Salta al contenuto principale

di Giampiero Rasimelli
Foto ©Fabrizio Troccoli

Dopo l’omicidio Cumani, il giovane di Fabriano di origini albanesi accoltellato e ucciso pochi giorni fa tra il 110 Caffè e il dipartimento di Matematica in piena zona universitaria, molti a Perugia hanno sentito un gelido sudore alla schiena ricordando le tragiche sequenze dell’omicidio Kercher e cosa ha dovuto passare la città in quel periodo. Il Paradiso Perugino finì in frantumi, quella storia pruriginosa di sesso e droga si trascinò per anni, segnò la vita  di entrambi gli atenei e la città fino a demarcare un cambio d’epoca nella sua identità, negli equilibri politici.

Per contro, su questa rivista, Lucio Caporizzi, qualche settimana fa, analizzando i dati ISTAT più recenti, ci ha dato un quadro più tranquillizzante sui temi della sicurezza a Perugia e in Umbria. Ha spiegato che la percezione della sicurezza da parte degli italiani è andata migliorando negli ultimi anni sia in generale che per categoria di reati. Addirittura per quanto riguarda gli omicidi abbiamo in Italia il tasso più basso d’Europa (0.55 contro 0.9 ogni 100.000 abitanti). L’Umbria e Perugia hanno addirittura dati migliori della media nazionale per tutti i crimini, tranne, e di poco, per quel che riguarda i furti in abitazione. E allora come dobbiamo reagire all’ultimo omicidio e agli ultimi scioccanti eventi che hanno colpito la nostra comunità? Viviamo in Paradiso o siamo ripiombati nel gorgo limaccioso della città universitaria segnata da droga, violenza e insicurezza per tutti i cittadini?  Al di là delle strumentalizzazioni politiche e mediatiche di allora e del provincialismo che caratterizzò i commenti di tutti – sia di chi voleva terrorizzare Perugia col tema della sicurezza, sia di chi voleva difendere l’immagine ormai lesionata della città elegante e tranquilla che finiva per nascondere le preoccupanti trasformazioni intervenute – oggi dobbiamo riuscire a percepire e valutare i fatti che accadono con maggiore consapevolezza e minore emotività.

In pochi mesi abbiamo registrato, vado a ritroso, un omicidio (quello del giovane Cumani), un suicidio con concorso di istigazione (quello del giovane Prospero), una serie di aggressioni e accoltellamenti in discoteche o nell’area della stazione di Fontivegge. Di cosa ci parlano queste tristi cronache di violenza contro se’ stessi o contro altri? Al di là delle statistiche la violenza dei giovani colpisce di più la nostra coscienza e quella delle comunità, perché ci testimonia con immediatezza il clima culturale e sociale in cui viviamo, che si è costruito negli anni; i valori che sono sbiaditi e quelli che si sono imposti nel vuoto e nella disattenzione. La reazione a ciò in tanta parte del paese è stata la rabbia, la distanza dalle nuove generazioni, diffusamente il razzismo, la paura degli altri nella vita quotidiana.

Ma vediamo i fatti. L’omicidio Cumani, sul quale sono appena cominciate le indagini degli inquirenti, pare sia maturato per futili motivi. In sostanza, è scoppiata una violenta lite tra gruppi di ragazzi (2?3?). La vittima e il fratello si sono trovati o all’interno di questi gruppi o tra di essi. E prima è stato ferito uno dei due, e poi l’altro è rimasto ucciso da una coltellata alla gola. Al momento non pare ci sia altra ragione. Nelle aggressioni alle discoteche, nelle quali sono comunque comparse armi da taglio, fortunatamente senza conseguenze letali, si è trattato ugualmente di futili motivi, una lite con i buttafuori del locale che avevano impedito l’ingresso a un gruppo di giovani, uno sguardo di troppo ad una ragazza e la reazione del fidanzato con conseguente rissa scatenata dal gruppo. 

I genitori che parlano con i figli sanno che in città (e non certo solamente a Perugia) ci sono gruppi di ragazzi intrisi di cultura violenta e di sopraffazione che occupano diversi spazi, che girano per diversi locali, attaccano briga facilmente e creano spesso seri problemi. Ci sono bande ma anche aggregazioni più o meno spontanee e comunque non stabilmente organizzate. Sì anche a Perugia esiste questa realtà, fatta di italiani, di immigrati di seconda e prima generazione, collegati al traffico di stupefacenti, ma anche no. Spesso questi ragazzi girano con armi, la più usata è il coltello, simbolo di aggressiva virilità a poco prezzo.

Dobbiamo riflettere su questa escalation di cultura violenta nei gruppi di giovani. Ci sono giovani annoiati di buona famiglia che si rifugiano nell’ebrezza della rapina o della rissa. Ci sono giovani di modeste condizioni che restano impigliati nei traffici per qualche euro e che poi rimangono imprigionati nei codici e nella routine violenta di quel mondo. Ci sono i giovani disperati che non vedono nulla davanti a loro e che si prestano ad ogni scatto di sopraffazione o di sottomissione. Infine ci sono altri circuiti che collegano o differenziano questi mondi. Come alcuni circuiti degli Ultras, tifosi del calcio e non solo, tornati alla ribalta l’altro ieri a Rieti con un assalto che ha prodotto un morto. Oppure le bande che raggruppano giovani violenti di uno o più quartieri. Queste organizzazioni sono talvolta collegate a canali che gestiscono traffici o ad organizzazioni di stampo fascista o di vari estremismi. Insomma, possiamo vedere una serie di percorsi devianti giovanili che hanno introiettato gli effetti più devastanti della cultura individualista, maschilista, sopraffattoria e nichilista imperante, che si muovono in superfice o che sono lambite dalle dinamiche criminali vere e proprie. 

Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo agire, non voltarci dall’altra parte. Dobbiamo agire con consapevolezza, senza cedere agli scatti di ira e all’odio, presidiando i valori costitutivi della convivenza e le sue istituzioni. Arricchendo la vita delle nostre comunità con stimoli e azioni positive. Dando speranze e lavoro ai giovani e non le frustrazioni costanti di un mondo diviso e in conflitto permanente. Restituendo importanza e dignità alla cultura, alla bellezza, alla promozione sociale e non solo alle ricchezze personali, alla forza della sopraffazione contro il merito, la razza, le donne. Rendendo meno accattivante e commerciale la cultura della violenza. Presidiando l’utilizzo delle tecnologie di comunicazione per aumentare le possibilità di conoscere e relazionarsi ed evitando che diventino invece un veicolo di isolamento, di esclusione, di violenza.

Se pensiamo al caso Prospero vengono i brividi. Lì l’esclusione, la solitudine, la terribile violenza dell’istigazione al suicidio fanno cortocircuito con la virtualità della vita e della morte. 

Da ciò traggo una prima conclusione. Una repressione generica e burocratica serve a poco contro tutto questo. Serve vicinanza, servono opportunità, serve solidarietà servono comunità ricche di valori forti. Ma serve anche una lotta senza quartiere al possesso di armi, all’istigazione alla violenza sia a quella individuale che a quella organizzata, all’istigazione al maschilismo sotto ogni forma, all’istigazione alla cultura della schiavitù, della sottomissione, della svalutazione della vita. Contro questo deve esserci veramente tolleranza zero e non incuria, a nessun livello. Dall’impegno personale nella famiglia, all’azione delle comunità, della scuola, delle forze di polizia, della Magistratura.

Un’ ultima considerazione la riservo ai ragazzi immigrati di seconda generazione, un grande problema europeo. La prima generazione dell’immigrazione ha lottato e lotta per essere accolta, per avere un minimo di diritti e di opportunità, per non essere cacciati, per avere con sé le famiglie, per potersi costruire nella nuova realtà una famiglia e delle relazioni, per poter crescere i figli in un mondo migliore rispetto a quello lasciato. La seconda generazione vive solo l’ultima parte di tutto questo. Cresce in un mondo con aspirazioni uguali agli altri coetanei, ma spesso viene respinta dalla società e anche dalla propria famiglia che ha altre culture ed usanze. La sua crescita è per definizione diversa dagli altri e lo sforzo per affermarsi è del tutto superiore. Una condizione di disagio molto profonda, rivolta sia alla propria origine che all’integrazione effettiva. Si, un vero dramma sociale. Una situazione di difficoltà sociale che gli USA vivono ancora oggi dopo decenni e secoli di multietnicità e melting pot. Ma questo è certamente anche il nostro destino di europei, di italiani e di perugini. Vogliamo occuparcene concretamente o lasciare la questione alle cronache criminali, all’odio razziale, alle politichette che pensano di arginare l’oceano con un dito e di trarre profitto elettorale dall’odio che organizzano? 

Anche a Perugia è giunto il momento di porci questi problemi, con fermezza, con intelligenza, con i nostri valori di città aperta democratica e solidale, sapendo che i giovani, tutti i giovani, sono la nostra risorsa e il nostro specchio futuro.