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di Lucio Caporizzi

Come era prevedibile, dopo aver dominato in campagna elettorale, il delicato tema della  Sanità tiene banco anche in questo avvio di legislatura regionale. Non che manchino altre tematiche di grande importanza cui dedicarsi per il benessere ed il futuro della Regione, ad iniziare dal continuo scivolamento in termini produttivi dell’Umbria e dall’inesorabile calo demografico.

Ma tant’è, la tutela della salute viene, giustamente, vista come tema particolarmente scottante dalla maggior parte dei cittadini. I quali cittadini, per la maggior parte, conoscono il Servizio sanitario non da tabelle e grafici, ma dall’esperienza diretta. Quando ricevono adeguate e tempestive risposte assistenziali, quando incontrano personale competente ed attento, come pure quando “sbattono” contro lunghi tempi di attesa, quando si confrontano con la cronica frammentazione dei percorsi diagnostico-terapeutici ed il conseguente onere ricompositivo posto a loro carico (ma il fascicolo sanitario elettronico?), quando, increduli, trovano impianti igienici (water, bidè..) ultra bassi nei bagni di reparti dove sono ricoverati pazienti con più e meno severi impedimenti motori.

Ma anche le tabelle e i grafici esprimono una propria realtà, una realtà che, a seguito di una verifica commissionata dalla Giunta regionale ad una nota società di revisione contabile, conferma un importante disavanzo nella gestione sanitaria della nostra regione. Anche qui, il cittadino medio forse è rimasto un po’ confuso, dato il modo come la notizia è stata riportata. Un disavanzo di 243 milioni, che però, non si sa bene come, scende a 90. Una gestione delle aziende sanitarie in rosso, appunto, per 243 milioni, parzialmente compensata da una gestione accentrata – cioè direttamente in capo alla Regione – “attiva” per 153 milioni. 

Aziende scialacquone e Regione risparmiosa? Non esattamente, dato che, in realtà, il risultato negativo di 243 mil si riferisce non alla gestione del totale delle risorse disponibili, ma, appunto, al totale meno i 153 mil non assegnati alle aziende in quanto trattenuti, temporaneamente, dalla Regione per essere quindi trasferiti alle aziende in un secondo tempo. Insomma, trattandosi di due gestioni diverse (quella in capo alle aziende sanitarie e quella accentrata in capo alla Regione), contabilmente è corretto presentarne separatamente i risultati.  Nella sostanza, però, il cittadino vuole, giustamente, una risposta alla semplice domanda “ma, rispetto al totale delle risorse disponibili, la spesa complessiva per i servizi erogati di quanto è stata superiore?” Fermo restando che poi la certificazione finale spetta all’apposito Tavolo di monitoraggio presso il Ministero dell’Economia, dalle risultanze comunicate dalla Regione la risposta sarebbe, come già detto, una maggiore spesa di circa 90 milonii.

Peraltro le aziende sanitarie, essendo, appunto, aziende, per effetto della riforma dei primi anni ’90 che superò il sistema delle Unità sanitarie locali, adottano una contabilità economico-patrimoniale, pur non essendo entità la cui finalità sia quella di generare profitti. Qui vi sarebbe da fare un lungo discorso – che andrebbe ben oltre gli ambiti di un articolo di giornale – sui vantaggi/svantaggi della già accennata trasformazione delle ULSS in aziende, della creazione di un quasi-mercato tramite i DRG e le tariffe collegate, dello svincolarsi dal territorio (segnatamente dai Comuni) per diventare aziende delle Regioni, dell’istituzione delle aziende ospedaliere, etc.

Tornando alla gestione finanziaria, ovviamente la prima domanda è da dove salta fuori questo disavanzo, del quale, in verità, si parlava anche quando ancora governava la precedente Giunta. È presumibile che a ciò stia lavorando la Regione, che ha presentato alcuni dati. Senza aver la pretesa di compiere qui una disamina completa, una componente dell’eccesso di spesa può essere senz’altro rappresentata dal progressivo deteriorarsi del saldo di mobilità sanitaria che, attivo fino alla fine del decennio scorso, è andato sempre più scivolando in territorio passivo. In particolare dai dati forniti si vede come tale saldo sia andato via via peggiorando negli ultimi anni, passando da un valore negativo pari a 10,3 mil nel 2020 ad un valore – sempre negativo – di ben 36,7 mil nel 2024, che è poi l’anno del disavanzo in questione. Ciò significa che la Regione Umbria ha speso, per rimborsare le cure di propri cittadini andati in altre regioni, 36,7 milioni in più di quanto abbia incassato dalle altre regioni per cure somministrate a cittadini residenti altrove. 

Si dirà, va bene, ma in fondo se la Regione spende per erogare una data prestazione ad un  cittadino presso una propria struttura o se acquista la stessa prestazione da un’altra Regione (una sorta di importazione), non è la stessa cosa? È la tipica scelta di gestione aziendale tra il make or buy. No, non è la stessa cosa, posto che la struttura dei costi di produzione in sanità è composta per la gran parte da costi fissi, che si sostengono in buona misura indipendentemente dal volume di prestazioni. Quindi la spesa addizionale che la Regione sostiene per erogare una data prestazione ad un proprio cittadino, presso una propria struttura, sarà senz’altro parecchio inferiore a quanto la Regione dovrà rimborsare alla Regione X , nell’ipotesi che quel cittadino scelga – o si veda costretto – ad andare fuori regione per curarsi. Possiamo quindi vedere l’aumento della mobilità passiva come una sottrazione di risorse al sistema sanitario regionale. 

il profilarsi di un disavanzo pericolosamente vicino alla soglia del 5% della quota di Fondo sanitario ha fatto squillare più di un campanello d’allarme al Governo regionale ed in particolare alla Presidente della Regione, facendo prospettare la temuta eventualità del commissariamento, misura prevista per le Regioni che generano disavanzi oltre il 5% ai quali non pongono rimedio e che comporta aumenti automatici di aliquote e ticket  fino al massimo consentito, oltre ad altre misure di forte contenimento della spesa.

Lo stress finanziario per le casse regionali derivante dal disavanzo in Sanità viene del resto amplificato dagli effetti della manovra del Governo nazionale. Erroneamente si parla di tagli ai trasferimenti statali, ma in realtà la manovra è più impattante di una mera riduzione di trasferimenti, dato che impone alla Regioni di versare alle casse dello Stato somme che, in 3 anni, ammontano ad oltre 40 mil.

L’insieme di queste “minacce” ha portato la Giunta regionale ad approvare un disegno di legge che aumenta le aliquote Irap, la tassa automobilistica e le aliquote dell’addizionale regionale sull’Irpef, il tutto con una rapidità che ha sorpreso e fatto “storcere il naso” a più d’uno.  Con riferimento all’addizionale Irpef, la rapidità di azione era dovuta anche dal termine del 15 aprile previsto dalla normativa per intervenire sulle aliquote fiscali con effetto nell’anno fiscale in corso. 

Com’era prevedibile la manovra ha creato più d’un malumore, anche tra le organizzazioni sindacali. Il ridisegno delle aliquote – che erano ferme dal lontano 2012 – cerca di operare una sia pur modesta progressività, oltre a lasciare esente il primo scaglione di reddito fino a 15.000 euro, dal quale, comunque, sarebbe venuto un gettito trascurabile. 

I criteri seguiti sono in teoria condivisibili, ma occorre ricordare che viviamo pur sempre nel Paese dove il 60% del gettito Irpef è versato da 5 milioni di contribuenti (su 40 milioni) e dove la base imponibile dello stesso tributo è composta per l’80% dal lavoro dipendente ed assimilato(pensioni). Gli aggregati di cui sopra non si sovrappongono esattamente sul perimetro della classe media con rapporto di lavoro dipendente… ma non si va molto lontano. 

Nel comunicato della Regione si parla, come destinazione dei 116 mil che si prevede di incassare dalla manovra, anche di altri settori, oltre alla Sanità, come il Trasporto pubblico locale. Tale settore, al pari della Sanità, soffre anch’esso da molti anni del cronico sottodimensionamento del relativo Fondo nazionale. Soffre quindi anche la nostra regione, che ha conosciuto oltre 10 anni fa un delicato passaggio per il salvataggio dell’azienda unica di mobilità. Un sollievo finanziario venne alcuni anni fa dalla possibilità, tramite l’Agenzia e grazie ad interpello favorevole da parte dell’Agenzia delle Entrate, di recuperare l’Iva sui pagamenti, un tesoretto che si ritrovò la precedente Giunta…Stranamente l’ex Assessore Melasecche dimentica sempre questo “dettaglio”, quando vanta il suo operato e critica tutto ciò che era stato fatto prima.