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di Laura Saccomanno

Di solito non amo i racconti.

Ho l’impressione di non fare in tempo ad affezionarmi ai personaggi, nemmeno odiarli, che già devo lasciarli andare. Però ci casco sempre, alla fine li leggo tutti d’un fiato e senza lasciare spazio fra una storia e l’altra, soprattutto se chi scrive ha guadagnato con altri libri la mia stima di lettrice oltre che di libraia.

Fernando Aramburu ci accompagna in punta di piedi nelle vite di gente comune, assuefatte alla noia, coppie che non hanno più nulla da spartire né nulla più da raccontarsi, genitori e figli impacciati e incapaci di esprimere i propri sentimenti, solitudini in attesa di un cambiamento impossibile, bambini che di buono hanno poco o nulla. 

Palpabile la struggente malinconia trasformata in narrazione quando si realizza del tempo che passa, la fragilità di chi ama, la possibilità di non essere ricambiati, la tristezza per ciò che non si è potuto avere e non si avrà, la necessità di prendere una decisione difficile e terribile. Fra le trame così diverse tra loro si alternano i lati peggiori dell’umanità, nascosti di solito all’evidenza, ma incredibilmente palesi, quando l’abilità narrativa dello scrittore diventa occhio rivelatore di un vero e proprio circo di personaggi da decifrare in poche righe. Bisogna andare fino in fondo ad ogni singolo racconto per capire profondamente la loro essenza che si palesa nell’alternanza di luci ed ombre di anime piene di debolezze, insicurezze e cinismo. 

Agghiaccianti talvolta i risvolti della pochezza dell’individuo di fronte a ciò che non comprende, di fronte alla malattia o alla diversità. Al limite del surreale, i protagonisti accomunati dai più bassi sentimenti di odio, vendetta, vergogna, rassegnazione, frustrazione vivono e agiscono sullo sfondo di un quotidiano che sembra non appartenerci, ma facilmente tracciabile nelle nostre case. Anzi, quanto più li osserviamo attraverso le parole, tanto più riusciamo ad intravedere dei lati di noi che non riusciamo ad accettare e che decisamente rischiano di spaventarci.

Potremmo definirlo quasi un “catalogo umano”, al cui interno, leggendo con attenzione e senza pregiudizio, ci è permesso finalmente trovare qualcosa di noi stessi.