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di Gabriella Mecucci

Errori, bufale, abbagli: la campagna elettorale ne è stata piena. Basta guardare i casi di Gubbio e di Perugia. Il tafazzismo più estremo lo ha raggiunto il centrosinistra eugubino presentando ben quattro candidati sindaci col risultato che, nella città più rossa dell’Umbria, il ballottaggio si svolgerà fra un candidato di destra-destra, Vittorio Fiorucci, e un civico liberale come Rocco Girlanda che in passato è stato parlamentare di Forza Italia e sottosegretario in due governi Berlusconi.
Tafazzi è la caricatura dello scemotto che si fa male da sé colpendo in continuazione il suo basso ventre. Chissà quale altro gesto masochista stanno progettando i quattro gauchiste trombati? Le poche menti di sinistra che conservano lucidità si adoperano per favorire la vittoria di un moderato come Girlanda. Il segretario del Pd Tommaso Bori preferisce non affrontare la questione: Ponzio Pilato in confronto era un decisionista con tendenze eroiche.
A Perugia chi meriterebbe il tapiro d’oro è invece il centrodestra che, andato per picchiare, è stato picchiato. Ha scelto una candidata di Fratelli d’Italia, carina, educata e per bene, ma che quanto a piglio da leader ne ha poco. Tanto – si sono detti in quella coalizione – i voti li porta il sindaco uscente. Andrea Romizi stava preparando una lista di Forza Italia sulla quale campeggiava il suo nome e dentro la quale c’erano ben tre assessori, di cui due civici. E c’era anche qualche amico di Andrea Fora che, con una spericolata capriola dell’ultimo momento, era passato da sinistra a destra. Il piatto era pronto per essere servito, mancava solo un sapido contorno. Ed è arrivato pure quello grazie ai sondaggi che proclamavano Romizi il più amato dei perugini – una sorta di Cuccarini locale – perdipiù adorato dai moderati: una vera bufala questa che ha generato il grande abbaglio
iniziale.
Il ragionamento politico dei dirigenti di Destra è stato semplice semplice: sommiamo i consensi più radical (Fratelli d’Italia e Lega) con quelli moderati su cui regna il sindaco uscente e il gioco è fatto. Ma non è andata così. In realtà il golden boy di Palazzo dei Priori non era apprezzato quanto si pensava, o meglio, i perugini – di temperamento flemmatico – forse per un po’ non hanno disdegnato quella cortese abulia che regnava in Comune. Ma c’è un limite a tutto e, dopo aver sopportato di buon grado la soffice paralisi, hanno cominciato a sognare che ci fosse qualche cambiamento, che un po’ di dinamismo spezzasse la morta gora. Neutralizzato il fascino pantofolaio del sindaco uscente, i suoi assessori si sono mostrati per quello che erano: mediocri gestori con poche idee. Risultato: ben tre non sono stati nemmeno eletti. Fra questi c’è nientemeno che Edi Cicchi, campionessa di preferenze nel 2014, quanto a Otello Numerini è entrato per il rotto della cuffia. Romizi con la sua lista, nella quale aveva imbarcato transfughi di tutti i tipi, si è fermato all’11 per cento contro il 15 sperato. Forza Italia da sola avrebbe comunque
raggiunto il 7 o 8 per cento. Il valore aggiunto del sindaco uscente e della sua compagnia di giro – Fora incluso – è stata in tutto poco più di 3 punti. Bottino magro per un campione dell’autoproclamato buon governo e della popolarità. Il centrodestra a trazione Fratelli d’Italia non ha funzionato dunque proprio sul fronte moderato.
A questi errori di valutazione ne va aggiunto almeno un altro: alle politiche del 2022 i partiti del centrosinistra avevano superato ampiamente quelli di destra. I Macchiavelli “de noantre” che regnavano a Palazzo dei Priori non se ne sono però accorti e hanno continuato a pensare che avrebbero vinto comunque. Non c’è da stupirsene, perché perfino gli acuminati – diciamo così – cervelli dell’altro fronte ripetevano stancamente che per loro non c’era niente da fare: il centrosinistra era condannato alla sconfitta. Hai voglia a riportare i dati, a scrivere che Perugia era tornata contendibile: parole al vento. Tantochè la grande volata di Vittoria Ferdinandi è stato definita “un miracolo”, mentre in realtà la candidata godeva in partenza di “un’area amica” del 53-54 per cento. E del resto un fenomeno analogo si stava verificando anche a Foligno: lo spostamento a sinistra in alcune città dell’Umbria era già in atto. Passaggi ha scritto più volte che riconoscere questa verità non significa cancellare i meriti di Ferdinandi. I voti infatti vanno sempre riconquistati ed è un’operazione difficile quella di tenere insieme un vasto schieramento, di motivarlo, di entusiasmarlo. La giovane outsider all’inizio della campagna elettorale ha commesso l’errore di presentarsi come una gauchiste d’antan. Atteggiamento poi corretto convertendo il pugno chiuso nella V di vittoria che evoca il suo nome, il suo obiettivo e il
liberalconservatore Wiston Churchill. Un bel cambiamento!
Adesso le due donne devono affrontare il ballottaggio tutto al femminile, cosa già di per sé largamente positiva. I voti degli altri tre candidati avranno un qualche peso, pur essendo stati decisamente meno del previsto. Massimo Monni, la cui lista è quella fra i perdenti che ha ottenuto più consensi e che col suo risultato ha favorito il ballottaggio, non fa apparentamenti né dà indicazioni di voto, anche se qualcuno (ndr. il centrodestra) gli ha proposto il ruolo di vicesindaco. Ha dichiarato però che voterà Ferdinandi. Una preferenza che potrebbe contare, vista la forbice molto stretta fra le due candidate. Aiuterà probabilmente il centrosinistra a conquistare un po’ di consensi moderati.
A Foligno Enrico Presilla (6%) si schiera con Il sindaco uscente di centrodestra, mentre Moreno Finamonti (3,6%) col centrosinistra. A Orvieto nessun apparentamento, anche se la candidata centrista ha raggiunto il 20 per cento. Tutti i risultati sono molto incerti. Davanti a questa panoramica elettorale, siamo proprio sicuri che il Centro non ha uno spazio autonomo e che i moderati non esistano? Qualche improvvido ha già iniziato a sentenziare. Sarà il nuovo, ulteriore abbaglio di questa campagna elettorale?