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di Marcello Marcellini

Domenica 30 marzo gli anarchici del gruppo “Kyriakos Ximitiris” hanno messo una bomba artigianale composta da due bottiglie piene di benzina collegate ad un timer nel palazzo Sacripanti di Narni, sede della facoltà di Scienze dell’Investigazione e della Sicurezza. Si voleva colpire, come è stato rivendicato dallo stesso gruppo, “il centro di formazione della futura intelligence dello Stato italiano”. Ma l’ordigno, che avrebbe dovuto esplodere durante la notte quando negli uffici non ci sarebbe stato più nessuno, probabilmente a causa di un “difetto di fabbrica”, invece di fare un bel botto, fece una piccola fiammata che sporcò appena il pavimento. 

Anche Kyriakos Ximitiris, il giovane greco a cui gli attuali anarchici si sono ispirati per dare il nome al loro gruppo, probabilmente non aveva molta dimestichezza con le bombe visto che il 31 ottobre del 2024 una gli esplose addosso uccidendolo mentre la stava fabbricando in un appartamento di Atene.

Sembra che gli anarchici nostrani di una volta fossero più bravi dei loro attuali epigoni. A Terni, ad esempio, molti anni fa due giovani anarchici, Serrano Del Bigio, un imbianchino di 23 anni, e Domenico Zuccheri, un operaio ex dipendente della Acciaieria di 21 anni, compirono nel palazzo della Sottoprefettura di piazza Solferino un atto terroristico molto simile a quello tentato a Narni ma che al contrario di questo andò “a buon fine”. È una storia interessante che vale la pena raccontare. Del Bigio e Zuccheri alle 17 e trenta del 20 maggio 1892 piazzarono una bomba sferica di ferro fuso nell’androne del palazzo della Sottoprefettura di piazza Solferino. L’ordigno pesava quasi quattro chilogrammi, aveva un diametro di circa 10 centimetri e uno spessore di 15 millimetri. Era caricata con 300 grammi di polvere pirica e all’interno era stata sistemata della carta imbevuta di acqua ragia che avrebbe dovuto provocare l’incendio di una catasta di legna situata vicino al punto dell’esplosione. Come miccia fu usato un pezzo di panno anch’esso imbevuto di acqua ragia. Il botto che fece quando scoppiò si sentì in gran parte del centro cittadino, ma i danni all’edificio furono modesti e consistettero nella “scheggiatura e rottura della porta” presso cui era stata messa la bomba, in “molteplici lesioni alle pareti” dell’androne provocate dalle schegge, nello “screpolamento di un architrave” ecc. 

Era la prima volta che a Terni veniva fatta scoppiare una bomba in un edificio sede di un organo del governo pertanto l’allarme tra i rappresentanti delle istituzioni fu notevole.

Sul luogo dell’esplosione accorsero immediatamente i carabinieri, il pretore e le guardie di P.S. comandate dal vice ispettore Francesco Gaeta, un tenace investigatore, il quale sospettò subito che la bomba fosse stata messa dagli anarchici ternani che da un mese teneva sotto controllo e di cui, servendosi di spie, conosceva tutte le mosse. Sapeva, ad esempio, che in un incontro che avevano avuto vicino alla stazione ferroviaria, in un luogo chiamato Portella della Lignite, costoro avevano deciso di “scendere nel campo dell’azione” e avevano mandato uno di loro, un certo Augusto Pancrazi, a Caserta a procurare dell’esplosivo. Nel gruppo degli anarchici erano stati notati, in quanto particolarmente attivi, Domenico Zuccheri che di diceva possedesse due bombe e Aurelio Santini, uno stagnino di 27 anni.

Ma prima di andare a cercare questi due sospettati per interrogarli, il Gaeta volle esaminare attentamente il luogo dell’esplosione. Tra le schegge e i pezzi di intonaco raccolse da terra alcuni frammenti di carta imbevuti di acquaragia dove erano visibili delle scritte fatte con un inchiostro nero. Su una di queste si poteva leggere un nome: “Umberto Del Bigio”, il fratello convivente del noto anarchico Serrano Del Bigio.

Evidentemente chi aveva fabbricato la bomba era incorso in un grave errore. Essendo certo che la carta avrebbe preso fuoco aveva utilizzato, anche per risparmiare, dei fogli usati dove però vi erano delle scritte compromettenti. Ma la carta per la forte esplosione non prese fuoco consentendo al vice ispettore Gaeta di entrarne in possesso e avere in mano una prova che gli consentirà di risolvere il caso.

Serrano Del Bigio, messo alle strette, confessò di avere fornito a Domenico Zuccheri la carta con le scritte, l’acqua ragia e il panno

per fare la miccia. 

I due furono arrestati e accusati dei delitti previsti e puniti artt. 255 e 424 c.p. per aver fatto scoppiare una bomba al fine di incutere pubblico timore e per aver danneggiato un edificio pubblico. Il Tribunale di Spoleto con sentenza del 1 luglio 1892 li condannò entrambi alla pena di due anni di reclusione e ad una anno di sorveglianza speciale. 

La sentenza venne impugnata e in data 22 ottobre 1892 la Corte d’Appello di Perugia ridusse la pena a diciotto mesi.

Da notare che in soli cinque mesi questo procedimento penale, comprendente due gradi di giudizio, venne irrevocabilmente definito dai giudici umbri. E non era un’ eccezione perché nell’Umbria postunitaria i tempi della giustizia erano questi.