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di Fabio Maria Ciuffini

Il senso del mio recente articolo su Passaggi magazine Perugia, la città d’Europa dove si cammina meno e non si usano i bus è quello di aprire finalmente un dialogo, il più ampio possibile, con la cittadinanza sia perugina che umbra sul tema mobilità: pubblica e privata. È un auspicio per quanto riguarda le amministrazioni, ma potrebbe diventare un tema su cui aprire una discussione su queste pagine.  Del resto i sondaggi dicono che, insieme alla sanità, si tratta del tema più sentito ed anche i buoni risultati di lettura di quel mio ultimo pezzo lo confermano. E che evidenziano una contraddizione: i mezzi pubblici che pur in Umbria e a Perugia ci sono e che non sono certo tra gli ultimi in Italia ed in Europa per efficienza e grado di innovazione, sono negletti dalla maggioranza di chi ha bisogno di muoversi. Che continua a preferire l’auto. Una contraddizione da risolversi anche con le nuove politiche e le scelte concrete descritte in quell’articolo. Da mettere in campo però con un’idea chiara: rispetto al tema mobilità non siamo tutti uguali, non abbiamo tutti gli stessi comportamenti.  E provo qui a distinguere cinque categorie di cittadini per le quali politiche e scelte concrete dovranno, proprio per questo, essere differenziate. 

PERUGIA, LA CITTà D’EUROPA DOVE SI CAMMINA MENO E NON SI USANO BUS

1. Gli obbligati del trasporto pubblico. Usano il TPL per mancanza di alternative praticabili. Non hanno l’auto, non la sanno o non la possono guidare. Politiche necessarie:
Garantire copertura della domanda, accessibilità, tariffe eque, affidabilità.

2. Gli utenti del trasporto pubblico per scelta. Scelgono il TPL pur avendo alternative tipo auto privata.
Politiche necessarie: Aumentare il numero di questi virtuosi migliorando frequenza, velocità, comfort, intermodalità.

3. Gli obbligati all’uso dell’auto: Usano l’auto in mancanza di alternative adeguate. Politiche necessarie: Offrire alternative reali: nuove linee, servizi flessibili anche a chiamata, reti integrate. 

4. I disinformati: potrebbero usare il TPL, ma non lo conoscono o non sanno che potrebbe essergli utile. Politiche necessarie: Informazione capillare, comunicazione efficace, prove gratuite, facilitazioni per l’accesso, app, intuitive, campagne educative nei quartieri.

5. Rifiutanti ideologici del trasporto pubblico. Rifiutano il mezzo pubblico per principio o pregiudizio. Lo associano a un’immagine negativa di promiscuità, povertà, marginalità. Politiche necessarie: Cambiamento culturale di lungo periodo, testimonial e narrazioni capaci di invertire lo stigma.

E del tutto evidente quanto sia necessario esplorare il peso di queste categorie sul totale di chi si muove con un sondaggio da fare con la necessaria professionalità. Cosa che non può fare Passaggi, ma che spero possa interessare soggetti istituzionali. Ed una volta individuate le varie categorie, porre ai componenti di ciascuna domande differenziate. Ma intanto cerchiamo di capire quanto esse potrebbero pesare nella nostra realtà.

Le categorie 1 e 2, complessivamente pesano quel 14, 15% che le statistiche dicono rappresentare la quota di cittadini perugini (e probabilmente umbri) che usano il mezzo pubblico. Sono con ogni probabilità pendolari, studenti, lavoratori occasionali che conoscono bene entrambi i sistemi e adattano la scelta modale in base anche al prezzo: passano all’auto quando i biglietti aumentano o al pubblico quando la benzina diventa troppo cara. Fatto confermato da varie statistiche effettuate in varie città italiane e nel mondo. Una fascia di confine, la 2, comunque benemerita.

La terza è una delle due categorie chiave: sono le persone che userebbero volentieri i mezzi pubblici, ma non possono farlo per mancanza di servizio adeguato; vivono dove le linee sono rare, lente o non esistono; generalmente in periferie e comuni satellite e sono  studenti, lavoratori precari, anziani, pendolari a basso reddito o famiglie con un solo veicolo da condividere. Non rifiutano il mezzo pubblico. Il mezzo pubblico rifiuta loro. Attivare questa fascia richiede, molto probabilmente servizi flessibili, frequenti, accessibili anche fuori dagli orari standard. L’iniziativa (giustissima) del Minimetrò di Perugia di prolungare il suo orario di servizio durante i weekend di luglio credo che pescherà in questa categoria. In Italia, il 54% degli intervistati (da ISFORT) in ambito extraurbano dice che il mezzo pubblico non è un’alternativa praticabile, né per orari né per accessibilità. Dunque, sì, esiste una categoria “pronta ma impossibilitata”, spesso ignorata e sarebbe quindi interessante conoscere il corrispondente dato perugino ed umbro.

La numero 4 rappresenta l’altra categoria chiave. Nel Rapporto Mobilità 2023 (Isfort), emerge che “oltre il 40% degli utenti non abituali dei mezzi pubblici non ha informazioni chiare o aggiornate sul servizio”. Tra chi usa abitualmente l’auto, circa il 15–20% potrebbe spostarsi con mezzi pubblici con tempi e costi invariati, ma non lo fa per semplice disinformazione o abitudine. Lasciando per ora da parte la categoria 5 (che andrebbe comunque almeno pesata)  è chiaro come la categoria 4, quella dei “disinformati”, rappresenti nell’immediato il target più interessante. Non richiede spese od investimenti aggiuntivi. Si tratta di usare di più e meglio l’offerta che esiste, cercando di capire soprattutto perché l’utenza ne sia disinformata e curando anche aspetti di dettaglio che molto spesso fanno la differenza.

Non si tratta di costringere, ma di convincere su come il mezzo pubblico sia già preferibile o possa diventarlo. Vorrei infatti escludere, fin da subito, l’idea di chiedere a chiunque di rinunciare alla propria auto se non per riconosciuta convenienza a farlo. Le uniche eccezioni sono i casi in cui parti di città non possono ammettere la circolazione motorizzata ed anche lì va sempre garantita una mobilità alternativa ben organizzata ed efficienti parcheggi di scambio. Ma la maggioranza degli spostamenti è fatta al di fuori delle preziose aree dei centri città. Sono essi il vero obiettivo dei gestori del TPL: quello di chi potrebbe scendere dall’auto e scegliere felicemente il mezzo pubblico, non perché obbligato, ma perché sollevato, in quanto nel bilancio tempo, denaro e fatica, il mezzo pubblico diventa la scelta più razionale. A cominciare appunto dai “Disinformati”. Su che base fare questa scelta? Cosa può spingere verso questa scelta? Per esempio: spendere meno del costo dei carburanti più quello del parcheggio; impiegare lo stesso tempo, o meno, rispetto al tragitto in auto più il tempo per trovare parcheggio. Avere meno stress per la guida, meno noia per percorsi ripetitivi, più sicurezza. Col tempo, ma solo col tempo, si apprezzeranno poi anche altri vantaggi: poter leggere il giornale, osservare la città, arrivare senza tensioni. Compito dunque di chi progetta e di chi gestisce il trasporto pubblico è garantire queste condizioni. La prima tra queste è tutt’altro che scontata. Quasi sempre, in percorsi brevi, il costo di due biglietti interi è superiore a quello della benzina (unico costo considerato nel confronto). E dunque va posta grande attenzione al gruppo degli “accompagnati” (tipico quello dell’accompagnamento scolastico) e di quando e quanto la convenienza si giochi sul costo del parcheggio in destinazione. Un costo che pesa molto su chi si muove verso gli affollati centro-città ma non per chi in periferia troverà parcheggio con facilità e quasi sempre gratis. E queste considerazioni spingono non tanto verso una riduzione dei costi del biglietto, ma per un regime di abbonamenti facilitati: la scelta modale verso il mezzo pubblico deve essere tanto più conveniente quanto meno occasionale e diventare dunque un comportamento consolidato. La seconda condizione implica che il mezzo pubblico abbia una velocità commerciale (quella che tiene conto anche dei tempi di attesa e di quelli per le fermate lungo il percorso ) non troppo inferiore a quella dell’auto. Ne deriva la necessità di assicurare ragionevoli frequenze, mai inferiori al quarto d’ora o meglio ai dieci minuti con orari rigorosamente rispettati e, ovviamente, ben conosciuti dall’utente. E’ evidente che aumentando le frequenze, a parità di passeggeri trasportati, potrebbe diminuire la dimensione dei mezzi. Anche perché mezzi più piccoli si muoveranno più agilmente nella circolazione promiscua. E perché trascurare il fatto che le preferenze del pubblico si orientano in questa direzione?  Qui troviamo la maggior resistenza da parte dei gestori del TPL.  Ti faranno osservare che, a parte il costo della guida che è lo stesso per qualsiasi dimensione dei mezzi, nelle ore di punta serviranno comunque autobus grandi, dunque tanto vale avere autobus di quella taglia che circolano anche nelle ore di morbida. Potrebbe essere necessaria dunque una maggiore articolazione delle flotte e molti ti faranno osservare che questo implica maggiori costi e tutta una serie di complicazioni. Sarebbe interessante, una volta tanto, sentire come la pensano.

E ci sono ostacoli minori che, nella pratica, sono veri macigni: Dove si compra il biglietto? Come si capisce quale mezzo prendere? Come si ha certezza sugli orari?

E proprio il cellulare può diventare la vera interfaccia tra cittadino e mobilità: deve servire sia per l’addebito (niente tessere, niente biglietti cartacei), sia per l’informazione personalizzata. Qui in Umbria e a Perugia abbiamo una applicazione di punta. L’app SALGO di Busitalia. 

Magnifica iniziativa di cui potrete sapere tutto su Google che però ci dice anche che  l’app SALGO non offre più il servizio di acquisto dei biglietti urbani per Perugia, ma solo per i servizi extraurbani. Per i biglietti urbani a Perugia, è necessario utilizzare altri canali di acquisto. E qui sarebbe interessante, oltre a conoscere l’entità di coloro che hanno attivato SALGO sapere quali problemi si siano riscontrati. 

So bene di entrare in un terreno scivoloso. Infatti, nei contratti di servizio tra Comune, Regione e Società di trasporto (ricordiamo che la legge italiana assegna alle Amministrazioni la progettazione, la programmazione il finanziamento e il controllo del servizio e ai gestori solo l’esecuzione operativa secondo gli standard previsti) non è chiaro a chi spetti fare promozione del servizio, al di là dell’obbligata – e comunque necessaria – informazione all’utenza. Anzi, sembra proprio che non se ne parli. Dunque il tema delle attività di comunicazione attiva e del marketing o di campagne a carattere informativo e culturale non è affrontato in modo esplicito e sistematico. Penso ad esempio ad iniziative come “le giornate del mezzo pubblico” (la riproposizione delle storiche domeniche senza auto) in cui a tutti i cittadini, comunque dopo intense campagne pubblicitarie,  sia possibile accedere gratuitamente ai servizi e scorrazzare con essi per tutta la città. Molte città italiane Milano, Bologna, Reggio Emilia, Trento, Bolzano hanno dato vita a giornate ecologiche di gratuità del trasporto pubblico, in Europa Parigi e Bruxelles sono state organizzate delle “giornate senza auto”. Chi, in Umbria e a Perugia, potrebbe prenderne l’iniziativa? Chi dovrebbe pagarne i costi? 

E per finire, sapete che a Tallin in Estonia ed in Lussemburgo viene offerto sempre e comunque il trasporto pubblico completamente gratuito?

E qui si apre un altro tema di grande attualità di cui continuare a parlare. E spero lo facciano qui altri oltre me, tanto per passare l’estate …