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di Fabio Maria Ciuffini

Nel 1825 o giù di lì un certo signor Omnes costruì dei bagni pubblici nella periferia della città francese di Nantes. Ma risultò che erano troppo fuori mano e per non perdere clientela si inventò un servizio dalla città ai bagni con carrozze da 10 posti  in va e vieni. E lo slogan con cui lo pubblicizzò recitava “Omnibus Omnes”, tradotto “Omnes per tutti”.
A questa iniziativa viene fatta risalire l’invenzione del trasporto pubblico omnibus quindi “per tutti”. La cosa ebbe successo ed un largo seguito: in quasi tutte le città del vecchio e del nuovo mondo entrarono in servizio carrozze in servizio pubblico, ancora tirate da cavalli ma per ogni destinazione, che vennero chiamate Omnibus ignorando, ahimé l’Omnes. Poi a queste seguirono i treni, i tram, le metropolitane, ma sempre “per tutti”.
Il secolo XIX, insomma, complice la rivoluzione industriale, estese ovunque l’invenzione pur dimenticandone l’inventore. Quando poi entrarono in servizio pubblico i primi mezzi su gomma cadde l’omni e restò solo bus che, con l’aggiunta di “auto”, divenne autobus completando le vicende semantiche di quel dimenticato termine latino.
Comunque fino a quegli inizi del secolo XIX, a piedi a cavallo in carrozza o lettiga che fosse, ognuno si era mosso con i propri mezzi a titolo individuale con un trasporto rigorosamente “autoprodotto”: un trasporto ognuno per sé. Così il trasporto collettivo, pubblico, per tutti, cioè l’andare insieme in una carrozza, un tram, un treno fu a tutti gli effetti una rivoluzione. Il “terzo stato” prendeva il tram …
Un secolo dopo, agli inizi del ‘900, la nuova svolta e in senso del tutto opposto: la motorizzazione di massa. Quale ne è stato il portato? Il ritorno impetuoso dell’autoproduzione del trasporto. Miliardi di persone ogni giorno si autotrasportano da sé, stando da sole al volante o al massimo con uno statistico mezzo compagno di viaggio, maledicendo le code e sperando nonostante esse di arrivare puntuali e trovare parcheggio. All’alternativa collettiva neanche ci pensano. Spesso anche perché non c’è o se c’è non è in alcun modo competitiva con il mezzo individuale. Non pochi sono, comunque, coloro che non sono mai saliti su un mezzo pubblico in vita loro.
E qui nasce un terribile sospetto. Questa quasi universale condizione tranne poche lodevoli eccezioni, dà l’impressione di una sorta di tacito patto tra cittadini automobilisti e Pubblica Amministrazione. Sindaci e assessori (ma anche Governatori o Ministri) ci interrogano. Preferite utilizzare la vostra amatissima auto per i vostri spostamenti? Magari per accompagnare vostro figlio a scuola con il SUV? Dunque se volete far da voi, chi siamo noi per contraddirvi organizzando sistemi di trasporto pubblico e servizi di accompagnamento scolastico? In più spendendo una valanga di soldi per tenere in piedi un sistema veramente competitivo con l’auto che lanci una sfida al mezzo individuale, dunque che non si limiti a muovere chi l’auto non ce l’ha o non la sa o non la può portare (categoria di persone che in Italia si chiama dei “vincolati” e che i francesi iconicamente definiscono captifs, cioè “prigionieri”) che pare essere oggi l’unica malinconica missione dei mezzi pubblici italiani? La cosa è ben più di un sospetto: ci dicono le statistiche nazionali che i gestori della mobilità urbana preferiscono lasciar invadere spazio pubblico pregiato, allargare strade a detrimento dei marciapiedi, fare parcheggi a detrimento del verde pubblico o spazi di sosta lungo la viabilità storica ancora una volta a detrimento di marciapiedi, lasciando languire nelle sue tante difficoltà il trasporto pubblico: insomma una politica a favor di auto in città “autocentriche” che apparentemente contenta tutti.
E pazienza se c’è inquinamento atmosferico e acustico e produzione di CO2 ( … ma poi sarà vera ‘sta cosa del cambiamento climatico?).
Pensando a Perugia, fatemi fare un parallelo storico: alla fine del ‘200 il Comune pensò di costruire un acquedotto, di fornire acqua pubblica in alternativa ai pozzi privati che ognuno si faceva da sé sotto casa. Per secoli andò avanti il confronto fra questi due modi di avere acqua, quello pubblico e quello privato, con il Comune che si ostinava a tenere in piedi l’acquedotto (quello che alimentava la Fonte Maggiore) affrontando anche spese molto ingenti. La cosa in un libello di inizio ‘800 fu così definita “la mania” dell’acquedotto, una sindrome speciale di cui sarebbero stati affetti nei secoli gli amministratori di quella città.
Bene, dovremo allora considerare una “mania”, una costosa inutile mania, anche quella di dotare le città, tutte le città, inclusa Perugia, di una mobilità pubblica veramente competitiva con l’auto?
Oppure, all’opposto, affibbiare il termine “mania” a chi preferisce a tutti i costi e comunque il mezzo individuale, ignorando ogni possibile alternativa, a costo di diventare captif, “prigioniero” della propria auto?
Un programma elettorale per la mobilità sostenibile: meno auto, più spostamenti a piedi o in bici, più mezzi pubblici e più attrattivi.
Bene, oggi a Perugia sembra che si voglia cambiare registro e attenersi alla seconda ipotesi. La nostra città saluta una nuova Sindaca ed una nuova amministrazione e stando al programma elettorale dovremmo aspettarci l’implementazione di politiche in favore dell’accessibilità universale con mezzo pubblico e di quella che si definisce “mobilità dolce”: a piedi o in bici. Converrà citarne alcuni significativi passi. “Noi vogliamo uscire tutti insieme dall’eterno presente, questa è l’anima del nostro programma. Perugia ha una storia gloriosa. È stata la città del Movimento non violento per la Pace di Aldo Capitini. È stata una delle città protagoniste del movimento che ha abbattuto i manicomi in Italia. Le scale mobili realizzate all’interno della Rocca Paolina sono state uno dei primi esempi di infrastruttura che univa al tempo stesso mobilità sostenibile e valorizzazione artistico – architettonica.” … “Questi obiettivi (la mobilità sostenibile) non sono più realizzabili all’interno di un modello urbano “auto-centrico”, eccessivamente sbilanciato sulla motorizzazione individuale, che limita e penalizza altre forme di spostamento, scaricando completamente i costi su famiglie e cittadini: potersi muovere in un ambiente sano e sicuro potrà metterli nelle condizioni di ridurre il numero di mezzi privati, con conseguente riduzione dell’impatto ambientale, maggiore tutela della salute pubblica e risparmio economico“. Ed ancora: “Vince una nuova idea di città e di mobilità: va posto fine all’emergenza strade e marciapiedi con un piano straordinario e immediato per la riparazione del manto stradale e dei marciapiedi e un programma ordinario di monitoraggio per la loro manutenzione” … “Città in 15 Minuti”: una città compatta, con servizi essenziali sia pubblici sia privati (scuole, uffici, negozi, attività commerciali, presidi sanitari, ecc.) presenti in ogni quartiere e frazione, per ridurre al massimo gli spostamenti non necessari”… “Perugia diventi una città per le persone (non solo per le auto quindi, aggiungo io) che promuove gli spostamenti sostenibili. Investiamo su una mobilità nuova, che renda possibile muoversi meglio, inquinare meno l’ambiente e dare maggiore sicurezza alle cittadine e ai cittadini …. investendo nel rafforzamento delle diverse alternative alla motorizzazione individuale (a piedi, in bicicletta, con i mezzi pubblici, ecc.). Daremo centralità al TPL (trasporto pubblico locale) … per renderlo maggiormente fruibile e appetibile, attraverso una maggiore copertura oraria (compreso notturno, festivi e periodi non scolastici), ed una maggiore qualità e accessibilità di mezzi e fermate, ecc. Realizzeremo una politica tariffaria mirata per agevolare l’utilizzo del servizio pubblico, dando priorità a giovani, persone a basso reddito, famiglie” …
Dunque sembra che la “mania” della mobilità pubblica estesa oltre i captifs, i vincolati, fino a diventare veramente competitiva e preferibile a quella individuale pur senza imposizioni sia, per fortuna, la cifra che caratterizzerà l’azione del Comune di Perugia nei prossimi anni.  Consiglio agli elettori di stamparsi questo programma e verificare se esso sarà poi attuato o no.
Inoltre chi ha seguito gli articoli che sono venuto pubblicando su passaggimagazine negli anni o ha letto i miei libri “Programma per una città senza auto” e “Città oltre l’auto”, troverà in quel programma elettorale tantissime corrispondenze, cosa di cui sono personalmente lietissimo. Ora si tratta soltanto di vedere quanto la nuova amministrazione saprà destreggiarsi nella difficile condizione finanziaria che una miope politica governativa impone a tutti i Comuni Italiani oltre però a manifestare una grande capacità progettuale. Faccio un esempio: credete che mettere in campo una rete di marciapiedi che consentano di connettere ogni punto della città con ogni altro sia un progetto banale? Beh, provate a pensarci e vi accorgerete che non lo è: almeno dove lo spazio per il marciapiede compete con quello oggi dedicato alle auto. Altrettanto complesso e difficile sarà declinare tutti gli altri interessanti concetti espressi in quel programma e ciò richiederà grande determinazione impegno e fantasia.
Anche perché il punto di partenza non è dei migliori: a Perugia dove la mobilità alternativa di accesso al centro Storico (Scale mobili e minimetrò) dà buona prova di sé anche se andrebbe comunque migliorata, il resto degli spostamenti nella città compatta e nel territorio è servito in misura prevalente da mezzi individuali. Non a caso ci sono 760 auto ogni mille perugini, seconda città in Italia dopo Catania. Se togliete i bambini e gli adolescenti sotto i 16 anni praticamente c’è un’auto per abitante. Tanto per la cronaca, a Parigi ci sono solo 250 auto ogni mille abitanti! In più qui da noi nella città compatta a tutte quelle auto corrisponde una avara rete stradale non potenziabile negli spazi ristretti a disposizione. Inoltre statistiche non confermate ma credibili, danno a Perugia la maglia nera nel rapporto tra offerta di mezzi pubblici e risposta della domanda: insomma gli autobus ci sarebbero anche, ma ci salgono veramente in pochi.
In questi giorni si muovono critiche al fatto che l’assessore al ramo non avrebbe esperienza nel settore dei trasporti. Mi domando se – alla fine – questo non possa essere un vantaggio, vista la scarsa efficienza ed efficacia fin qui riscontrata in quel settore. Magari potrebbe renderlo più aperto ad idee nuove, non convenzionali.
Ad esempio, credo che vadano messe in campo alternative tanto efficaci e competitive quanto radicali cambiando la formula “autobus grandi e basse frequenze” (che è anche quella confermata dalla versione perugina del BRT) con quella “autobus piccoli con frequenze elevate”. E’ infatti molto probabile che, a parità di persone trasportabili, una flotta di autobus piccoli, veloci e frequenti – dunque con tempi di attesa e tempi di viaggio non lontani da quelli ottenibili con l’auto inclusi per questa i tempi necessari a trovare un parcheggio in destinazione – potrà convincere molti automobilisti a servirsene  Che è quello che ci vuole per sconfiggere la congestione e abbattere la produzione di CO2. È una constatazione elementare questa: allora perché questa soluzione non viene praticata?
Perché, ci dicono tecnici ed amministratori, c’è un fattore economico che la esclude ed è il costo della guida, che vale il 75% di quei costi e fa sì  che far circolare minibus invece autobus di dimensioni normali pesi sui bilanci più o meno lo stesso. Si potrà anche osservare che una flotta di minibus molto frequenti e veloci attrarrebbe più clientela e i maggiori importi potrebbero compensare i maggiori costi di guida; e in più si potrebbero raccogliere passeggeri anche nei rami minori della rete dove oggi gli autobus non si avventurano, magari anche con sistemi a domanda. Molto probabilmente è così, ma per ora nessun gestore di trasporto pubblico se l’è mai sentita di cambiare l’impostazione prevalente dei loro servizi: i bilanci sempre asfittici di tutte le società di pubblico trasporto hanno sempre sconsigliato di turbare gli equilibri economici raggiunti fin qui cambiando un formula affermata con un’altra non sperimentata. Eppure con un po’ più di coraggio, magari in poche direttrici, varrebbe la pena di vedere l’effetto che fa, ed è quello che consiglierei, da subito, al nuovo assessore alla mobilità. Ed è in questa direzione che avrei speso i finanziamenti del PNRR. C’è infatti all’orizzonte qualcosa che potrebbe ribaltare completamente la situazione ed è il risparmio di costi connesso alla guida autonoma, senza conducente cioè, dei mezzi pubblici. Molto più foriera questa di radicali cambiamenti nel traffico urbano di quanto non lo sarà la guida autonoma dei mezzi individuali. Ed è un traguardo che non è così lontano da raggiungere pensando ai giganteschi progressi dell’intelligenza artificiale che è alla base delle tecniche di guida robotica. A S. Francisco non sta già funzionando un servizio di Robo-Taxi senza conducente, primo servizio di questo tipo al mondo? E non si sta pensando di estenderlo a tutta la California? E ciò avviene a titolo sperimentale in molte città francesi e da anni a Sion (Svizzera) mentre si pensa già di estenderlo ad altri Cantoni. In Italia poi, a Torino, si sta sperimentando una linea servita da minibus a guida autonoma. Dunque sta già muovendo i primi passi la mobilità del futuro! Che prospetta una varietà di formule che si innestano su quelle oggi conosciute come i taxi, i buxi, le linee autobus e minibus anche a domanda, migliorandone le prestazioni ed abbattendone i costi.
Da anni, in questa città affermo e propongo – inascoltato – che occorre guardare con coraggio a questo preannunciato futuro e magari anticiparlo piuttosto che riprogettare il passato che è quello che si sta facendo, secondo me, con il progetto del BRT il cui primo esemplare circolò nei lontani anni ’70 e su cui ho già espresso un motivato giudizio non positivo con un articolo su passaggimagazine  facilmente reperibile online.
Ma sul BRT siamo ad un passaggio difficile. Il progetto è praticamente fermo e l’unica cosa che si è vista è una improbabile stazione a Fontivegge, che unita ad altre poco comprensibili prove architettoniche, rende sempre più difficile capire cosa si vuole fare da quelle parti.
C’è poi chi addirittura chiede (Italia Nostra)  di rinunciare ai fondi del PNRR e chiuderla lì.
Certo andrebbe valutato il futuro costo di esercizio del BRT rispetto a quello di linee autobus sullo stesso percorso e, comunque, valutato se non sia ancora possibile migliorare il progetto che, in ogni caso, andrebbe finalmente conosciuto nei suoi particolari prima di esprimere assoluzioni o condanne anche parziali.
Ma non vado oltre e per un buon motivo: sul tema si aprirà un dibattito martedì 23 luglio alle 21 a S. Sisto nei locali del comitato elettorale Ferdinandi, alla presenza della Sindaca e del nuovo assessore alla mobilità Pierluigi Vossi. E di ciò che si dirà ed eventualmente si deciderà sono pronto a riferire in un prossimo articolo.