, una delle più alte percentuali in Italia. Perugia, insomma, è un hub di accoglienza, con un quarto degli stranieri residenti di tutta la regione, Non va dimenticato, però, che neppure con gli apporti delle tante comunità straniere insediate nel nostro comune (è straordinario notare quante ve ne siano rappresentate con numeri abbastanza significativi, a partire dalle più numerose, la rumena e l’albanese) l’equilibrio e la tenuta demografica siano garantite. Infatti, nonostante che gli stranieri siano mediamente più giovani, il saldo naturale rimane negativo e la popolazione nel suo insieme tende progressivamente a invecchiare.

Una città universitaria. Un altro aspetto positivo è il livello di istruzione della popolazione del Comune, che, confrontata con il resto della Regione, mostra un numero più alto di laureati e diplomati, un minor numero di persone con bassi livelli di istruzione. Un buon livello di scolarizzazione, quindi, fino a una popolazione universitaria che recupera consistenza negli ultimi anni, superando la grave crisi del post-Meredith, pur rimanendo lontana dai livelli raggiunti nei primi anni del nuovo millennio. Ci sono oggi, infatti, meno di 30.000 studenti iscritti a tutti i corsi contro i 38/40.000 di quegli anni. Perugia, quindi, attrae studenti, oltre la metà del totale; molti provengono dalle regioni meridionali, altri dalle regioni limitrofe del Centro e dal resto dell’Umbria. Nello stesso tempo ne perde, se è vero che circa il 20% dei suoi studenti residenti sceglie altre sedi universitarie, da Bologna, a Roma, a Firenze e Milano (e una piccola coorte all’estero). Inoltre, una volta formati, non li trattiene, in quanto molti lasciano la città e la regione per cercare lavoro altrove. Per questo siamo in fondo alle classifiche: quasi tutte le città universitarie italiane hanno, invece, un saldo positivo.

Un’economia di servizi senza eccellenze. Il basso tasso di assorbimento di laureati da parte del settore produttivo è il sintomo di scarso dinamismo e forse anche di un dialogo difficile fra il sistema economico e il resto della città, se è vero che molte imprese non trovano le specializzazioni di cui hanno bisogno. L’economia di Perugia è ormai prevalentemente una economia di servizi, per il 77% degli occupati e non è più come una volta una città industriale e manifatturiera. In questo c’è un processo naturale: un’area urbana avanzata tende a terziarizzarsi sempre di più e nello stesso tempo a qualificare la propria offerta di servizi. Avviene questo a Perugia?
Molte delle attività di servizi censite sono quelle tradizionali, come il commercio, la ristorazione; altre, come le costruzioni, fanno parte del modello di cementificare il più possibile a traino della spesa pubblica. Ci sono, è vero, dei settori promettenti (attività professionali, comunicazione, finanza, assicurazione) dove Perugia primeggia almeno a livello regionale. La loro incidenza sul totale degli occupati non è altissima, intorno al 25-30%, ma potrebbe essersi evoluta in senso positivo (aiuterebbe a capirlo una statistica della bilancia commerciale dei servizi). Ma le note negative vengono valutando il complesso delle attività produttive: vi sono 15.775 unità aziendali, 94% delle quali impiegano da 0 a 9 addetti, solo il 5% da 10 a 49; le categorie superiori sono molto esigue numericamente, anche se contribuiscono alle esportazioni dal Comune (vedi settore moda/tessile). La polverizzazione, lo dicono tutte le analisi sull’economia italiana, non può che essere segno di scarsa efficienza, bassa produttività, difficoltà estrema a crescere.
Economia debole, quindi? Fino a un certo punto, se valutiamo i redditi e i consumi. Questi si mantengono a livelli accettabili, collocando Perugia al 61° posto per reddito imponibile dei contribuenti fra i capoluoghi di provincia, grazie a un buon tasso di occupazione, a prezzi più bassi che in altre città italiane, per esempio per la casa, a un forte contributo delle pensioni sul reddito. I disoccupati esistono, le fasce in situazione di povertà non mancano, ma non costituiscono un problema esplosivo. La situazione è quindi stabile (o stagnante), certo non dinamica e di grandi prospettive.

Turismo: non a livello delle sue potenzialità. In questo ambito si inserisce il turismo che a Perugia è cresciuto nell’ultima fase post-Covid a ritmi più alti che nel complesso dell’Umbria, dove pure è ha registrato una crescita. Ha superato i livelli del 2019, si riavvicina alla stagione più gloriosa dell’inizio del millennio, ma rimane ancora, nonostante gli eccessi di trionfalismo di molti media, un motore debole. Infatti gli arrivi e le presenze sono stagionalizzate, lasciando molti mesi scoperti (e qui si potrebbe intervenire, come si è fatto in passato, con mostre ed eventi mirati), è poco attraente per gli stranieri, molto meno delle altre località italiane, e rimane un turismo di breve durata. Perugia, nonostante le sue grandi attrazioni e altre che potrebbe vantare e non valorizza, rimane nettamente dietro ad Assisi. Se il turismo ha ben funzionato negli ultimi anni, molto si deve al proliferare delle strutture extra-alberghiere, in primo luogo agriturismi, country houses, che sono disseminate nel Comune e nella Regione

Perugia: il regno dell’automobile – Ostacoli al turismo vengono anche da una situazione di comunicazioni inefficiente e da un sistema carente di trasporti pubblici, testimoniato da un livello di soddisfazione dei cittadini fra i più bassi d’Italia. L’uso dell’automobile è quindi pervasivo e va intasare una rete viaria immaginata per flussi molto più contenuti. Ogni giorno si spostano nel Comune oltre 60.000 persone, di cui 45000 al suo interno. Le grandi discussioni odierne sul Nodo e sul Nodino non fanno che certificare un’impasse: si è puntato quasi tutto sulla rete stradale, e oggi ci si trova in un imbuto da cui sembra non si riesca a uscire che con ulteriori massicci investimenti che certo non migliorano l’ambiente. D’altro canto si è puntato poco e male sulla rete del trasporto locale con soluzioni parziali, per esempio il mini-metro, che non hanno costituito una vera svolta. Sarebbe occorso, a partire dagli anni 1970 (quelli delle prime scale mobili) un grande sforzo di immaginazione e pianificazione e una azione continua, che invece è mancata.

Le speranze del PNRR – Oggi gli investimenti pubblici sono rilanciati soprattutto dal PNRR, risorse già stanziate che devono essere spese entro il 2026. Sono in corso di attuazione 55 progetti per 200 milioni di euro, una somma non trascurabile a disposizione dell’amministrazione comunale. Due progetti ne assorbono una gran parte: il BRT, Bus Rapid Transit, per 111 milioni, che dovrebbe connettere Castel del Piano con Fontivegge passando per l’Ospedale e sulla cui utilità e efficienza sono stati espressi molti dubbi, e un articolato progetto di rigenerazione urbana di Ponte S. Giovanni per 40 milioni. Sono previsti, poi, molti altri progetti di minore entità nell’ambito della assistenza sociale, delle piccole infrastrutture, dell’edilizia scolastica.

Percezioni dei cittadini. I perugini sono moderatamente soddisfatti della loro città, pur constatandone il peggioramento. Non ci sono indici troppo negativi, ma neppure molti positivi. Un buon livello di soddisfazione si registra sia per quanto riguarda gli spazi verdi della città, che in effetti non mancano, anche se sulla qualità della loro manutenzione ci sarebbe da discutere, sia sulla sua offerta culturale, percepita come abbastanza ricca. In quanto a densità di istituzioni, musei, gallerie ed eventi Perugia raggiunge i primi posti nelle classifiche nazionali, anche se si avverte l’assenza di un coordinamento e si va in ordine sparso. I massimi livelli di insoddisfazione dei cittadini riguardano, invece, non solo tutto il capitolo dei trasporti pubblici, e dei mezzi alternativi all’automobile privata, ma anche la sicurezza e la sanità, quest’ultima una volta vanto dell’Umbria e oggi in clamorosa caduta. La sicurezza è stato a lungo un problema agitato a livello di opinione pubblica e di amministrazione e ci sono cifre che sembrano certificare un miglioramento durante gli anni (2014-2023) dell’amministrazione Romizi. Oggi, a che punto siamo? Solo il 35% dei perugini dichiara di sentirsi sicuro a camminare da solo di notte, una percentuale simile a quella di Roma e di Firenze, migliore di quella di Milano, ma molto peggiore di tante altre città italiane, da Verona, a Torino ad Ancona, alla stessa Napoli.

Non c’è da essere contenti. Parlando di Perugia nella stagione del 2003 la avevo definita una piccola metropoli di serie B, e mettevo in risalto come non avesse chiara vocazione, né grande città d’arte e eccellenza universitaria e culturale, né centro produttivo di primo livello, né prestigioso centro amministrativo e dirigenziale. E tuttavia, sottolineavo, avrebbe potuto aspirare a tutte e tre queste funzioni, magari mettendole in ordine di preferenza. Oggi dopo la slavina della crisi finanziaria e produttiva del 2008-2014, quella più recente del Covid, le ambizioni di Perugia sono necessariamente ridimensionate. Ma niente le vieta di aspirare ancora a affermarsi come grande città d’arte, né a migliorare la qualità dei servizi e delle aziende che li forniscono esercitando seriamente il ruolo di capoluogo. Per il momento siamo sopravvissuti alla meglio. Il fatto positivo è che le difficoltà affrontate sembra abbiano accresciuto nella comunità la percezione delle sfide aperte.

* Agenzia Umbra Ricerche, Perugia. Il centro del centro. Istantanee sul capoluogo umbro, Perugia, giugno 2024. [https://www.agenziaumbriaricerche.it/papers_quaderni/perugia-il-centro-del-centro-istantanee-sul-capoluogo-umbro/] Ho tratto anche notizie e statistiche da Banca d’Italia, Economie regionali. L’economia dell’Umbria. Rapporto annuale, Numero 10, giugno 2024;
Andrea Gianotti e Marco Guerra dell’ufficio studi e analisi del Sole 24 Ore, Qualità della vita 2023, in «Il Sole 24 Ore». [https://lab24.ilsole24ore.com/qualita-della-vita/Perugia;
Tarparelli Vittorio (su elaborazioni di Meri Ripalvella), Perugia demografica: prima la quiete, poi la tempesta, in «Micropolis», aprile 2024, anno XXXIX, n. 4, p. 12;
Ranieri Ruggero, Perugia. Piccola metropoli di serie B, in «Il Giornale dell’Umbria», martedì 30 settembre 2003, anno IV, n. 234, pp. 35-36; AUR, Export. Una mappatura degli operatori umbri, luglio 2024.