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Ecco la seconda puntata del racconto dei fatti del venti giugno 1859, scritto per Passaggi da Fabio Maria Ciuffini. Continua il racconto di un personaggio di fantasia che riferisce però con precisione la cronaca storica della presa di Perugia da parte degli Svizzeri del Papa.

PERUGIA 1859/1 L’INSURREZIONE E QUEI SEI GIORNI DI LIBERTA’

di Fabio Maria Ciuffini

Se nostra libertà repubblicana durò solo sei giorni, la difesa a oltranza di Perugia non durò più di sei ore: dalle cinque del mattino, quando uno svizzero sparò senza preavviso e senza intimazione di resa ad una sentinella Perugina al Frontone, a più o meno alle 11 del XX Giugno 1859, quando ormai gli svizzeri dilagavano per Perugia e qualcuno (o qualcuna) continuava a buttar giù sassi, coppi, tegole dai tetti.

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…. gli Svizzeri all’assalto del frontone … dalle 5 del mattino …

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…. alle 11 del XX giugno del ’59 qualcuno (o qualcuna) continuava a buttar giù sassi, coppi, tegole dai tetti

Ed in quelle sei ore uno sgangherato pugno di borghesi –  solo cittadini adolescenti o attempati, ché 800 perugini in età da guerra si erano arruolati nell’esercito franco-piemontese – tennero testa coraggiosamente a  militari addestrati e ben armati. 

E magari quegli eroi perugini saranno stati i bisnonni i trisavoli o i quadrisavoli di chi sta leggendo!

Quel giorno, però, non vi fu una vera difesa come non vi fu un vero assedio. Solo tanti episodi eroici spezzettati, ma anche tradimento e provocazione, e poi dilagò la strage. E quel XX Giugno morirono più perugini inermi nelle case che combattendo, comunque molti più delle perdite degli Svizzeri inviati da Pio IX a reprimere l’insurrezione. 

E purtroppo in quei sei giorni furono commessi tragici errori 

strategici e tattici, alcuni forse non involontari. 

Principalmente questo: noi che eravamo pochi ci disperdemmo e loro che invece erano molti si concentrarono! 

Ma andiamo con ordine. Eravamo si e no 500 volontari e non potevamo difendere l’intera cerchia delle mura. Anche il nemico, però, per quanto numeroso, non poteva accerchiare l’intera città senza indebolirsi. Dunque la strategia giusta – che era quella di Carlo Bruschi comandante della piazza – sarebbe stata di mantenere la maggior parte del nostra forza al centro città da dove in pochi minuti si sarebbe potuto raggiungere qualsiasi punto delle mura fosse stato attaccato. Invece fu fatto tutto il contrario. Il Bruschi era stato esautorato nei giorni precedenti da tre sedicenti ufficiali piemontesi che avevano preso il comando. E da questi il Comitato di difesa si lasciò abbindolare

Furono chiamati i tre bonnet per via dei cappelli di ordinanza che indossavano. Secondo me, tre agenti provocatori. Che si spacciarono per esperti militari e disposero le truppe in un modo così sbagliato che è difficile pensare che non l’abbiano fatto apposta: sparpagliarono infatti le truppe lungo tutto il perimetro delle mura. 

Ad esempio, misero quaranta uomini a guardia del Cassero di Porta S. Angelo che poi non spararono un colpo. Pensate: il cassero all’estremo Nord della città con una truppa nemica che veniva da Sud! Il Cassero invece l’avrebbero potuto difendere cinque soli armati per ore! 

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…. I tre “bonnet” disposero le truppe in un modo così sbagliato che è difficile pensare che non l’abbiano fatto apposta. 

E poi bisognava restringere al massimo il perimetro di resistenza. Infatti che senso ebbe difendere il Frontone ed oltre un km di mura, piuttosto che ritirarsi subito dietro Porta San Pietro ?

Il Frontone, poi, è una posizione malamente difendibile: mura molto basse con un terrapieno facilmente scalabile alla base. Parapetti bassissimi, tant’è che si dovettero mettere due tavole orizzontali di legno sovrapposte e separate da una lunga feritoia. Unico apprestamento difensivo contro una grandine di pallottole. 

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 …. si dovettero mettere due tavole orizzontali di legno sovrapposte e separate da una lunga feritoia …

Eppure, al Frontone, per quanto sbagliato fosse difendere quella posizione, i perugini dettero prova di grande valore, tenendo testa a un nemico 10 volte superiore. Non a caso, lì gli svizzeri ebbero le loro maggiori perdite. Tentarono anche di scalare quelle mura con semplici scale a pioli requisite ai contadini, il che la dice lunga su quanto quelle difese fossero alte. 

Ciò nonostante le scale furono vigorosamente gettate indietro e la difesa dei perugini continuò indomita. Improvvisazione e tradimento, poi, piegarono i perugini. Cosa accadde? 

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…. quella porta fu aperta al nemico a tradimento da tal Patumella Capomastro …

C’era una cantina dell’abbazia che dava direttamente sulla strada.

Non ne sapeva niente nessuno, anche se qualcuno poi disse di aver proposto di murarla, inascoltato. E questo fu frutto dell’improvvisazione con cui erano state approntate le difese. Comunque, quella porta fu aperta al nemico a sorpresa da tal Patumella Capomastro – di cui la storia non ha lasciato detto nulla se non di questo iniquo tradimento – e da lì un intero drappello di svizzeri risalì prendendo alle spalle i difensori, cui non restò altro che sbandarsi oppure rifugiarsi dentro l’abbazia. 

Tra questi c’ero anch’io e dopo vi dirò come mi salvai. E capirete perché vi ho detto che in quei giorni fui più bravo a scappare che a combattere! Intanto un altro gruppo di valorosi difendeva Porta San Pietro. 

Lì c’era solo una piccola postierla aperta nel grande portone di legno chiodato, facile da difendere ma da cui poteva sparare solo una persona alla volta.

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… da cui poteva sparare solo una persona alla volta.

I nostri fucili erano tutti ad avancarica e dunque ci voleva tempo per caricarli. Così chi era dietro caricava i fucili e li passava a chi, riconosciuto come miglior tiratore, stava sulla postierla finché non veniva abbattuto. Altri sparavano da sopra la porta e da qualche finestra. En passant,  gli Schutzen svizzeri avevano modernissimi moschetti a retrocarica e potevano produrre un maggiore volume di fuoco. Un solo fucile di precisione – uno  Stutzen, un’arma austriaca – era in mano dei nostri. E molti sparavano con il loro schioppo da caccia caricato a palla. Chi sparava dalla postierla, per quanto sparasse inginocchio o disteso, era bersagliato da decine di fucili svizzeri, tant’è che molti caddero tra questi un Danzetta, ferito all’inguine. 

Quel fuoco nutrito però impedì  a lungo a mettere in tiro i cannoni che avrebbero preso d’infilata il portone.

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Dietro quella porta si giocò l’ultima resistenza dei perugini. Ma quando gli svizzeri occuparono S. Pietro cominciarono sparare anche dal campanile. Poi purtroppo la resa dei combattenti del Frontone – traditi e presi alle spalle – che cercavano di salvarsi correndo lungo Via Borgo S. Pietro (quella che poi fu chiamata Via Borgo XX Giugno) dette l’impressione di una rotta generale e scoraggiò quei valorosi combattenti, e – alla fine – gli svizzeri sfondarono e dilagarono per Corso Cavour. Sì dettero al saccheggio come gli era stato promesso. Ma uccisero anche persone innocenti. Ed a volte accadde perché sui tetti qualcuno sparò e uccise e il prezzo lo pagarono quelli che abitavano lì e nemmeno sapevano chi sparava dal tetto di casa. 

Ma facciamo un passo indietro e vediamo le mie disavventure.

Io feci parte di coloro che, vista la mala parata, si salvarono entrando nell’Abbazia dall’orto di quei buoni frati. Lì fummo accolti da loro, sotto il Comando del Priore Acquacotta, e ci gettarono addosso per salvarci il saio nero ed il  cappuccio dei benedettini. pastedGraphic_7.png

  ci gettarono addosso per salvarci il saio nero dei benedettini e ci travestirono …

E ci precipitammo all’interno dell’Abbazia confondendoci con gli altri frati mentre gli svizzeri tempestavano di colpi il portone che fu fatto sbarrare dal Priore. Che alla fine aprì – quei pochi istanti di ritardo ci salvarono la vita – e si fece avanti chiedendo agli svizzeri cosa volessero. Per tutta risposta quelli gli strapparono dal collo la croce d’oro, lo spinsero da parte e si dettero al saccheggio più sfrenato rubando di tutto, dalle tonache ai candelabri, alle pissidi (ed erano inviati del Papa! Vergogna!). Ma questo indugio predatorio – incluso lo spaccare la testa con il calcio del fucile ad un povero ragazzo dei nostri che ferito si trascinava a terra – ci dette ulteriore tempo per raggiungere alla spicciolata la Chiesa dove infine fummo nascosti in un modo che ha del romanzesco se non fosse avvenuto in un contesto così tragico. 

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…. per tutta risposta quelli gli strapparono dal collo la croce d’oro, lo spinsero da parte e si dettero al saccheggio più sfrenato ..

State a sentire come andò. 

Forse avrete notato a San Pietro i due grandi organi che fiancheggiano l’altar Maggiore. Per arrivare alla tastiera di quello di sinistra bisogna prima passare per una porticina ribassata che sta in una delle cappelle laterali, passare poi per una scaletta ricavata nello spessore dei muri, da lì arrivare al “piano dell’organo” da dove l’organo si suona con le tastiere i registri e tutto. Ed infine curvandosi sotto le canne dell’organo salire una scaletta di legno e giungere in una stanzuccia dove sono collocati i mantici.

Per questo segreto cammino fui condotti da un frate – penso fosse l’organista –  insieme ad altri tre patrioti in quella stanzuccia e ci si entrava a malapena. E ho chiesto al mio amico Tarchi di fare uno “spaccato” della Chiesa per farvi capire per quale via fummo salvati.

Questo tortuoso percorso per fortuna solo pochi tra i frati lo conoscevano – a parte gli organisti – e ne avemmo contezza nei giorni successivi.

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… uno “spaccato” della Chiesa per farvi capire per quale via fummo salvati.

.Ci stemmo invece tre giorni e a turno uno di noi si sedeva mentre gli altri restavano in piedi. E un frate ci portò da mangiare a da bere durante quei tre giorni. Oltre ad un rotolo di funi da campanaro, da utilizzare – se del caso – per evadere dalla finestrella. Nel frattempo s’era sparsa in qualche modo la voce che alcuni patrioti erano nascosti nell’abbazia. Così dopo inutili ricerche in cui frugarono e saccheggiarono dappertutto,  gli svizzeri radunarono i frati in chiesa e minacciarono di torturarli ed ucciderli se non avessero rivelato il nascondiglio

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…..gli svizzeri radunarono i frati .. e li minacciarono di torturarli ed ucciderli …

. La maggior parte di loro che nulla sapeva pregò in lacrime il Priore di rivelarlo semmai lo sapesse ma il Priore negò finché non intervenne un ufficiale che dissuase la truppa inferocita. Noi che sentivamo tutto eravamo atterriti e solo quando gli svizzeri se ne furono andati qualcuno suonò l’organo e fu cantato l’inno convenuto per dire che potevamo fuggire. E noi giubilanti giù a pestare sui mantici! Erano le 21 ed era già compieta. Tanto bastò per calarci ad uno ad uno  con la fune e dileguarci nell’oscurità incombente …

Intanto a Perugia era stato compiuto un massacro. Divenne un caso internazionale! E ve ne parlerò tra poco … 

Ah, e i tre bonnet ? Furono colti quella sera del XX Giugno a gozzovigliare in una taverna insieme agli svizzeri! 

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Tanto bastò per calarmi con la fune e dileguarmi nell’oscurità incombente …

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Il piano d’attacco della colonna pontificia comandata dal Colonnello Schmidt.

Un documento rarissimo, fornito dall’Archivio di Stato di Perugia