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di Ruggero Ranieri

Il 25 aprile, si dice, è la festa di tutti. Poi diventa, quest’ anno ancora di più, teatro di feroci polemiche, divisioni. La storia ci può soccorrere, fino a un certo punto. Infatti l’abbiamo letta e riletta mille volte, ma non riusciamo a interpretarla con il necessario distacco. Che cosa è successo il 25 aprile? Quello che restava del fascismo, ormai nazi-fascismo, nel nord della Penisola, sopra la linea Gotica sulla quale si erano attestate le truppe tedesche, è crollato, si è arreso, si è ritirato ed è fuggito.
Chi ha prodotto questo risultato? Gli eserciti alleati, delle Nazioni Unite, che hanno sconfitto militarmente il loro temibile nemico, l’esercito tedesco, la Wehrmacht, che le aveva impegnate sanguinosamente lungo tutta la lunghezza della penisola. La loro vittoria è avvenuta a un prezzo: 350.000 fra morti, feriti e dispersi. Chi ha visitato i cimiteri di guerra alleati sparsi lungo la penisola se ne può rendere conto. Ce ne sono anche in Umbria, a Rivotorto e a Orvieto.
Per che cosa combattevano gli alleati? La risposta più semplice è per sconfiggere Hitler. Ma non è sufficiente. Bisogna richiamare le 4 libertà enunciate da Roosevelt nel gennaio 1941, prima di entrare in guerra, e poi ribadite nella Carta Atlantica, firmata da Churchill e Roosevelt: libertà di espressione, di religione, libertà dal bisogno e dalla paura. In sostanza gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, a cui si associò la Francia di De Gaulle, le uniche grandi democrazie che avevano resistito alla aggressione di Hitler e sì anche a quella di Mussolini, combatterono per restituire al mondo i principi e le istituzioni della democrazia liberale. Questi erano stati calpestati nel “nuovo ordine” hitleriano, di cui Mussolini e il fascismo furono primo opportunistici alleati e poi, negli anni della RSI, complici e pronubi. Vale ricordare che nel regime fascista non c’era libertà di parola ma censura, non c’era libertà religiosa, ma persecuzione e razzismo, non c’era uguaglianza sociale e civile, ma discriminazione e imposizioni, non c’era nessuna garanzia di diritti civili. Per non parlare dei popoli e della nazionalità conquistate e sottomesse, in nome di un nazionalismo violento, che rivendicava una civiltà che si voleva superiore. E penso alla Jugoslavia, o all’Abissinia.
Questa la grande scelta di civiltà per cui fu combattuta la Seconda Guerra Mondiale. Questo il significato della Liberazione. La Resistenza italiana fu un fatto morale, civile e politico molto importante, perché mostrò che, in una parte almeno della popolazione italiana, vi era la ferma volontà, anche a costo della vita, di voltare pagina. Questo il primo significato della attività dei partigiani, ma anche di molti altri: dai militari che rifiutarono di arrendersi ai tedeschi dopo l’8 settembre, alle donne e agli uomini che diedero rifugio ai perseguitati, ebrei o prigionieri evasi dai campi e dalle galere, ai militari che rifiutarono di collaborare con i nazifascisti e preferirono passare molti mesi nei campi del Reich, spesso pagando con la vita. E, tanti altri, che scrissero pagine di umanità, di resistenza.
Il significato militare della Resistenza non può essere sminuito, ma nemmeno sopravvalutato. Gli eserciti alleati avrebbero liberato l’Italia con o senza le brigate partigiane, ma il fatto che ci furono, e che pagarono un contributo di sangue, fu un fattore che contribuì alla vittoria. Ma è necessario essere inclusivi: non ci furono soli i comunisti o le forze di sinistra, ci furono i cattolici, i liberali, i monarchici. Naturalmente, dall’altra parte, c’erano anche i fascisti, alcuni dei quali erano convinti fanatici e combatterono per i loro ideali. Ideali perversi che era difficile giustificare allora, ma ancora di più lo è oggi. Ci fu insomma, che piaccia o meno, una guerra civile, anche se la maggioranza del paese, già nel 1942-3 aveva voltato le spalle a Mussolini.
Cosa celebriamo quindi il 25 aprile? Io direi semplicemente il ritorno alla democrazia, la fine di un progetto che possiamo tranquillamente definire criminale. E la democrazia il nostro punto di riferimento, sulla scorta delle Quattro libertà delle Nazioni Unite. E con contraddizioni e difficoltà ci siamo incamminati su quel percorso. Non tutti erano convinti: i comunisti, o almeno tutti i loro dirigenti formati alla scuola staliniana, altre forze di sinistra vedevano nella democrazia liberale una fase intermedia, passaggio verso forme di socialismo e comunismo illiberali e, inevitabilmente, dittatoriali. (e ne abbiamo avuto ampie prove!) Ci fu una lunga battaglia nel dopoguerra, fonte di altre divisioni profonde. Ma la democrazia prevalse: eravamo, e parlo dei filo-occidentali, dalla parte giusta di quella storia, dalla parte delle democraz- naturalmente in quanto democrazie con tutti i loro difetti e contraddizioni.
Si dice: una parte del paese non vuole dichiararsi anti-fascista e quindi è fuori della nostra Costituzione Repubblicana, che si vorrebbe qualificare come in primo luogo un documento antifascista. Non si può negare, tuttavia, che la destra italiana di origine neo-fascista alcuni passi li ha compiuti e alcune ammissioni le ha registrate. Ma il punto centrale non è l’antifascismo, che è un problema storico italiano con vincitori e vinti che non possiamo pensare di seppellire una volta per tutte con qualche abiura o tratto di penna, ma la democrazia liberale, che fu difesa e affermata dalla vittoria della Nazioni Unite nella seconda guerra mondiale, E’ questa, non altra, la base della nostra Costituzione e questa va difesa e affermata contro chiunque non la rispetti. Qui c’è o dovrebbe esserci la nostra identità profonda, nazionale, e anche la linea da non oltrepassare E sinceramente io non vedo, almeno nei partiti oggi rappresentati in Parlamento, chi ne metta in discussione le regole e i fondamenti. Ci sono, come in tutte le democrazie, posizioni di destra conservatrice (come anche di sinistra estrema) che si possono criticare perché giudicate illiberali, ma altra cosa è definirle“fasciste”allo scopo di liquidarle. E’ un giochetto che ci riporta solamente indietro.
A mio giudizio sono queste le lezioni della storia, purtroppo spesso incomprese, o travisate in modo del tutto provinciale e autoreferenziale. Mi sono battuto, per fortuna con qualche risultato, per apporre una lapide per ricordare la Liberazione di Perugia dagli Alleati nel 1944. Ci sono voluti 75 anni!